Trattatelli estetici/Parte seconda/V. Le allegorie

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Parte seconda - V. Le allegorie.

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V.

LE ALLEGORIE.

Le allegorie sono un trovato della debolezza, la quale propria essendo, secondo diversi gradi, di tutti gli uomini, può dirsi ch’esse allegorie, dal più al meno, siano un bisogno generale alla nostra specie. Due guise d’allegorie possiamo distinguere: quelle che aiutano l’intelligenza di un concetto; e quelle che la ritardano a fine di farlo passare liberamente là donde vorrebbesi escluso. Dal che si vede essere uno pur sempre l’ufficio dell’allegorie, quello cioè di agevolare la comunicazione del vero tra gli uomini, ma opposto il modo ch’esse adoprano, secondo la difficoltà deriva o dalla imperfezione propria alla nostra natura in generale, o dalla perversità e dalla prepotenza delle intenzioni di alcuni individui. Ci limiteremo a parlare delle allegorie della prima specie.

Non essendo la mente umana destinala a conoscere il vero nella sua interezza, e il cuore degli uomini a riposarsi in quel godimento che da tal conoscenza sarebbegli cagionata, ci avvezziamo per tempo, e possiamo dire inavvertitamente, ad avere una grande riverenza per tuttociò che ne si manifesta sotto apparenze misteriose ed inappressabili alla nostra ragione. [p. 32 modifica]bisogno di conoscere il vero è congenito agli uomini, e per molto tempo credono pure di poterlo soddisfare; sentonsi di poi quasi involontariamente piegare all’amore di un vero fittizio, o apparente, che assopisce quel desiderio in luogo di contentarlo, e siccome a ciò si doamanda di credere anzichè di ragionare, si fanno creduli stimandosi pure ragionatori, e qui ancora l’orgoglio è radice d’ogni male. Adorano ombra in quanto pensano ch’essa non potrebbe avervi ove non fosse il corpo che la cagiona, e appoco appoco del corpo e dell’ombra non fanno che una cosa. Ne già s’ingannerebbero quando avessero un’esatta cognizione della corrispondenza che passa tra il corpo che non veggono e l’ombra che lore è conceduta a vedere; ma come possono venire in tale cognizione essi che non hanno veduto mai altro che l’ombra? Quindi l’inesattezza e l’arroganza de’ loro giudizii: dacche essi vogliono pur giudicare. Hanno trovato la verità velata ogni volta che le si accostarono; come veggono alcun che di velato: ecco, dicono, la verità!

Le allegorie contentano adunque in qualche maniera questo misero bisogno d’illudersi tanto proprio della nostra viziata natura; la lingua dei geroglifici ne sia un esempio molto solenne. Assai spesso il segno rappresentante il pensiero fu creduto essere il pensiero stesso; il cadavere c’era, ma lo spirito ci mancava. Molta parte [p. 33 modifica]della scienza umana altro non è che cognizione di geroglifici. Potrebbe bensì questo misterioso linguaggio farsi utile all’umanità quando, in luogo di prendersi come contenente essa propria la verità, il si tenesse in conto non più che di rappresentazione di quella, e mezzo opportuno a comunicarla o trasfonderla d’uomo in nomo, e tenerla viva per ogni generazione; e ciò s’è veduto e si vede in coloro, la cui umiltà non rimane soffocata da quella che gli uomini chiamano molto impropriamente sapienza; in coloro il cui intelletto è amore, e, intendendo il vero, sentono di non poterlo parlare. Il vero è parola, ma la parola, fu detto da chi non mente, è Dio. Sicchè, a non voler essere novelli Nembrotti, e più presuntuosi dell’antico, che si contentava di accostarsi al cielo senza toccarlo, egli è da lasciare la verità ove risiede da secoli eterni, e reputandoci incapaci a maneggiarla, starcene contenti, che pur è molto, del vagheggiarla.

