Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/130

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     Nè di rivo, che puro erri, o si lagne
Prato giammai, quanto bastasse bebbe:
Nè fronde tra le verdi alme campagne
A l’umil greggia in alcun tempo increbbe;
Nè i fior a l’api, nè chi geme, e piagne
Di render pago amor forza mai ebbe:
Anzi quanto più largo il pianto riede;
Tanto maggior tributo agli occhi ei chiede.

     Non però dal voler suo fermo, e saldo
Per consiglio d’altrui questi s’è mosso:
Nè d’amor brama il petto aver men caldo,
O pur da l’alma il grave giogo scosso:
Anzi fatto dal duol ardito, e baldo
Ringrazia gl’occhi, ond’egli fu percosso:
E il colpo loda, e l’implacabil Parca,
Per cui, più ch’altri, onde turbate varca.

     Dunque le viti a gli olmi non marita,
Che tanto amò con lungo ordine porre:
Nè a succession la greggia invita,
E falci, e rastri parimente abborre:
Così con l’alma accesa, e sbigottita
Senza difesa far al suo mal corre:
Errano i tori senza guardia il giorno,
E fan soli la sera anco ritorno.