Trattatelli estetici/Parte prima/X. L'espresso ed il sottinteso

Da Wikisource.
Parte prima - X. L'espresso ed il sottinteso.

../IX. Arte e mestiere ../XI. Fantasia del cuore IncludiIntestazione 10 maggio 2024 75% Da definire

Parte prima - X. L'espresso ed il sottinteso.
Parte prima - IX. Arte e mestiere Parte prima - XI. Fantasia del cuore
[p. 341 modifica]

X.

L’ESPRESSO ED IL SOTTINTESO.

Esaltavasi, non importa da chi, sere sono, la facoltà del parlare; dirò solo ch’egli era Cicerone che perorava pro domo sua. Io me ne stetti lunga pezza ad udire, ch’è quel di meglio che si può fare, tanto se chi favella sia uomo di dottrina e d’ingegno, quanto se sia zucca vôta e senza registro; ma essendomi accorto che a più d’uno di [p. 342 modifica]quelli, che facevano al pari di me la parte di ascoltatori, veniva un grande prurito di sbadigliare, peusai di levarmi a rispondere, ribattendo quel tanto che fino allora era stato allegato in favore della lingua. Voi sapete, lettori miei cari, che non ci ha miglior modo del contraddire a rendere importante una quistione, e quindi non vi farà maraviglia il sapere che quelle bocche mezzo aperte allo sbadiglio si chiusero, e presso che tutte le facce si posero in attitudine di ascoltare.

Dono bellissimo, io dissi (volendo alcun poco sofisticare), gli è quello della favella: ma forse che non ci abbiano modi, più effettivi ancora che non è la favella, di esprimere gl’interni sentimenti dell’anima? Quanti giorni sono passati da che Autonietta Pallerini sapeva senza aprir bocca narrarci la storia delle sue pene; non che le presenti, quelle ancora che la memoria del passato le risuscitava nell’anima afflitta, o che il timore le dipingeva come facilmente possibili nell’avvenire? C’è forza di parole bastante ad esprimere l’amorosa impetuosità con che si getta al collo del consorte, mentre le mancano sotto i ginocchi per la mortale angoscia della ferita? E le smanie gelose che la fanno nell’ultime agonie disperata? E l’inutile, benchè ripetuto, sforzo del piede, che non può più sorreggerla a rilevarsi? Non era in somma eloquenza impossibile ad essere ricopiata dalle parole quella dei [p. 343 modifica]suoi occhi, del suo volto, delle sue braccia, dei suoi piedi, di tulta la sua persona? Bisogna confessare che le parole sono spesse volte ineguali al ritrarre alcuni sentimenti pei quali opportuoissimi sono il gesto, lo sguardo, le attitudini varie del volto e della persona, io diceva queste cose, eoa quell’animo con cui alcuna volta s’incominciano certe quistioni nelle quali vuoisi piuttosto esercitare la mente, che affannarsi nella ricerca del vero. Ma le mie parole avevano a panigirista ardentissimo un povero muto, che in un angolo della stanza se ne stava ricantucciato ad udire. Il colore vivissimo onde se gli dipinse la faccia, e le scintille che davano que’ suoi occhi, concedutigli bellissimi dalla natura, forse a compenso deli" altra sua misera imperfezione, ben mostravano che non era affatto fuor di ragione quanto io diceva: e credo avrebbesi saputo diftìcilmente significare a parole quel tanto che significar sapevano la vivacità di quegli occhi, e la tinta infocata dì quelle guance.

