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Fra i gridi lanciati senza tregua, che s’incrociavano dappertutto, la stessa notizia correva ora in ogni parte, con velocità incredibile; ogni commesso sapeva di già che il Mouret aveva scritto quella mattina a Dionisia, per invitarla a pranzo. La colpa era di Paolina. Mentre tornava giú commossa ancora, aveva incontrato il Deloche nella sezione delle trine, e, senza badare che il Liénard gli stava discorrendo, s’era sfogata con lui:

— Ormai quel ch’è stato è stato, caro Deloche... Ha avuta la lettera. La invita per stasera, Il Deloche era divenuto livido; aveva capito subito, perché non mancava giorno che non discorresse con Paolina della loro amica comune, del capriccio del Mouret, di quel famoso invito che, prima o poi, doveva chiudere il primo capitolo del romanzo. Del resto, lei lo sgridava perché voleva bene nascostamente a Dionisia, con la quale, tanto, non c’era sugo. E quando egli approvava la giovinetta, perché resisteva al padrone, lei si stringeva nelle spalle.

Il piede sta meglio; ora vien giú — continuò Paolina. — O perché fate quel viso da mortorio?... È una fortuna per lei!

E si affrettò a tornare nella sua sezione.

— Ah, ah! — mormorò il Liénard che aveva sentito tutto — si tratta della signorina che ha la storta a un piede... Avevate ragione voi, ieri sera, di difenderla al caffè! avevate proprio ragione!

E anche lui scappò via. Ma prima d’esser tornato al suo banco, aveva già raccontata la cosa a quattro o cinque commessi. In meno di dieci minuti non ci fu piú uno, nel magazzino, che non la sapesse.


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