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Alle origini di una teoria economica della politica/Introduzione

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Introduzione

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Presentazione Capitolo1


Se il termine politica viene da lontano (dal greco πόλις, polis, "città"), la sua accezione contemporanea nasce molto più tardi. L’attuale concetto di politica si afferma, infatti, attraverso un graduale processo di "autonomizzazione" della politica rispetto agli altri campi dell’agire umano. Come osserva Giovanni Sartori (1990:195), nella polis greca per l’uomo politico (lo zõon politikón) la politica non si differenzia dalla società. Solo con la nascita della scienza economica, nel XVII-XIX secolo, la politica si distinguerà dalla società e, più precisamente, dal mercato. Smith, Ricardo e gli altri economisti liberisti assumono che tale sfera dell’agire umano si sviluppi meglio quando lo Stato non interviene – che sia cioè capace di autoregolarsi. Essi affermano così che «le leggi dell’economia non sono leggi giuridiche: sono leggi del mercato. E il mercato è un automatismo spontaneo, un meccanismo che funziona da sé, per suo conto» (Sartori, 1990:202). Aristotele, osservando i greci nel IV secolo p.e.V., pensava che gli uomini avessero un’inclinazione naturale verso i discorsi e le attività politiche. Adam Smith, osservando gli scozzesi nel XVIII secolo e.V., vide d’altra parte una propensione dell’essere umano per gli scambi economici. Dalle osservazioni di questi due grandi intellettuali si sono evoluti due campi separati delle scienze sociali: la scienza della politica e la scienza dell’economia. Ma, si chiede Mueller (2003:1), «is this dichotomy valid? Could both Aristotle and Smith have been right? Could political man and economic man be one and the same? In the field of public choice, it is assumed that they are». Le persone sono in fondo sempre le stesse e si comporteranno, dunque, sempre allo stesso modo, sia che agiscano in un contesto di scelta privata, sia che lo facciano in uno in cui le scelte devono essere collettive. Proprio questa considerazione è forse il merito più grande dell’approccio analitico della Public Choice.

Anche sul termine democrazia vi è spesso una certa confusione. Quando si parla di democrazia, si pensa ad un sistema di governo che seleziona candidati e politiche attraverso elezioni libere e imparziali (Baldini, 2004:VIII), limitandosi a sottolineare uno degli elementi di tale sistema di governo: il sistema elettorale. Oppure si definisce la democrazia come governo della maggioranza, mentre sarebbe più opportuno pensarla come governo del maggior numero (Lijphart, 1999). Sarà però proprio di questi due specifici aspetti dei sistemi democratici – il sistema elettorale e il voto a maggioranza – che ci occuperemo in questa sede.


Sistemi elettorali

Dal momento che i così detti "beni pubblici" devono essere acquistati in quantità uguale da tutta la popolazione, essi forniscono anche benefici che sono collettivi. Una decisione riguardo a tali beni deve allora essere presa collettivamente e votare è un metodo per prendere decisioni collettive. Il voto è, cioè, una regola che indica come debba essere presa una decisione collettiva a partire dalla preferenze dei singoli. Per semplificare, potremmo immaginare un sistema elettorale come una "scatola nera" che raccoglie ed elabora le preferenze individuali in decisioni collettive.

Regola della maggioranza

L’unica regola di voto che, con certezza, garantisce il raggiungimento dell’efficienza paretiana è quella dell’unanimità. Un tale sistema di voto richiede però un processo decisionale lungo e difficoltoso che, unitamente ai numerosi comportamenti strategici che permette, ne scoraggia l’impiego nella maggior parte delle situazioni reali, soprattutto in presenza di collegi numerosi. Qualunque regola di voto che richieda un consenso minore dell’unanimità, se da un lato riduce i tempi di decisione, dall’altro non garantisce più con certezza il raggiungimento di un allocazione efficiente nel senso di Pareto (Hillman, 2009:409-413; Mueller, 2003:72). Se rappresentiamo i costi associati ai tempi della "trattativa" e i costi associati alle perdite di utilità individuali in un grafico con, sull’asse delle ascisse, il numero di membri necessari alla formazione della maggioranza (Illustrazione 1), allora, secondo la forma funzionale assunta dalla due curve, la maggioranza ottimale per quella particolare decisione sarà quella che minimizza la somma delle due curve (K/N). Da ciò non discende però in alcun modo che la maggioranza ottimale debba essere quella semplice (K/N = N/2), scelta, invece, nella gran parte delle situazioni reali. Per capire il motivo di tale scelta, dobbiamo osservare una particolare proprietà della maggioranza semplice: essa risulta essere la frazione minima del totale dei votanti necessaria ad assicurare che proposte conflittuali come non siano approvate entrambe da una stessa assemblea. Questa particolare maggioranza garantisce dunque, nella gran parte dei casi, un’ammirevole combinazione di rapidità decisionale e raggiungimento di una soluzione quanto più vicina possibile all’ottimo di Pareto (Mueller, 2003:74-78).

