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il paradiso delle signore


— Che vi dicevo io? — gridò la direttrice, fuor di sé. — State attenta, signorina Clara: cosí non si può andare avanti!

Ma un fremito si propagò; il Mouret ed il Bourdoncle, che facevano il loro giro solito d’ispezione, eran comparsi. Ricominciarono subito le voci e lo scricchiolio delle penne, mentre Clara si affrettava a raccattare i vestiti. Il padrone non interruppe il lavoro: rimase per qualche minuto lí fermo, sorridendo senza aprir bocca: soltanto le sue labbra avevano un tremito febbrile, nonostante l’allegria che gli si leggeva sul volto in quel trionfale giorno dell’inventario. Quando si accorse di Dionisia, mancò poco non gli sfuggisse un gesto di stupore: dunque era scesa? E i suoi occhi s’incontrarono con quelli della signora Aurelia. Poi dopo un istante di titubanza, se n’andò ed entrò nella sezione accanto.

Dionisia, avvertita dal leggiero bisbiglio, aveva alzata la testa. E, riconosciuto il Mouret, si era chinata di nuovo sui fogli, facendo finta di nulla. Da quando s’era messa a scrivere meccanicamente in mezzo ai gridi regolari delle ragazze, si sentiva piú tranquilla. Aveva sempre ceduto in quella maniera stessa al primo assalto della sensibilità; le lacrime la soffocavano, la passione le raddoppiava i tormenti: poi si faceva una ragione, e ricuperava il coraggio sereno, una forza di volontà dolce e indomabile. Ed ora, con gli occhi limpidi, il volto pallido, non aveva un brivido, tutta intenta al lavoro, risoluta a spezzarsi il cuore ma non fare altro che ciò che voleva lei.

Sonarono le dieci, e il chiasso dell’inventario si fece sempre maggiore nel tumulto delle sezioni.


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