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il paradiso delle signore

travedere un paradiso dove si celebrassero le nozze dell’ignota regina. La sezione delle sete n’era quasi l’alcova immensa, con le tende bianche, i veli bianchi, che col loro splendore coprivano dagli sguardi la candida nudità della sposa. Era un accecamento, un bianco di luce in cui tutti i bianchi si perdevano, un polviscolo di stelle fioccante bianco nel bianco chiarore.

E il Mouret continuava a guardare il suo popolo di donne, tra quei fiammeggiamenti. Ombre nere spiccavano su fondi pallidi: la folla cominciava ad avviarsi verso le uscite; la febbre di quella grande giornata di vendita passava come una vertigine, sommovendo la marea disordinata delle teste. Le stoffe, come messe a sacco, eran sparse per le sezioni; l’oro tintinnava nelle casse; la clientela, spogliata, quasi violata, se ne andava sfinita, con la voluttà che aveva terminato di sfogarsi, e la sorda vergogna d’un desiderio appagato in fondo a un postribolo. Cosí, la donna egli se l’era fatta propria, cosí la teneva in suo potere, col continuo ammucchiar merci, coll’abbassare i prezzi, con le «rese», con la cortesia, con la pubblicità. Aveva conquistate perfino le madri, e regnava su tutte, da despota brutale che a capriccio buttasse all’aria le famiglie. Aveva creato, e n’era nata una nuova religione; alle chiese, a poco a poco disertate dalla fede venuta meno, egli aveva sostituito il bazar che non doveva esser vinto mai.

La donna veniva a passare nel suo magazzino le ore in cui non sapeva che fare, le ore frementi e inquiete che passava prima in fondo alle cappelle: ed era lo sfogo necessario della passione nervosa, la battaglia rinascente d’un Dio contro il marito, il culto continuamente rinno-


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