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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/128

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     Troppo (ben sai) a me si mostra sorda.
Nè di tanti miei preghi un solo ascolta,
Nè sì presto mai stral uscio da corda,
Com’ella ratta per fuggir si volta:
Nè in questo del suo ingegno anco si scorda,
Che fuggendo sorrida alcuna volta:
Ed unge insieme, e punge il cor, che langue,
E fugge al lido, come a siepe l’angue.

     Tal già qual (io mi stanco) arso, ed afflitto
Sotto il tuo imperio, Amor, pianse Aristeo
Più volte indarno, e dal tuo stral trafitto
Accrebbe l’onde al fiume di Peneo;
Ed or per cammin torto, or per diritto
La moglie assalse del divin Orfeo:
Ma poco ogni suo ardir, e forza valse;
Sì nulla del suo amor già mai le calse.

     Ella veloce più che tigre lieve,
Correndo l’erbe non offende, e piega:
E quasi aura, che in alto si solleve,
I piedi al corso, e il crine al vento spiega;
E senza orma stampar candida neve
Passa, quand’altrui più la segue, o priega:
Così spesso giugnendo ale a le piante,
Schernia crudel il poverello amante.