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il paradiso delle signore


Le ultime parole del Liénard si riferivano a una scena avvenuta la sera innanzi nel caffè San Rocco. Il Deloche e lui s’eran fatti intimi, e stavano sempre insieme. Quando l’Hutin, nominato aiuto, si era preso un appartamento di tre stanze, il Deloche era andato a stare all’albergo Smirne, nella stanza di lui; e i due commessi ogni mattina venivano insieme al Paradiso, e la sera s’aspettavano per uscire insieme. Le loro camere, ch’erano accanto, davano sullo stesso cortile buio, quasi un pozzo che ammorbava col suo lezzo tutto l’albergo. Per quanto fossero differenti d’indole, vivevano assai d’accordo, l’uno mangiandosi, senza un pensiero al mondo, il denaro che cavava di sotto il babbo, l’altro senza mai un soldo, tormentato dal pensiero dell’economia; con questo di comune tutt’e due, che sapevano di far poco o niente, come venditori, e vegetavano al loro banco, senza mai crescere i guadagni. Usciti dal magazzino, passavano la serata al caffè San Rocco, che, sempre vuoto nella giornata, la sera verso le otto e mezzo si empiva e traboccava degl’impiegati ai quali il portone di Piazza Gaillon dava la via. E allora cominciava un tramestío, un fragore da assordare, di pezzi del domino, di risate, di sedie, in mezzo al fumo spesso delle pipe. Birra e caffè dovevano essere mesciuti a fiotti. Nel cantuccio a sinistra, il Liénard chiedeva sempre cose che costavano molto, il Deloche si contentava d’un bicchiere di birra che gli durava quattr’ore. Aveva sentito lí il Favier, alla tavola accanto, raccontare cose infami di Dionisia; il modo, per esempio, col quale aveva aggranfiato il padrone, tirandosi su le sottane quando saliva le scale davanti a lui. Poco c’era mancato che non gli appiccicasse uno


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