In questo lavoro prenderemo in considerazione una particolare proprietà della regola di voto maggioritaria partendo dalle idee e dai concetti sviluppati negli anni Cinquanta del Novecento da Duncan Black e Anthony Downs, che, insieme a Buchanan, Tullock, Arrow, Niskanen, Olson, Riker e Friedman, sono considerati i Padri Fondatori (Founding Fathers) della scuola di Public Choice (Rowley, 2008; Shughart II, 2008). Ci concentreremo sui presupposti e le implicazioni del Teorema dell’elettore mediano, che, a partire dalla sua prima formulazione (Black, 1948) e soprattutto con la pubblicazione di An Economic Theory of Democracy (Downs, 1957), ha conosciuto una fortuna ed un’applicazione teorica ed empirica vastissime, sia in campo economico che politologico.1

Partendo dalla nascita dell’approccio di Public Choice e dai suoi rapporti con la teoria economica precedente (Par. 1.1), arriveremo alla definizione dei suoi fondamenti teorici e dei filoni di ricerca che ha aperto (Par. 1.2). Ci addentreremo in una breve storia della teoria matematica dei sistemi elettorali maggioritari (Par. 1.3), osservando i rapporti ad esempio esistenti fra le intuizioni di Borda e Condorcet, con i contributi teorici di Black, Arrow e Downs. Questa breve digressione ci condurrà (Par. 1.4 – 1.5) fino ad un’analisi più dettagliata dei due testi che più di tutti hanno segnato la nascita del Teorema dell’elettore mediano: The Theory of Committees and Elections (Black, 1958) e An Economic Theory of Democracy (Downs, 1957). Mentre i maggiori contributi del primo riguardano la definizione stessa del Teorema e la risoluzione del Paradosso di Condorcet attraverso l’identificazione dell’importanza assunta dalle preferenze "ad una punta" in un contesto di voto maggioritario, al secondo si devono importantissime osservazioni riguardo il parallelo esistente fra comportamento degli esseri umani in contesti economici ed in contesti politici rappresentativi che portano ad ipotizzare, sotto determinate condizioni, una tendenza centripeta delle democrazie nelle quali le preferenze degli elettori abbiano distribuzioni bimodali – ovvero presentino sistemi di partito tendenzialmente a due partiti. Successivamente analizzeremo più dettagliatamente le implicazioni che il Teorema comporta, sia in regime di democrazia diretta (Par. 2.1) che rappresentativa (Par. 2.2), seguendo soprattutto l’impostazione data dai recenti testi di Mueller (2003) e Hillman (2009). Ci soffermeremo sui motivi che portano a far sì che l’elettore mediano risulti decisivo nel caso di decisioni prese con un voto a maggioranza, e quali condizioni siano necessarie a che ciò sia vero. Analizzeremo le relazioni esistenti fra il risultato conseguenti a un voto a maggioranza e le valutazioni derivanti da valutazioni Costi-Benefici ed ancora se e quando una decisione maggioritaria sia efficiente nel senso di Pareto osservando che solo in circostanze particolari il voto a maggioranza porta a risultati che siano quelli preferiti da una larga parte della popolazione interessata. Osserveremo l’insorgenza di cicli in contesti di voto maggioritari (Paradosso di Condorcet) e ci interrogheremo circa la possibilità di questi in presenza di problemi ad una o più dimensioni ed ancora circa la possibilità che si verifichino in contesti reali: ne risulterà che, se è probabile che cicli insorgano in presenza di più dimensioni, è però altrettanto probabile che, in contesti reali di democrazia rappresentativa, le dimensioni si riducano ad una. Infine (Par. 3.1 - 3.2), andremo alla ricerca di quali riscontri del modello esistano in contesti di democrazia rappresentativa. Ci aiutandoci con due recenti lavori (Grofman et al., 2001; Lee et al., 2004) che si sono interessati dell’andamento del voto al Congresso degli Stati Uniti d’America. La contraddittorietà esistente fra i due testi ci permetterà di osservare come ancora, intorno al Teorema dell’elettore mediano, non vi sia consenso unanime fra gli studiosi. Nonostante questo, è però indubbio che sia un utile modello di riferimento e confronto. Se, infatti, la teoria economica ha recentemente elaborato strumenti di analisi più sofisticati rispetto al Teorema presentato in questo lavoro (si pensi, ad esempio, alla teoria dei giochi o al modello del voto probabilistico) e molti studiosi hanno fatto discendere della scarsa veridicità delle ipotesi che stanno alla base di tale teorema e da risultati empirici contrastanti che il modello non sia valido, possiamo però vedervi un utile strumento di analisi. Esso è utile nello studio del comportamento delle istituzioni statali come il modello della concorrenza perfetta lo è per la teoria microeconomica del settore privato. Come, infatti, quest’ultimo viene impiegato come base di partenza e di raffronto nello studio delle interazioni economiche private, nonostante la sua scarsa corrispondenza con la realtà, così il modello dell’elettore mediano risulta utile come termine di paragone e confrontare con le più complesse situazioni riscontrabili empiricamente (Holcombe, 1989).

Note

  1. Per avere un idea della diffusione che il Teorema dell’elettore mediano possiede anche oltre i tradizionali accademici potremmo sfruttare un espediente immediato quanto efficace quantomeno per capire grossolanamente di che dimensioni stiamo parlando: se inseriamo le parole median + voter + theory sul motore di ricerca http://www.google.com/ otteniamo ben 148.000 risultati, mentre la frase esatta "median voter theory" restituisce ancora 95.700 risultati. Sono numeri impressionanti se si pensa che la frase "Public Choice theory" ne restituisce 102.000 ed "Impossibility theorem" 51.000, segno della notorietà di cui dicevamo.