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zola


— Come sta il signor Marty? — chiese la Desforges.

— Un po’ meglio, credo! — rispose la Marty, turbata da quella domanda improvvisa, che cadeva malignamente sulla sua febbre spendereccia. — È sempre laggiú; lo zio deve essere andato a vederlo stamattina...

Ma s’interruppe con un’esclamazione d’estasi:

— Dio! è una meraviglia!

Le signore avevan fatto qualche passo, e si trovavano davanti alla nuova sezione di fiori e penne, posta nella galleria di mezzo, tra le sete e i guanti. Sotto la luce viva che pioveva dall’invetriata, fioriva un mazzo enorme, alto e largo come una quercia. In fondo, viole, mughetti, giacinti, margherite, tutti i candori delicati delle aiuole: quindi i mazzolini salivano, rose bianche sfumate di carnicino, grosse peonie bianche, colorate appena appena di carminio, crisantemi bianchi in getti leggieri, costellati di giallo. E i fiori continuavano a lanciarsi, mistici gigli, rami di melo primaverile, ciuffi di lillà profumato, una fiorita, insomma, che si stendeva, ed era sormontata, all’altezza del primo piano, da pennacchi di penne di struzzo, penne bianche ch’erano come l’alito soffiato da quel popolo di bianchi fiori. In un canto, guarnizioni e ghirlande di fior d’arancio. C’erano anche fiori metallici, cardi d’argento. Tra le foglie e sulle corolle, in mezzo a tutta quella mussolina, seta, velluto, su cui gocce di gomma raffiguravano gocce di rugiada, volavano uccelli delle Isole, per cappelli, i tangara purpurei, con la coda nera, e i settecolori con le penne cangianti come l’arcobaleno.

— Mi compro un ramo di melo — disse la


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