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intanto, aveva fatto in modo da avvicinarsi alla Guibal, cui tenne poi dietro, cercando un’altra volta di liberarsi dal Vallagnose; ma questi, stanco di tanta calca, s’affrettò a raggiungerlo.

Dionisia s’era da capo dovuta fermare per aspettare le signore, e voltava loro le spalle; il Mouret stesso faceva le viste di non vederla. Allora la Desforges, con l’istinto delicato della gelosia, non ebbe nessun dubbio. Mentre egli le faceva complimenti, e l’accompagnava un po’ da quel padron di casa galante che era, ella studiava il modo di fargli confessare il tradimento.

In questo mentre il De Boves e il Vallagnosc che camminavano innanzi con la Guibal eran giunti alle trine. Accanto alle «confezioni» ci era una sala di gran lusso, con mobili di quercia scolpita, le cui cassette si aprivano tirandone giú le parti dinanzi. Intorno a certe colonne, ricoperte di velluto rosso, salivan a spirale le trine bianche: da una parte all’altra della stanza correvano merletti; sui banchi si ammucchiavano rotoli di valenciennes e di malines. In fondo, due signore stavano a sedere davanti a un trasparente di seta color malva, su cui il Deloche metteva le trine di Chantilly, e guardavano senza mai risolversi e senza aprir bocca.

— Guarda! — esclamò il Vallagnosc, strabiliato. — Dicevate che la signora si sentiva poco bene... Ed eccola, invece, accanto a quel banco laggiú, con la signorina Bianca.

Il conte non poté frenare uno scossone, con un’occhiata di traverso sulla Guibal.

— Per bacco! son proprio loro!

Nella sala c’era un gran caldo, le voci svanivano in un confuso mormorío. Le signore vi si sentivano soffocare, e avevano il viso pallido e


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