Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/356

Da Wikisource.

zola

quel popolo di clienti, ch’ella aveva dovuto attraversare. Era uno spettacolo nuovo: teste, viste di scorcio, che nascondevano il resto della persona, formicolavano. I cartelli bianchi non eran piú che strisce sottili, le colonnette dei nastri parevan basse, il promontorio delle flanelle tagliava la galleria con un muro strettissimo; i tappeti e le sete ricamate, che drappeggiavano sul ballatoio, pendevano ai suoi piedi come gli stendardi delle processioni appesi nel coro d’una chiesa.

Piú lontano la Desforges vedeva gli angoli delle gallerie laterali come dalla vetta d’un campanile si distingue un po’ delle strade vicine, dove confusamente si muovono passeggieri. Ma, anche piú la sorprendeva, quando chiudeva le palpebre, stanchi gli occhi da quell’abbagliante confusione di colori, il sentire la folla nel rumore cupo di marea e il calore umano che n’esalava. Un polverio sottile si alzava dagl’impiantiti, pregno di un odore di donna; odore di biancheria e di capelli; acuto, penetrante, che pareva l’incenso di quel tempio innalzato al culto della beltà femminile.

Il Mouret, intanto, sempre col Vallagnosc, in piedi, davanti alla sala di lettura, respirava quell’odore e se ne inebriava, ripetendo:

— Sono in casa loro; ne conosco di quelle che passano la giornata qui a mangiar pasticcini e scrivere lettere... Non manca altro, che io fornisca a loro anche il letto!

Lo scherzo fece sorridere Paolo cui, nella noia del suo pessimismo, seguitava a parere insulsa la irrequietudine della gente per quei cenci. Quando capitava a far due chiacchiere con l’antico condiscepolo, se n’andava quasi stizzito di


354