Ferdinando II delle Due Sicilie

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Ferdinando II delle Due Sicilie

Ferdinando Carlo Maria di Borbone (1810 – 1859), re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859.

Citazioni di Ferdinando II delle Due Sicilie[modifica]

  • L'avversione non pur d'Italia, ma d'Europa. (citato in Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli)
  • Il mio popolo non ha bisogno di pensare: io m'incarico di aver cura del suo benessere e della sua dignità. Ho ereditato molti rancori, molti desiderii insensati, tutti gli errori, tutte le debolezze del passato: bisogna ch'io restauri, e nol potrei che avvicinandomi all'Austria, senza assoggettarmi a' suoi voleri. Noi non siamo di questo secolo. I Borboni sono vecchi: e se volessero modellarsi sulla forma delle novelle dinastie, si renderebbe ridicoli. Noi faremo come gli Asburgo. Ci tradisca la sorte, ma noi non ci tradiremo mai. (citato in Insurrezione siciliana (aprile 1860) e la spedizione di Garibaldi)
  • La libertà è fatale alla famiglia dei Borboni, ed io ho risoluto di evitare a qualunque costo la sorte di Luigi XVI e di Carlo X. Il mio popolo obbedisce alla forza e si curva: ma guai s'egli si raddrizzasse sotto gl'impulsi di questi sogni, che sono sì belli nei sermoni dei filosogi ed impossibili in pratica! Coll'ajuto di Dio, io darò al mio popolo la prosperità e l'onesta amministrazione cui ha diritto, ma io sarò re solo e sempre. (citato in Insurrezione siciliana (aprile 1860) e la spedizione di Garibaldi)
  • Mi è stata offerta la corona d'Italia ma non ho voluto accettarla; se io l'avessi accettata, ora soffrirei il rimorso di aver leso i diritti del Sommo Pontefice. Signore, vi ringrazio d'avermi illuminato... Lascio il Regno ed il trono come l'ho ereditato dai miei antenati.[1]

Citazioni su Ferdinando II delle Due Sicilie[modifica]