In generale, cosi continuava, non si giovano del sottinteso l’arti tutte? La scultura non sottintende i colori, la pittura i rilievi? Ciò che ia un’arte viene espresso non e sottinteso dall’altra? Anzi tutto l’artificio non sta appunto in questo di far che s’intenda più assai che non si accenna? La principale dottrina dell’artista non e riposta nel conoscere quali rose debba egli lanciai’ intravedere o sottintendere solamente? Se [p. 344 modifica]questo non fosse torneremmo alle goffe pitture de’ santi e de’ paladini del basso tempo, a’ quali si faceva uscir dalla bocca il rotolo colla leggenda. I sublime di un pensiero, di una frase non potrebbe riporsi in ciò solo, che le idee sottintese soverchiassero per numero e per importanza le dichiarate? Non potrebbesi dire che il principale diletto che si prova nel leggere un libro, nel contemplare una tavola, nell’ascoltare una musica, siano appunto le molte idee che in noi si risvegliano quasi in appendice a quelle indicate nell’opera distintamente? Egli è allora che l’attività, sia dell’animo, sia dell’intelletto, posta iu piacevole movimento, allarga i confini del quadro che si tiene davanti, e trova in esso compreso ciò che è da noi desiderato, o che l’immaginazione e il sentimento sono abili a collocarvi; l’amor proprio, si pronto ad ingannarsi, attribuisce a sè stesso la creazione di quegli oggetti e di quelle sensazioni, che più contentano il nostro cuore, quando il merito tutto di una tale creazione è dovuto all’artista, che ha saputo in noi suscitare con alcune idee principali, e che potrebbonsi chiamare generative, un gran numero d’altre idee secondarie e derivate.

Senza voler dimorare fra i quadri o fra i libri, aggiratevi pure pei crocchi ad ascoltare chi possiede in maggior grado l’invidiabile dote di parlatore abbondante. Udite una narrazione che vi venga fatta. Quando non sappia egli accorta[p. 345 modifica]mente trascegliere, tra le innumerevoli accidentalità che accompagnano un fatto, quelle che sono più atte a farne indovinare molte altre, sarà egli mai altro fuorchè un raccontatore prolisso, da movere la nausea ne’ suoi ascoltatori? Non è scarso pur troppo il numero di questi parlatori stemperatissimi, i quali, dando del grosso somaro a qualunque gli ascolti, nessuna pretermettono delle notizie più ovvie e più dozzinali. E non giova, quando ti accade parlare con questa ineffabile razza di seccatori, scuotere ad ogni poco la testa, e mostrare che ti si parla di cosa notissima; il petulante balordo tira innanzi colla sua interminabile filastroccola, e ti martella l’orecchie senza misericordia, per modo che quando il racconto è arrivato alla parte importante, e veramente utile ad essere saputa, ti ha già colto il sonno. Sono per lo più quelli che ti afferrano per l’occhiello della giubba, o ti accarezzano la manica, o ti soffiano nel viso il loro incomodissimo fiato mentre favellano. E se ti trovi avere un muro alle spalle, tanto t’incalzano coi loro gesti, che ti confinano tra il muro ed essi, di dove non hai più scampo.

Ma l’importanza di quelle parti di un discorso che vogliono essere sottintese non può conoscersi meglio che attendendo al modo tenuto dai mormoratori nelle loro calunnie. Oh come troppo bene conoscono quelle vipere accorte ove infondere il loro veleno più acconciamente! Con [p. 346 modifica]quanta malvagia desterità sanno indirizzare la punta del mortifero strale a colpire di piaga profonda ed irremediabile! Voi non vedrete mai cotestoro gittarsi sulle riputazioni come la belva generosa sopra il nemico che vuole sbranare, ma avvolgersi intorno ad essa a somiglianza del serpe. Gli udrete cominciare dal panigirico più sfoggiato, per riuscir poscia nella critica più sanguinosa. Non è quel che dicono ciò di cui dovete temere, gli è quello che tacciono. Sono le reticenze perverse, le obblique eccezioni, i ma, i se, le condizioni funeste che aggiungono ad ogni loro proposizione. Quel male del loro prossimo, che detto spiattellatamente moverebbe la stizza o la nausea, lasciato indovinare, e mostrato solamente da lontano, e come traverso un velo, velo però leggerissimo ad essere trapassato, irrita la curiosità, contenta la nostra naturale tendenza all’invidia ed alla malizia, ed è quel di peggio che posso tentarsi a danno di chicchessia.

