Trattatelli estetici/Parte seconda/VI. Le similitudini

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Parte seconda - VI. Le similitudini.

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VI.

LE SIMILITUDINI.

Sono le similitudini usitatissime sì negli ordinarii discorsi degli uomini, e si nelle scritture de’ letterati. Hanno un bel dire i nemici de’ paragoni; i paragoni dureranno continui ad attestare, se vuolsi, da un lato la imperfezione dei nostri ragionamenti, ma dall’altro la forza della nostra immaginazione. Si potrebbe, studiando le similitudini che più frequentemente si adoprano da tale o tal altro, parlando o scrivendo, cavarne de’ buoni argomenti a giudicare dell’indole e de’ costumi di lui. Ma ci vorrebbe della finezza, poichè non sempre stanno le cose come potrebbero apparire d’un primo tratto, e il cuore dell’uomo è cosa assai lubrica, e scappa assai facilmente di mano quando più te ne stimi padrone. Abbiamo conosciuto chi ad ogni poco diceva: la è cosa più chiara della luce; negar questo è negare di vedere il sole; e simili frasi dove luce e sole incontravansi continuamente. Pure non ci [p. 40 modifica]ricorda di aver mai parlato con chi fosse più tenebroso ne’ suoi discorsi. Pareva proprio che fosse un pipistrello al compiacersi dell’ombre, e all’avvolgersi volontariamente fra quelle come in suo proprio elemento. Un altro: vale meno che zero, dicea, la tal cosa; non c’è il pregio d’un quatrinello meschino ad ottenere la tal altra; e sempre col valore delle cose sulle labbra. Lo avreste creduto un avaro: non v’ebbe chi mandasse in fumo un ricco patrimonio in minor spazio di tempo, di quello abbia saputo fare il bravo uomo che di ogni cosa pesava il valore. Vorrei por fine agli esempi, ma non posso dimenticare Corilla, damina di forse trent’anni. Ella ardeva di desiderio; protestava di farsi di bragia all’udire certi racconti; non avervi calore d’affetto, diceva, al suo tempo e fra tante brage e calori non conobbi forse altra donna più tranquilla di lei, se non fosse Domizia, che, bevendo il cioccolate, narrava tra sorso e sorso a un’amica, di aver perduto il di innanzi la più cara e più antica delle sue conoscenze.

Con miglior fondamento si può giudicare degli scrittori esaminando le similitudini che sono da essi più frequentemente adoperate. Furono già con molto sendo notate quelle che aveano riguardo alla luce, per giudicare della cecità di Omero e di Milton. Sono di quelli che non si levano mai sull’ali della propria immaginazione senza imbattersi in qualche rupe: duro, brullo, [p. 41 modifica]aspro, acuto, sporgente, elevato come macigno: ad altri la fantasia non sa dare che nuvole candide, rosee, cave, trasparenti, fuggitive, agglomerate, disperse. La Musa di taluno è sempre bagnata; fiumi, torrenti, laghi, ruscelli, rigagnoli, con la sopraggiunta del mare: di tal altro il veicolo principale delle similitudini è l’orecchio; tutto per esso o stride, o fischia, o geme, o stormisce, o rimbomba. Più vario e più vasto è il campo di quelli che hanno sempre alla mano i fiori o le belve. Dal leone che scuote la rugiada dalle sue chiome, fino alla rana che gracida in riva al fosso; dalla primoletta al girasole i gradi della scala sono infiniti: ma ahi! che a moltissimi tutto è rosa, e la sfiorano in ogni suo petalo più minuto: a moltissimi altri tutto è aquila o cigno, e non gli lasciauo vivi se prima non hanno loro tolto ogni penna. E sonovi anche di quelli a’ quali la natura diede una mente si arida da non poter mai trarne stilla di similitudine alcuna. Parmi udirli gridare, dimenandosi nelle angosce del dotto lor parto: una similitudine! La mia casa, i miei figli per una similitudine! Appunto come Riccardo terzo, presso Shakespeare, gridava, affannato dall’ansietà della vittoria che si vedeva fuggire dinanzi: un cavallo! un cavallo! tutto il mio regno per un cavallo!

Fra le moltissime che si potrebbero fare, ad una sola osservazione voglio arrestarmi, dalla [p. 42 modifica]quale, a parer mio, è dimostrata una notabile differenza tra gli scrittori del nostro, e quelli del tempo antico. Molte similitudini traevano gli antichi, specialmente poeti, dalla natura fisica, e rare dalla morale; i nostri all’incontro non vi mettono troppo grande divario, se pure non ricorrono a questa di preferenza. Raramente trovate in Omero uomo paragonato ad uomo, spessissimo in Dante. Rimasi com’uomo che — e fui com’uomo che — — e qual e qual è quei che — e via discorrendo. Darebbe agio a discorso non vano questo genere di similitudini adoperato dal maggiore ’de’ nostri poeti. A’ di nostri di siffatte similitudini si è grandemente abusato. Spesse volte accade che la similitudine sia più difficile ad essere compresa, che non era l’oggetto cui si voleva dichiarare con quella. Ma, senza entrare adesso nella censura di questa pessima costumanza di poco esperti scrittori, si potrebbe proporre il problema: perchè ciò avvenga nei moderni, a differenza di quello praticavasi dagli antichi? Dovrebbe anche in ciò riscontrarsi un vestigio di quella loro abitudine di tenersi entro i limiti del sensibile? O ricavarsene un argomento a conchiudere che più poetiche erano quelle menti e quei tempi, se le arti imitano la corporea natura, anziche la immateriale, o di questa almeno si giovano a far comprendere quella? Sarebbero fatti gli uomini più meditativi e meno sensuali? O la spiritualità che rinnegano coll’opere, amerebbe[p. 43 modifica]ro di trovarla fintamente ritratta nelle scritture? Avrebbero imparato a studiare seriamente ne’corpi, e ad attendere all’anima non più che per trastullarsi? O ripiegata la riflessione sopra sė stessi, si resero familiari i fenomeni del mondo interiore più ancora che non erano ad altri tempi, o credevansi, quei dell’esterno? Mi basta aver messe innanzi de’ miei lettori queste interrogazioni: chi ne ha voglia ne prenda qualcheduna, o auche tutte, e le risolva a suo modo; chè al modo mio a queste tutte, e a più altre, ci ho già fatto risposta da molto tempo.