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il paradiso delle signore

gliuola, voltandosi, vide la mamma che, con le mani tuffate nelle trine, cercava fare sparire, nella manica del suo mantello, trine d’Alençon. Non sembrò sorpresa, e si fece innanzi per nasconderla, con un moto istintivo; quando il Jouve, a un tratto, fu tra le due e, chinandosi, mormorò all’orecchio della contessa, con voce cortese:

— Prego la signora di seguirmi.

Ella per un momento si ribellò:

— Perché?

— Prego la signora di seguirmi — ripeté l’ispettore senza alzar la voce.

Col viso stravolto d’angoscia, essa diede una rapida occhiata intorno, poi si rassegnò, e riprese il suo fare da signora camminando accanto all’ispettore come una principessa che si degni affidarsi a un aiutante di campo. Nessuno s’era accorto di nulla. Il Deloche, tornato davanti al banco con gli sciallini in mano, la guardava portar via, stupefatto: come! anche lei? quella signora tanto nobile! bisognava frugarle, allora, tutte fino a una! Bianca, lasciata libera, seguiva da lontano la mamma, in mezzo alla gente; livida, combattuta tra il dovere di non abbandonarla e il terrore d’esser presa anche lei. La vide entrare nello studio del Bourdoncle, e si contentò d’aspettarla lí fuori.

Il Bourdoncle, da cui il Mouret s’era allora potuto spiccicare, era per l’appunto nella sua stanza: di solito toccava a lui dar sentenza su quei furti commessi da persone «per bene». Da parecchio tempo il Jouve gli aveva parlato dei suoi sospetti sulla De Boves, e per ciò non fu punto meravigliato quando l’ispettore gli riferí il fatto. Del resto gliene passavano davanti


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