Perchè quelli che lodano non seguono l’arte di questi sciagurati mormoratori? Perchè non si studiano di cogliere quelle supreme particolarità di un’azione o di una persona che la rendono singolare, e ci mettono sulla via di presumere assai facilmente altre particolarità innumerevoli dell’azione stessa e della stessa persona? Ben peraltro si dice che a lodare convenientemente ci vuol maggior dose di buon senno che a convenientemente censurare. E davvero ci hanno cer[p. 347 modifica]tuni che così rimangono imbrodolati dalle lodi che loro vengono addosso traboccate, che men deplorabile avrebbe fatta la lor condizione chi avesse lasciato libero il varco al dilagare della censura. Argomento che troppo provi egli è come non provasse nulla, dicono i logici; e può dirsi similmente, una troppa lode viene a perdere ogni efficacia, e per poco non può scambiarsi colla più severa censura.

Egli si richiede bensì una certa dose d’ingegno in chi ascolta, o legge, o considera, affinchè il sottinteso ottenga il suo effetto. È una vera disperazione l’imbattersi in certi tali che, ad ogni mezza idea non del tutto espressa, ti ficcano un tanto d’occhi nel viso e stanno li a bocca aperta, come conchiglie, aspettando che loro sia fatta piana ogni cosa. Quanto non è mai dolce lo scontrare chi tosto afferra la finezza di una distinzione, chi coglie il vero punto ove va a ferire un’allusione; chi dal contrario il contrario, da una estremità l’estremità opposta sa tostamente dedurre! V’hanno tali a cui sono soverchie le parole, quando un girar d’occhi, un crollare di capo, una lieve alzatina di spalle dà loro ad intendere un milione di cose. Quanto poi agli scrittori, quelli che possiedono l’arte bellissima di comprendere in un’idea espressa moltissime altre idee sottintese, sono essi quelli che più agevolmente di ogni altro vincono le difficoltà che ci hanno da secolo a secolo, dacche ogni se[p. 348 modifica]colo gli viene interpretando al modo proprio, e in tanta copia di spiegazioni e di chiose possibili ad esser fatte al principale concetto, ogni secolo ed ogni studioso ci trova la sua. Le distanze dei tempi, e dei luoghi riescono a nulla, e quella frase che sarebbe indifferente per tutto il resto del genere umano, fa battere di piacere o di affanno alcune anime che ne intendono per forza di simpatia l’occulta significazione. Tutto per anime così fatte diventa simbolico e rappresentativo gli astri del cielo e i fiori del campo sono fatti confidenti e depositarii de’ loro più reconditi desiderii. Quella vita che la mitologia degli antichi accordava a tutta la natura, è conceduta dal cuore nelle sue più vive emozioni a tutti gli oggetti circostanti; odonsi sospirare i boschetti, gemere le fontane, la luna riguardar tra le nuvole, e la campana di mezza notte inviare sull’anima una ineffabile malinconia col suo lento e prolungato rimbombo.

Sono stranieri, anzi morti a queste dolcezze tutti coloro che non custodiscono la loro sensitività, a somiglianza di prezioso licore che travasato svapora; tutti coloro che sprecano vanamente in prolisse parole il tesoro de’ loro più nobili e più gentili sentimenti. Una narrazione che costoro ti facciano non può altro riuscirti che nauseosa, e il fatto principale, a guisa d’isoletta accerchiata da un pelago immenso, non può mai venir afferrato dall’uditore, tante sono le ciance [p. 349 modifica]ch’è d’uopo di valicare prima di toccar terra. Diremo che sia questo un difetto particolare de’narratori italiani, come ha stampato, or sono appena tre anni, un bizzarro ingegno di donna? No, finchè almeno si sappia essere stati italiani il Boccaccio e l’Ariosto. E, peggio ancora, porremo a ragione di questa inattitudine al narrare, la gran copia d’improvvisatori che produce l’Italia? A questa seconda sentenza sorrideremo di nuovo, e crederemo sempre più inopportuna la confutazione di tali scempiaggini. Così è; le ragioui che si adducono a sostegno di una proposizione stravagante ed errata non altro sono per lo più che stravaganti ed errate esse pure.