  • Disposto a secondare l'aura dei tempi, Ferdinando iniziò il proprio regno concedendo una larga amnistia politica e chiamando ai posti di comando gli antichi seguaci di Murat e gli antichi rivoluzionari del '21. Così il giovane non secondava soltanto l'impulso del proprio cuore non alieno dalla generosità, ma si circondava anche di uomini capaci e ricchi d'esperienza. Questi dettero un nuovo impulso alla vita del Reame, che ebbe un periodo di risveglio anche perché il governo personale di Ferdinando, colpiva e reprimeva molti vecchi abusi del sistema precedente non immune da venalità e corruzione. Concentrando, con intenzioni da «sovrano illuminato», nella propria Segreteria particolare, il potere politico; imprimendo un più rigido e sapiente indirizzo all'amministrazione; assicurandosi il concorso degli antichi murattiani, così trasformati da dissidenti in conservatori, e promuovendo lo sviluppo economico e sociale (se non quello culturale e politico) della borghesia, Ferdinando II sembrò promettere una politica liberale e nazionale, tanto che il suo Governo era guardato con sospettosa diffidenza da Carlo Alberto. Che meraviglia quindi se i Carbonari, i quali si sforzavano di svegliare, o risvegliare, ai propri fini l'ambizione di qualche principe, si rivolgessero a Ferdinando II? Forse se l'offerta[2], come non è inverosimile, effettivamente ci fu, l'episodio non è senza correlazione con il bando improvvisamente dato nel 1831 all'Intonti, ministro di polizia. La congettura è avvalorata dal fatto, abbastanza strano, che, come il Metternich osservò al ministro napoletano principe di Butera, Ferdinando II mandò in esilio l'Intonti, ma non ordinò un'indagine fra le sue carte. (Edmondo Cione)
  • Dove Ferdinando regna | Regno di Dio non v'è.[3] (Giovanni Prati)
  • Ferdinando II di Napoli non poteva far manco di due cose, e perciò le voleva sempre alla portata della sua voce: il boia ed il confessore. È non usava molto del primo, checché se ne sia detto. Ma e' faceva un consumo spaventevole del secondo. (Ferdinando Petruccelli della Gattina)
  • Ferdinando II era sì disposto a riforme amministrative ampie e generose, ma non credeva possibile – ed in ciò è la lontana origine della rivoluzione napoletana del '48 – secondare le aspirazioni del liberalismo nazionale . Egli voleva sì uno Stato bene amministrato e fortemente armato, ma rimaneva sostanzialmente ligio ad una politica conservatrice sia all'interno, dove egli si dimostrò inoltre sempre assai deferente verso la Chiesa, sia rispetto all'estero, nei cui confronti adottò una forma d'isolamento, corrispondente alle sue aspirazioni municipalistiche ed allo spirito della monarchia borbonica, che aveva le sue nuove tavole costitutive in quel trattato di Vienna che una impresa nazionale avrebbe senz'altro annullato.
    «Mi è stata offerta la corona d'Italia – affermò sul letto di morte – ma non ho voluto accettarla; se io l'avessi accettata, ora soffrirei il rimorso di aver leso i diritti del Sommo Pontefice. Signore, vi ringrazio d'avermi illuminato... Lascio il Regno ed il trono come l'ho ereditato dai miei antenati». (Edmondo Cione)
  • Ferdinando II, questo pulcinella sanguinario, regna con le bombe, con i gesuiti e con le proscrizioni. La missione comune di questa famiglia è stata dunque corrompere o uccidere: scopo supremo, contaminare lo spirito umano o sopprimerlo: mezzi per riuscire, il carnefice ed il prete, e qualche volta l'oro. (Ferdinando Petruccelli della Gattina)
  • Frugale, laborioso, sollecito, niente a giuoco, niente a cacce, né a corse o a feste avea pensiero; tutto al governo. Niuno negherà essere splendido il suo primo decennio. Pace profonda, quiete e sicurezza, libertà civile, prosperità molta. Brevemente si costruirono strade, edifizii comunali, lazzaretti, case di bagni minerali, prigioni col sistema penitenziario, scuole per sordomuti, ospizii ed asili per indigenti e orfanelli e reietti e folli, porti a Catania, a Marsala, a Mazzara, e moli a Terranova e a Girgenti; s'istituirono consigli edilizii, monti pecuniarii e frumentarii, compagnie di Pompieri, opificii, nuove accademie, nuove cattedre all'università, nuovi collegi, nuovi licei. Si bonificavan terre paludose, si davano alla coltura terre boscose, e 800 mila moggia del Tavoliere di Puglia; si facevan ponti di ferro e di fabbrica su' fiumi, fanali a gas, fari alla Fresnel, ed ogni novella invenzione qui primamente in Italia era attuata. Si stipulavan trattati di commercio, si creavan guardie civiche per Napoli e per le provincie, e guardie d'onore a cavallo. Que' dieci anni fur benedetti anche ne' campi. Ubertose messi, mercati grassi, miti prezzi, comune l'agiatezza; un movimento d'industria, un crescer di popolazione, un incremento di tutte cose buone; sicché non credo il reame avesse tempi più gai e lieti di quelli. (Giacinto de' Sivo)
  • Ha ottenuto una forte diminuzione delle spese; ma poi si occupa di cose militari, e le forze armate inghiottono tutti i risparmi. Soltanto il Cielo sa se porterà mai a combattimento i suoi sudditi, perché questo non si può fare con la mera disciplina automatica. Gli attacchi epilettici cui va soggetto e l'enorme corpulenza, inducono molti a volgere lo sguardo verso suo fratello, il Principe Carlo. Ed è un peccato. (Sir Walter Scott)
