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zola

dere il mantello tra la folla, entrava finalmente proprio allora, e traversava la prima corte. Poi, giunta alla grande galleria, alzò gli occhi. Pareva una tettoia da stazione, circondata dai ballatoi dei due piani, rotta da scale, traversata da ponti volanti. Scale di ferro, a doppio giro, si alzavano in curve ardite con innumerevoli ripiani; ponti di ferro anch’essi sospesi sul vuoto si slanciavano dritti nell’alto; e tutto quel ferro sotto la luce bianca dei vetri si componeva in un’aerea architettura, in una trina complicata, traverso cui passava la luce del giorno. Era la moderna realtà d’un palazzo visto in sogno, di una Babele sorgente da piano a piano e allungantesi nelle scale con altri piani sopra ed altre sale attorno sino all’infinito. Del resto, il ferro regnava dappertutto; l’ingegnere aveva avuto l’onesto coraggio di non nasconderlo sotto un intonaco che imitasse la pietra o il legno. Piú basso, per non offuscare le merci, gli ornamenti eran sobri, a grandi tratti uniti, color grigio. Poi, a mano a mano che la costruzione metallica saliva, i capitelli delle colonne si facevan piú ricchi, le ribaditure formavano rosoni, le modanature e le cornici eran cariche di statuine. Finalmente, in cima, splendevano i colori, il verde e il rosso, tra l’oro messo dappertutto, a strisce, a strati, fino ai cristalli che erano anch’essi pieni d’ornati d’oro. Sotto le gallerie coperte, i mattoni delle volte erano tinti del pari a colori vivaci. Mosaici e porcellane facevan parte degli ornati, rallegrando i cornicioni, e togliendo un po’ di severità all’insieme; e le scale, guarnite di velluto rosso, avevano le ringhiere lucide come l’acciaio d’un’armatura.

Per quanto conoscesse di già i magazzini nuo-


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