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il paradiso delle signore

te quando il giorno declina. Verso l’Opéra e la Borsa si stendeva la triplice fila dei legni immobili che nell’ombra mettevano lo scintillio dei finimenti, il chiarore delle lanterne. Ogni minuto, un garzone in livrea chiamava, e un legno si faceva innanzi; vi montava su la signora, e se n’andava rapidamente. Le file diminuivano sempre; sei vetture alla volta correvan via, tenendo intera la strada, tra gli sportelli sbattuti, lo schioccar delle fruste, il sussurro dei pedoni, che si versavano tra le ruote. La clientela usciva e si spandeva per la città votando i magazzini col rumore d’una cateratta. E i tetti del Paradiso, le grandi lettere d’oro delle insegne, le bandiere sventolanti su in vetta, fiammeggiavano ancora nei riflessi del tramonto, facendo rivivere, nella luce che veniva di traverso, il mostro degli annunzi, il falanstero che sempre piú si stendeva e divorava i quartieri, sino ai boschi lontani dei dintorni. E l’anima di Parigi, un soffio enorme e dolce, s’addormentava nella serenità della sera, correva in lunghe e molli carezze su le ultime vetture, per la via a poco a poco libera dalla folla, e già coperta dal buio della notte.

Il Mouret, con gli occhi smarriti, aveva sentito passare in sé qualcosa di grande; e in quel fremito di trionfo che lo scoteva, dinanzi a Parigi divorata e alla Donna conquistata, sentí una improvvisa debolezza, sentí che la volontà gli veniva meno, si sentí vinto da una forza maggiore della sua. Era un bisogno irragionevole d’esser vinto nella sua vittoria, il controsenso d’un gran capitano che, dopo la conquista, piega sotto il capriccio d’una fanciulla. S’era dibattuto per dei mesi: anche quella mattina aveva giu-


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