La storia di tutti i tempi e di tutti i popoli avralora di notabili testimonianze quanto s’è detto finora. Avendo le antichissime nazioni fatte depositarie de’ proprii fasti le costellazioni celesti da essi credute immutabili, e certamente privilegiate di tale durata, appo cui la vita dell’uomo più lunga di un’ora, e oltre alle costellazioni adoperato ogni monumento della natura sempre de’ più magnifici e men perituri, usarono coi´ [p. 34 modifica]contemporanei e coi posteri il linguaggio dell’allegoria. A chi volesse spingere molto oltre il discorso, si presenterebbe niente meno che esso medesimo l’universo sensibile sotto l’aspetto di una vasta e profonda allegoria, la cui spiegazione è ritardata all’uomo tanto ch’egli sconta il suo tempo di prova fra le tenebre e la fatica. Ma non volendo toccare di questo, considerate le arti nel modo più generale, ch’è appunto il più proprio, che altro sono tutti i lavori ch’esse producono, fuorchè allegorie?

Non intendo già qui parlare di quelle allégorie che si adattano ad opera fatta dagli autori stessi, sconfidenti della propria virtù e soverchio obbedienti alle pretensioni della moltitudine letterata; o di quelle inventate da troppo benevoli commentatori, che credendo di tor via la ruggine dalle antiche pitture, le vengono con incredibile pertinacia graffiando, tanto da rubar loro il colore. Torquato Tasso ha dato una prova molto famosa di ciò che possano gli autori su questo conto; e più famosa gl’innumerabili che annotarono la Divina Commedia di quanto possano i commentatori. Ogni fatto passando dalle mani dello storico a quelle dell’artista perde necessariamente gran parte della propria individualità: non è più narrazione ma diventa rappresentazione; in ciò sta appunto, se non m’inganno, tutto il mistero e l’eccellenza dell’arte. Se l’artista non altro facesse che ri[p. 35 modifica]petere quanto venne trasmesso alla memoria dei posteri dalla diligenza de’ contemporanei, non altro aggiungendovi che gli estrinseci ornamenti dell’armonia e del colore, meriterebbe egli quel nome di creatore che gli venne accordato fino da remotissimi tempi? Com’egli afferrando le narrazioni dello storico, o del cronista, sempre impresse d’inalterabile individualità, tragga, e, come a dire sprema da esse le generali relazioni con tutta la specie umana, e possibilmente con tutta quant’è la natura presente e avvenire, e le offra rivestite sensibilmente d’irresistibili allettamenti, non può insegnarsi se non imperfettamente dalle nude teoriche, ma bene paò intendersi nell’esame dell’opere più compinte e più belle de’celebri artisti d’ogni età e d’ogni gente.

E si noti che quanto i mezzi della rappresentazione sono più sensibili, tanto più essa diventa allegorica ed emblematica. Più allegoriche, poste eguali condizioni, sono le arti del disegno che non quelle della parola, in quanto appunto i mezzi che adoprano le prime sono più essenzialmente sensibili, che quelli adoperati dalle seconde. Ma anche in queste, a bene considerarle. in tutto ciò che hanno di materiale c’entra il simbolico, o allegorico che dir si voglia: ciò che sono agli occhi i colori, date le debite proporzioni, è per gli orecchi l’armonia. È questa la vera armonia, assai ben diversa dalla sonorità che s’insegna per lo più nelle scuole fra [p. 36 modifica]gl’Italiani nessuno ne tenne in mano la chiave, e la volse più a tempo dell’Allighieri. Forse alcuni rideranno a quanto sono per dire, ma non mancheranno discreti a prendere la frase nel significato che si conviene; una poesia veramente e perfettamente armonica potrebbe essere intesa nella sua espressione più generale anche da chi non avesse cognizione della lingua in cui fu dettata. Tutte le lingue, nate in qualsivoglia contrada, e cresciute per qualsivoglia concorso di avvenimenti, serbano in sè un’originaria armonia che rivela i bisogni principali della nazione che prese a parlarle e questa armonia appunto si sente, meglio che ne’ posteriori, in quelli che poetarono a principio, e concorre, non meno della scarsità e indeterminatezza delle frasi e delle parole, ad infondere nelle primitive canzoni di un popolo quella ingenuità ed efficacia, ch’è impossibile ad essere ritratta successivamente. Quest’armonia è appunto come il riso e le lagrime, linguaggio accordato a tutti gli uomini per significare sotto ogni punto di cielo le proprie necessità e le affezioni della propria anima, e fratellevolmente soccorrersi. Notate all’incontro i sorrisi e i piagnistei pattuiti tra coloro, che, immaginandosi aver tutta incettata essi soli la gentilezza, restrinsero siffattamente il cerchio sociale da non potervi più essere contenuta la verità, che ama spaziare liberamente e non soffre altri vincoli che da sè stessa. [p. 37 modifica]

