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zola


Il giovinotto parve come cascar dalle nuvole:

— To’! e come lo sapete?

— Già, quel grullo del Deloche ce l’ha detto... e me ne ricordo io; tempo fa vi dava certe occhiate!...

Da quando era aiuto, l’Hutin aveva lasciato andare le cantanti dei caffè, e dava a intendere di aver che fare con delle governanti. Lusingato nel suo amor proprio, pur credé di dover rispondere con aria di sprezzo:

— A me piacciono con un po’ piú di roba addosso; e poi non son mica come il padrone, che basta che abbiano la gonnella...

S’interruppe, e gridò:

— Seta bianca, trentacinque metri, otto e settantacinque!

— Finalmente! — sussurrò il Bouthemont tutto contento.

Ma la campanella sonava per la seconda tavolata, della quale era il Favier. Scese dallo sgabello, su cui salí subito un altro, e dové scavalcare le stoffe ch’erano ormai altissime sul pavimento. In tutte le sezioni, lo stesso inciampo; scatole, scaffali, armadi si votavano a poco a poco, e le merci straripavano dappertutto, per terra, sui banchi, sulle tavole. Alla biancheria si sentiva il tonfo dei pacchi di cotone; alla merceria un leggiero rumor di scatole; dai mobili un lontano rotolio. Tutte le voci, stridule, gros— se, salivano insieme; le cifre sibilavano per l’aria; un clamore come quello dei boschi d’inverno, quando il vento soffia tra i rami, correva per l’immensa navata.

Il Favier, alla fine, riuscí a sbrigarsi di quegl’impacci, e infilò la scala del refettorio che, dopo gli ultimi ingrandimenti, era al quarto pia-


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