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il paradiso delle signore


— Via, signorina Margherita, non ci addormentiamo... Se no, non se n’esce piú.

— Ventotto paltoncini, casimirra doppia, quarta grandezza, diciotto e cinquanta — gridò Margherita con voce cadenzata.

Il Lhomme ricominciò a scrivere, a testa bassa. A poco a poco il suo stipendio era salito a novemila franchi, ed era umile umile, innanzi alla moglie che gli portava in casa, ogni anno, tre volte tanto.

Per un po’ lavorarono di voglia: le cifre volavano, i pacchi piovevano fitti fitti sulle tavole. Ma Clara aveva inventata un’altra distrazione, ed era di piccheggiare Giuseppe, attribuendogli un amore furibondo per una signorina impiegata ai campioni. Costei, che non aveva meno di ventotto anni, magra e pallida, era protetta dalla Desforges che l’aveva fatta a ogni costo prendere dal Mouret, raccontandogli una storia commovente: era orfana, l’ultima dei Fontenailles, famiglia di antica nobiltà del Poitou; ed era capitata a Parigi con un babbo ubriacone, rimanendo onesta, per quanto disgraziatamente non fosse stata educata in modo da poter fare la governante o la maestra di pianoforte.

Il Mouret, di solito, s’arrabbiava tutte le volte che gli raccomandavano signore decadute; non c’era, diceva, gente piú zuccona e antipatica di loro: e poi a stare al banco non s’impara mica da un momento all’altro! Ci voleva un tirocinio, perché era un mestiere difficile e delicato. Con tutto ciò, prese la protetta della Desforges, ficcandola nell’ufficio dei campioni come già, per non dir di no a degli amici, aveva ficcate due contesse ed una baronessa a quello degli avvisi


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