Tanto è vero che le rappresentazioni artistiche eccellenti contengono in sè il germe di moltissime idee sottintese, od espresse non più che a mezzo (ciò ch’è proprio essenzialmente dell’allegoria ), che l’anima d’ogni spettatore ha una spiegazione più propria, e sa trovare un significato, se non diverso, più o meno ampio secondo i casi, di quello che è trovato da altri. E in questo modo l’individualità ch’era stata abilmente tolta al fatto dall’artista, viene ad esso restituita dallo spettatore, che la trova in se stesso; e questo e quello si pongono quindi in corrispondenza fra loro; e l’anima si accorge della propria attività esercitandola, ciò ch’è la fonte del vero diletto. Credasi pure; un quadro, un gruppo, o altro che si voglia, deve dire a tutti qualche cosa, ma deve altresì poter dire alcuna cosa più a tale che a tal altro. Forse che anche in ciò le arti non imiteranno il loro tipo, la natura, la quale non si rende egualmente sensibile a tutti i suoi figli, comeche non vi sia nessuno fra essi, che a questo o a quel modo non ne rimanga impressionato? La definizione del sublime, tuttochè varia secondo i varii scrittori che ne trattarono, riesce sempre ad ammettere esplicitamente o copertamente certa dose d’oscurità (uso questo vocabolo sebbene ineguale all’idea) fra le condizioni primarie, e non mancò chi la facesse la prima. E veramente chi significa assai più che non dice ha già in [p. 38 modifica]se un grado di sublimità, non foss’altro nell’espressione.

Sarebbe ora da discorrere delle allegorie propriamente dette, ossia di quelle forme convenzionali trovate a sussidio dell’intelligenza, ove i mezzi naturali dell’arte non erano sufficienti. E qui converrebbe discutere una vecchia questione intorno la mitologia, che non farò più che accennare. Come allegoria sembra che le arti del disegno ne abbisognino assolutamente, e come tale anche da quelle della parola il bandirla non è senza pericolo. Questo almeno si pensa da molte instrutte persone. Ma com’è possibile che abbia a durare il segno rappresentativo quando la cosa rappresentata è perita? Molto giustamente si domanda che venga additata una nuova via, il che è secondo giustizia: ma sarebbe uguale la giustizia di chi dicesse non essere questa via possibile a ritrovare? Accorgersi di un difetto è parte di scienza, tuttoche meno nobile del produrre bellezza. La natura umana non cangia quanto ad essenza, rimane bensì modificata dai tempi; le allegorie sono inevitabili, i mezzi di significarle possono e devono cangiarsi, secondo cangiano le condizioni dei popoli. Altrimenti avremo allegorie sopra allegorie; e l’impressione del vero e del bello, avendo a traversare tante regioni interposte, c, come a dire, tante atmosfere diverse, non giugnerà a noi che languida e raffreddata. [p. 39 modifica]Le allegorie che sono domandate da necessità tuttaffatto particolari ad un dato tempo o a date persone, e sono la seconda spezie, come ho accennato a principio, richiedono anch’esse lungo e appropriato discorso, che non intendo per ora di fare.