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il paradiso delle signore

se n’andrebbe. Gli aumenti si facevano sempre il giorno dopo l’inventario: e al tempo stesso, sapendosi ormai quanti affari erano stati fatti nel corso dell’anno, i capi delle sezioni avevano un tanto sull’aumento della somma paragonata con quella dell’anno scorso. Perciò, anche se c’era confusione e molto da fare, le chiacchiere seguitavano fervide. Tra un pacchetto e l’altro non si discorreva che del danaro. Correva voce che alla signora Aurelia sarebbero toccati piú di venticinquemila franchi; e ognuno s’immagina quanto le ragazze vi ricamassero sopra! Margherita, la piú brava a vendere dopo Dionisia, s’era guadagnata quattromilacinquecento franchi, millecinquecento di stipendio, e quasi tremila del tanto per cento; Clara non arrivava, tutto compreso, a duemilacinquecento.

— Che me n’importa a me dei loro aumenti? — ripigliava quest’ultima, volgendosi da capo alla ragazza. — Se il babbo fosse morto, lo vedrebbero se ci resterei un minuto! Ma ciò che non mi va giú, sono quei settemila franchi che si pappa quello strofinacciolo là! E voi?

La signora Aurelia interruppe stizzita la conversazione, voltandosi con la sua aria da imperatrice:

— Zitte un po’! Non si capisce piú nulla!

Poi si rimise a sedere, e continuò:

— Sette mantiglie, siciliana, prima grandezza, centotrenta. Tre pellicce, seconda grandezza, centocinquanta. Vo troppo lesta?

— No — rispose Dionisia.

Allora Clara dové occuparsi, un momento, dei vestiti che s’ammucchiavano sulle tavole; con due spinte fece un po’ di largo. Ma li lasciò da capo andare come volevano, per rispondere a


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