Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/133

Da Wikisource.


     Quante volte, veggendoti la sera,
Portar per la campagna una vitella
Cangiossi in vista, ed ove pallid’era,
Sì fece rossa l’alma tua sorella:
E la sorte accusando iniqua, e fera,
In ciel mosse a pietà quasi ogni stella,
Però soccorri al mio gravoso scempio,
Poichè d’amor mi sei sì ricco esempio,

     Le vacche il suono, onde più volte a Giove
Fatt’hai l’arme cader insieme, è l’ira
Cantando le superbe antiche prove,
Che Encelado, e Tifeo ancor sospira,
Sovente udiro, e quel, che più mi move,
Pose silenzio a la tua dolce lira;
Rompendo con mugiti aspri, e diversi
Divini detti, e non più uditi versi,

     Di giunchi allor su la fiscella ordita
Per le tue mani, e ’l sentier raro aperto
Al sero, che fra noi anco s’addita,
E presso il cascio in giro eguale, e certo;
E sì larga a Pastor porgesti aita,
Che grido n’avrà sempre il tuo gran merto;
E in ogni parte dove il latte geli,
Non fia, che il tuo bel nome altri mai celi.