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«Se ben mi ricordo», disse l’Angiolino, «quella città fu sepolta da una frana staccatasi dal monte».

«Così, per semplice congettura, ritengono gli archeologi. Le famose rovine si trovano infatti sepolte; ma quasi a fior di terra. I paesani volevano additarmi il punto, donde la frana si era staccata. Ma, trattandosi di un avvenimento che rimonta a circa 17 secoli, non mi fo scrupolo di scartare senza misericordia la testimonianza di quei villici. Io non ci vidi nè frana, nè montagna che potesse franare, nè disposizione di suolo, che valesse comunque a giustificarla. La frana che seppellì Velleja, fu quella stessa che coperse la Roma antica, e tutte, si può dire, le antiche città d’Italia. Fu l’incuria, la barbarie, il tempo. Ogni città, posta al piede di un terreno elevato, come Velleja, come Roma, come Brescia, come le altre città ove si sviscerarono dal suolo le stupende rovine della civiltà romana, abbandonate agli elementi, sarebbe necessariamente interrita. Le acque pluviali, a cui nessuno imponeva leggi nel corso di tanti secoli, sono più che bastanti a darci ragione dell’interrimento di quelle antiche città. Del resto è ancora troppo fitto il velo che ricopre il lungo periodo che noi chiamiamo Medio evo, periodo tenebroso, ove si smarrì l’antica civiltà, uscendone così bella, così splendida, la civiltà moderna.

7. » Ma io volevo parlarvi, non delle rovine sepolte, bensì dei fuochi di Velleja che ardono ancora, lambendo quelle rovine, come forse un giorno gettavano sprazzi di livida luce sulle mura della superba città. Trattasi dunque anche qui di emanazioni di gas idrogeno carburato1. Le fiamme sono distribuite in due gruppi, e con lieve stridore, sorvolando leggere leggere, lambono il suolo in prossimità del Chero. Qui nessuno le costrinse a raccogliersi in una fiamma, e perciò il fuoco si accende in ogni breve spazio, dove il gas sgorghi in quantità sufficiente ad alimentare una fiammella, che ogni alito di vento può spegnere. Gl’indizî delle emanazioni però si rivelano sopra un’area di forse 200 metri quadrati.

    due maniere: l’uno da tenervi il mercato, ed era circondato da colonnati e d’altri edifizi ove i venditori mettevano in mostra le loro derrate e le merci; un altro da tenervi le pubbliche adunanze, ed era circondato di edifizî più nobili, tra cui la basilica, lunga, stretta, molto alta, ove si raccoglievano i mercanti a trattare dei loro affari. Dinanzi alle basiliche, od anche ad altri edifizî, sporgeva il calcidico, vasto porticato, ove si depositavano le merci di cui si negoziava nell’interno. L’anfiteatro che serviva da principio ai combattimenti dei gladiatori, era circondato esternamente di un muro ovale, e formava all’interno una conca o cavità elittica a gradinate, su cui sedevano gli spettatori.

  1. Vedi sopra la Serata XVI, num. 12, e seguenti.