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dalla frontiera a oran 187


Giungiamo alla casa: Roldan smonta, bussa... e i due fratelli si stringono al petto l’uno dell’altro! L’emozione li fa muti, e non trovano altro sfogo alla piena dell’affetto che in uno e poi in un altro amplesso, e poi in altri ancora; esclamando alfine a vicenda: «Fratel mio, dunque ti rivedo!»

Gli altri della casa e il capitano, anelavano il proprio turno, e fu una serie di abbracci e di forti strette di mano e di domande interrotte e di risposte anticipate; e una gara di carezze, di premure, di dimostrazioni d’affetto.

Non rimase ciglio asciutto, fuorchè in me forse, che tuttora in sella, aspettando l’invito a smontare, colle gambe ciondoloni, il corpo curvo, il capo chino, le spalle in capo, le mani sulla sella, contemplavo la scena con occhio vitreo e il pensiero riconcentrato, sprofondato, scaraventato nel presente, nel passato, nel lontano. Fu una scena di cinque minuti, ma pel mio spirito fu indefinita nel tempo e nello spazio e negli oggetti. Non so che accadesse in me, ma giammai mi son sentito così solo come in quell’istante in mezzo di tanta gente che veniva aggruppandosi, e di tante feste. Quel trovarmi e sentirmi estraneo a tutta quella brava gente mi mortificò. Quel vedermi tanto nulla nella gioia di tanta gente mi afflisse !...

E allora, quasi fosse una rivincita del mio cuore, mi passò a un tratto dinanzi e la casa paterna e l’anziana madre e i cari fratelli e i dolci amici e i buoni abitanti del mio villaggio nativo. E a un tratto mi pareva che anch’io, salita lesto lesto l’ascesa, avevo picchiato alla porta di casa mia e mi aveva risposto un grido tra di giubilo e di spasimo pel piacere; e che mi trovavo stretto da tutte le parti e chiamato col nome di quando ero ragazzo e apostrofato con mille interiezioni. E tutto questo nell’andito della casa, mentre alla porta s’aggruppava tutto il vicinato e si comunicavano la notizia e m’accennavano a dito e mi commentavano. E poi mi pareva che già principiassero le visite e che li in un salotto in mezzo d’un gran cir-