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il paradiso delle signore

grande camera da giovinetta, ai nastri e agli sciallini che formavano bianchi colonnati drappeggiati di veli bianchi, alle mercerie disposte in ingegnosi trofei, costrutti pazientemente a forza di cartine d’aghi e carte di bottoni; ma la gente faceva ressa principalmente alle maglie, dove il nome del Paradiso delle signore si leggeva in lettere alte tre metri, fatte di calze bianche su un fondo di calze rosse. La Marty era eccitata soprattutto dalle sezioni nuove; non potevano aprire una sezione senza ch’ella l’inaugurasse; vi si precipitava, e comprava a ogni costo. Aveva passata un’ora intera tra i cappelli da donna, messi in una sala nuova del primo piano, facendo votare gli armadi, prendendo i cappelli dalle grucce di legno lucido che ornavano due tavole, provandoli tutti a sé e alla figliuola, i cappelli bianchi, le calottine bianche, i berrettini bianchi. Poi era ridiscesa alle scarpe, in fondo a una galleria del pianterreno; là avevano aperta quel giorno la sezione, ed essa buttò all’aria le vetrine, presa da un desiderio convulso davanti alle pantofole di seta bianca ricamata di cigni, scarpini e stivaletti di raso bianco con tacchi altissimi alla Luigi XV.

— Oh, — diceva fuori di sé — oh, se vedeste! Hanno un assortimento di cappelli straordinario. Ne ho presi uno per me ed uno per Valentina... E le scarpe!... Che scarpe, eh, Valentina?

— Da non credere! — aggiunse la ragazza con la sua aria di donna. — Ci sono stivaletti da venti franchi e mezzo! Che stivaletti!

Un commesso teneva loro dietro con la solita seggiola piena zeppa d’ogni sorta d’oggetti.


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