  • In Italia, la prima ferrovia, il primo telegrafo elettrico e il primo faro lenticolare, insieme con un gran numero di altre innovazioni nell'ingegneria e nell'industria, furono dovuti al «retrogrado» Ferdinando. Né si può incolparlo del fatto che i suoi piani per lo sviluppo del paese venissero interrotti: coscienzioso, energico e pio, solo agli intellettuali dette motivo di lagnanze; ma quando si esamina il suo lungo regno in retrospettiva, ci si domanda che cosa abbiano fatto per Napoli quegli intellettuali a paragone di quanto fece Ferdinando con tutte le sue manchevolezze. […] Dopo oltre un secolo di dominazione borbonica, le folle erano saldamente legate al loro sovrano. Lo spirito popolare era borbonico. Le masse avevano esperienza sufficiente per capire che esisteva una tirannia peggiore di quella dei re: la tirannia dei demagoghi, dei politici meschini ed egoisti. (Harold Acton)
  • Per ingegno e per costume era il migliore tra i suoi fratelli. Eppure egli era ignorante, non leggeva mai libro, scriveva con molti errori di ortografia. Egli, come il padre e come l'avo, non credeva virtù in altri, ne beffava il sapere, rideva dell'ingegno, non pregiava che la furbizia; chiunque sapesse leggere e scrivere era suo nemico e lo chiamava pennaiuolo; si circondò degli uomini più ignoranti e bestiali. Educato da bassi servitori di Corte, che i Borboni sogliono tenere come i fedeli amici e consiglieri, egli ne apprese due vizi propri del più feccioso popolazzo: la bugia e la beffa. (Luigi Capuana)
  • Pochi principi italiani fecero tra il '30 e il '48 il bene che egli fece. Mandò via dalla corte una turba infinita di parassiti e di intriganti: richiamò i generali migliori, anche di parte liberale, e licenziò gli inetti; ordinò le leve militari; fece costruire, primo in Italia, una strada ferrata, istituì il telegrafo, fece sorgere molte industrie, soprattutto quelle di rifornimento dell'esercito, che era numerosissimo; ridusse notevolmente la lista civile; mitigò le imposte più gravi. Giovane, forte, scaltro, voleva fare da sé, ed era di una attività meravigliosa. Educato da preti e cattolicissimo egli stesso, osò, con grande ammirazione degli intelletti più liberi, resistere alle pretese del papato e abolire antichi usi, umilianti per la monarchia napoletana. È passato alla storia come "Re bomba" e non si ricordano di lui che il tradimento della Costituzione, le persecuzioni dei liberali, le repressioni di Sicilia, e le terribili lettere di Gladstone. Abbiamo troppo presto dimenticato che, durante quasi due terzi del suo regno, i liberali stessi lo chiamarono Tito e lo lodarono e lo esaltarono per le sue virtù e per il desiderio suo di riforme. Abbiamo troppo presto dimenticato il sollievo che le sue riforme finanziarie produssero nel popolo, e l'ardimento che egli dimostrò nel sopprimere vecchi abusi. (Francesco Saverio Nitti)
  • Quando nell'anno 1846 il re Ferdinando II in una specie di sopralluogo militare, attraversò la Basilicata con un reparto dell'esercito, si ritenne questa un'impresa molto ardita; tanto più che per lungo tempo da parte di sua maestà e del suo seguito non si ebbero notizie. Si favoleggiarono allora cose su uomini e animali selvaggi, su foreste impenetrabili, su bande di briganti ed esperienze di tutti i tipi: e si restò non poco sorpresi, un bel mattino, vedendo tutto il corpo della truppa fresco ed allegro rientrare nella capitale. (Karl Wilhelm Schnars)
  • Saluterai quindi i cento Eroi che solcarono quelle placide onde, e tra questi griderai salve al generoso dei Ré — al solenne Sacerdote dell'umanità— a Ferdinando Secondo, che va ridonando a questa terra alto rodaggio di vita Civile e Commerciale. (Salvatore Morelli)
  • Volle strade, volle porti, volle bonifiche, ospizi e banche; poco sopportava una borghesia saccente e rapace, la cosiddetta borghesia dotta, i «galantuomini». Cercò piuttosto di creare una borghesia che mirasse al sodo. Non fu fortunato per la ragione che nel Napoletano altra borghesia non esisteva che quella delle professioni e degli studi, «permanili e pagliette», quelli che avevano cacciato suo nonno da Napoli, legati a fil doppio allo straniero per sole ragioni ideologiche che il Re, come re, non capiva; e l'avida e avara schiera dei proprietari terrieri. (Carlo Alianello)

Note[modifica]

  1. Citato in Edmondo Cione, La corona d'Italia offerta a Ferdinando II, in Historia, Mensile illustrato di Storia, anno VIII - n. 78, Milano, maggio 1964, p. 53, Cino Del Duca.
  2. Il riferimento è alla proposta fatta a Ferdinando II da Ciro Menotti di mettersi alla guida, come futuro re d'Italia, di un movimento di unificazione nazionale. Dell'esistenza di trattative intercorse fra Ferdinando II e gli emissari di Menotti in due incontri svoltisi nella real Villa di Portici riferisce il bolognese – ex carbonaro, in seguito filoborbonico – Giuseppe Bastianello (nato nel 1804) nell'opuscolo Della Italia giornale napoletano e delle sue importanti corrispondenze di Roma pubblicato con lo pseudonimo anagrammatico di P. Ugo Pianel Basseleti. Cfr. più dettagliatamente La corona d'Italia offerta a Ferdinando II, p. 51.
  3. Distico dedicato al re borbonico che aveva protestato poiché alla grande festa data a Torino nel 1850 in onore di Elisabetta di Sassonia, promessa sposa di Ferdinando di Savoia, duca di Genova, erano presenti numerosi fuoriusciti dal suo regno.

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