Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/132

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     D’Euridice sol l’alta, e chiara imago,
Con l’alma, quanto puote arde, e comprende
E in questa sospirando il cor tien pago,
Nè l’infelice ad altra cura intende;
Talor, quando col carro ardente, e vago,
Il giorno a noi portando, Febo ascende
Con gli occhi, e con le man rivolte al sole,
Scioglie la lingua quasi in tai parole,

     Sole, che non pur l’aspre mie fatiche
E il mondo scorgi tutto a parte a parte,
Ma quante furon mai moderne, e antiche
Opre, con te hai senza voltar di carte,
E dove l’ombra più la terra impliche,
E dove il raggio tuo più tardo parte;
Vedestu mai pena sì grave, e ria,
Che posta col mio duol giuoco non sia?

     Tu se forse non hai poste in oblio
L’aspre durezze de l’amata fronde,
Che commosse già un tempo il tuo disìo,
Ed or verdeggia a le paterne sponde;
Benigno ascolta il dolor empio, e rio
Poichè null’altro al mio chiamar risponde,
Membrando Ciparisso, e il ricco Admeto,
Di cui pascevi armento bianco, e lieto.