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il paradiso delle signore

nisia, che dalla mattina non faceva che andare, cosí, su e giú con le signore, moriva di stanchezza; ma non usciva dalla pacata cortesia. Dové aspettare ancora alle stoffe per mobili; dove un crétonne splendido fermò la Marty. Poi, ai mobili, questa comprò un tavolino da lavoro. Le tremavano le mani, supplicava ridendo la Desforges a trattenerla dallo spendere dell’altro, quando lo imbattersi nella Guibal le forní una scusa verso se medesima.

Nella sezione dei tappeti la Guibal era finalmente salita a rendere certe portiere turche che aveva comprate cinque giorni innanzi; e stava discorrendo col commesso, un pezzo di giovinotto, che dalla mattina alla sera smoveva pesi da ammazzare un bove. Era naturale che costui fosse scontentissimo d’una resa che gli portava via il suo tanto per cento; e quindi egli faceva di tutto per mettere nell’impiccio la cliente, immaginando Dio sa che indelicatezze; per lo meno un ballo dato con le portiere del Paradiso, per risparmiare anche quei pochi franchi del nolo. Sapeva che qualche volta i borghesi economi fan cosí. La signora, insomma, doveva avere una qualche ragione per riportarle: era il disegno? era il colore? glie ne avrebbe fatte vedere delle altre; ce n’era un bellissimo assortimento. Ma la Guibal rispondeva con una dignità da regina, che non le piacevan piú, senza aggiungere altra spiegazione. Non volle veder piú nulla; e toccò a lui striderci, perché i commessi avevan l’obbligo di riprendere le merci, anche se si accorgessero ch’erano state adoperate.

Mentre le tre signore se n’andavano insieme, la Marty ebbe un po’ di rimorso per il tavolino


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