Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/136

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     La sottil gonna in preda a i venti resta,
E col crine ondeggiando addietro torna:
Ella più ch’aura, o più, che strale, presta
Per l’odorata selva non soggiorna:
Tanto che il lito prende snella, e mesta,
Fatta per la paura assai più adorna;
Vende Aristeo la vaga selva anch’egli,
E la man parle aver entro i capegli.

     Tre volte innanzi la man destra spinse
Per pigliar de le chiome il largo invito;
Tre volte il vento solamente strinse;
E restò lasso senza fin schernito:
Nè stanchezza però tardollo, o vinse;
Perchè tornasse il pensier suo fallito:
Anzi quanto mendico più si sente,
Tanto s’affretta, non che il corso allente.

     Come cervo talor fra l’acque chiuso,
O da purpuree penne cinto intorno,
Ben mille vie ritenta al fuggire uso,
E quindi parte, e quinci fa ritorno,
E il veltro gira dietro a se deluso,
E lunga pezza al cacciator fa scorno;
Così al fuggir la bella Ninfa intenta,
Ogni aspra via per sua salute tenta.