Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/118

Da Wikisource.


     Ma tu, che sacra già gran tempo pendi
Da questo ombroso pino orrido, e solto,
Fistola mia, a lodar meco scendi
Le chiome d’oro, e l’onorato volto:
E l’intermesso suono or sì mi rendi,
Che Orfeo, e Lino i’ non invidi molto;
Poi gli orecchi di lei percuoti in modi,
Che ’l cor le scaldi, intenerisca, e snodi.

     Quanto l’elci frondose alto il lentisco
Eccede, e il salce la pallida oliva,
E quanto i sacri lauri il verde ibisco,
Onde questa verdeggia, e l’altra riva,
Tanto al volto di lei, ch’amo, e gradisco:
Cede d’assai qual più famosa riva:
Ma perchè lingua non le noccia infetta,
A lei, Ninfe, le chiome ornate in fretta.

     E di baccare e d’erbe altre secrete,
A noi secrete, a voi palesi, e conte,
Un leggiadretto cerchio le tessete,
Che i crin le avvalga, e la serena fronte:
E mentre erra fra voi, sì l’accogliete,
Che insieme venga a più riposto fonte.
E vegga acceso de’ suoi lumi santi
Stupir di voi il coro a se davanti.