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186 parte seconda

pauroso scongiuro del male e delle ombre, dall’altra l’artificiosa incomprensibile Teogonia cristiana; da una parte i nomadi, che aspettano dalla natura inviolata i frutti spontanei della sua fecondità, e che si compiacciono nella povertà uguale per tutti e nella selvaggia indipendenza che ne viene per conseguenza; dall’altra parte, l’agricoltore, il pastore, l’artefice, il negoziante, il magistrato; il miserabile e l’opulento; il servo e il padrone!....

Arrivammo al Forte Gorriti verso le dieci della mattina. Già sappiamo che è un forte, ma qui aggiungerò, che il loro nome proviene quasi sempre da quello di qualche cittadino benemerito della patria. Domandammo del capitano, amico del mio compagno di viaggio il signor Roldan, e apprendemmo che erasi da breve tempo trasferito a un paese detto colonia Rivadavia a venti chilometri di qui, per assistere alle elezioni per la legislatura provinciale, che minacciavano riuscire burrascose.

Roldan aveva un fratello a Rivadavia: non ponemmo adunque tempo in mezzo, e, benchè in sella da più di cinque ore continue, mutati i cavalli e in compagnia dell’alfiere e di due uomini, demmo briglia sciolta agli animali e in due ore e mezzo di galoppo attraverso a rigogliose boscaglie di algarrobi, di vinali, di chebracci e di giuccian, tramezzati qua e là da pascoli a volte recinti con siepe secca, entravamo nella colonia.

Nessuno ci aspettava. Inoltre era l’ora del desinare ed era domenica: le poche e disabitate strade erano dunque deserte, nè il pestio di cinque cavalli, qua, dove non si fa un passo che a cavallo, e dopo una giornata elettorale, chiamava l’attenzione. Arriviamo alla cantonata dove è il negozio del fratello di Roldan; le porte son chiuse; si bussa: niente. Continuiamo fino alla piazza: essa pure deserta; ci dirigiamo a un chiomato giuccian, che ostentava i suoi mille limoni sbocciati e rivestiti di candido e abbondante cotone.