Andrea Doria/La Vita/17

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La Vita
Capitolo 17

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In Germania la situazione era sempre sospesa tanto che, alla Dieta d’Augsburg del 1550, l’Imperatore, che avrebbe voluto presentare il suo primogenito Filippo quale erede dell’Impero, trovò forte opposizione a questo suo desiderio, e si convinse della necessità di rimandare tale proclamazione a miglior tempo: essa venne poi fatta - limitatamente alla successione di Spagna - nel 1552, davanti alle Cortes di Navarra. Intanto ritenne opportuno far ritornare Filippo in Spagna, onde rimediare in parte ai gravi problemi lasciati in sospeso per la sua prolungata assenza, e richiamare la figlia Maria - restata sola a reggere la Spagna avendo il marito dovuto ritornare nel suo Stato di Boemia - perché raggiungesse il marito. Del viaggio dette avviso al Principe, che provvide ad alloggiare o due alti personaggi – anche Massimiliano si era unito al cugino per andare a rilevare la sposa - e a trasportarli a Barcellona, dove giunsero il 12 luglio 1551

Nel frattempo, una squadra comandata da Dragut si avventura nel mar di Sicilia, saccheggia e mette a fuoco Augusta presso Siracusa, e il 18 luglio attacca inutilmente l’isola di Malta, che si difende con vero eroismo, dà il sacco alla isola di Gozo e il 14 agosto conquista facilmente Tripoli, difesa dai Cavalieri dell’ordine francese di S. Giovanni. Andrea Doria, occupato nel movimento dei due Principi imperiali, non può intervenire e opporsi come sarebbe suo vivissimo desiderio: poco dopo il suo ritorno a Genova deve nuovamente ripartire, per imbarcare a Barcellona la coppia reale di Boemia, che poi trattiene, con gli onori dovuti, sua ospite.

I rapporti amichevoli della Francia con i corsari turchi parevano aver dato alla marina francese una scuola di pirateria che proprio in quel tempo progettava di applicare. Venne infatti informato il Doria che una squadra di galee francesi si stava radunando a Marsiglia, per poi passare in Corsica e nel canale di Piombino, allo scopo di assaltare e depredare le navi che dal vicino Oriente si recavano a Genova per commerciare e per rifornire la città. La notizia ebbe purtroppo conferma, ed egli staccate dieci delle sue galee, agli ordini di Marco Centurione, le mandò alla ricerca delle galee francesi. Fu fortunato, Marco, poiché le incontrò presso la Corsica, e avendo esse invertito la rotta, le inseguì fino alle coste francesi, dove riuscirono a sfuggire all’inseguimento per il sopravvenire della notte. Convinta così che Genova vegliava sul suo mare e sui suoi commerci, la marina francese abbandonò ogni tentativo di danneggiare da quel lato la Repubblica.

La guerra si riaccendeva intanto in Piemonte, in Germania e nelle Fiandre. In Piemonte i Francesi si impadronirono facilmente di Chieri e San Damiano, mentre i vari presidi spagnoli sotto la nuova minaccia provvedevano ad avere rinforzi di uomini e di mezzi. In Germania, il duca Maurizio di Sassonia, già favorito dall’Imperatore, e fingendosi suo amico, «sabotava» le sue azioni (come si direbbe oggi) e, mentre trattava segretamente con la Francia, prolungava indefinitamente l’assedio di Magdeburgo, che cadde finalmente il 3 novembre 1551.

Nel marzo del 1552 lanciò un proclama per la «libertà di coscienza», nel quale, scoprendo il suo gioco, accusava l’Imperatore di parzialità verso i fiamminghi e gli spagnoli.

Passato poi improvvisamente all’azione contro il suo sovrano, e trascinando seco molti altri signori e nobili ribelli, si impadronì di Augsburg, e marciò su Innsbruck, tentando di far prigioniero Carlo V, che fece appena in tempo ad uscir dalla città, e a rifugiarsi a Villach in Carinzia, dove giunse il 13 maggio, dopo aver attraversato i monti del Tirolo. Mentre Enrico II approfittava della situazione per impadronirsi di Metz, l’Imperatore, stanco e malato, autorizzava Fernando suo fratello a trattare con Maurizio di Sassonia e a firmare a Passau il 31 luglio 1552 un accordo nel quale, mentre si impegnava a riunire una Dieta per risolvere le questioni religiose, esigeva dai ribelli l’abbandono di ogni accordo che Maurizio avesse sottoscritto con la Francia.

Avuto in tal modo un momento di tranquillità almeno apparente, Carlo V ordinò al Duca d’Alba di muovere con un forte esercito alla riconquista di Metz, difesa dal giovane Duca di Guisa, Francesco di Lorena. Purtroppo, a causa del clima insopportabilmente basso per le truppe italiane e spagnole e del sopravvenire di terribili epidemie, fu necessario abbandonare l’impresa e ritirarsi, seminando il cammino di vittime del male e del freddo.

Alla formazione di quel grande esercito molto aveva contribuito il Principe Andrea Doria che, sollecitato da un messo imperiale, salpò per la Spagna onde riportarne truppe e danaro, entrambi di urgente necessità. Purtroppo, nonostante l’urgenza e il continuo sollecitare del Principe, passò più tempo di quanto previsto, e la spedizione non poté far ritorno a Genova prima del luglio, portando seimila fanti e un milione di scudi d’oro, che furono tosto avviati alla loro destinazione.

Mentre quanto abbiamo narrato avveniva in Piemonte e nei dominii lontani dell’Imperatore, nel resto dell’Italia si avevano continue accensioni di piccoli fuochi che, pur spegnendosi rapidamente, tenevano le popolazioni in continuo stato d’allarme. Napoli, le sue coste vicine e le isole erano di nuovo minacciate da una forte armata turca che molto preoccupava il Vicerè. Era evidente l’intenzione dell’alleato del Re di Francia di disturbare i domini spagnoli, per cui giunse dall’Imperatore al Principe l’ordine di rafforzare le difese di Napoli, trasportandovi tremila soldati tedeschi che già erano stati avviati alla Spezia. Il vecchio Ammiraglio eseguì personalmente anche questo servizio e, partito con quaranta galee, imbarcò i tedeschi, e si diresse verso Gaeta, nella speranza di eludere la sorveglianza della flotta turca, rifugiata all’isola di Ponza. Purtroppo, per un errore di manovra dei comandanti in sottordine, la squadra troppo si avvicinò all’isola, suscitando la reazione dei turchi che, con centoventi galee si misero all’inseguimento degli imperiali i quali avevano preferito ripiegare, piuttosto che accettare un così impari e inutile combattimento. Dopo venti ore di inseguimento ben sette galee del Principe risultarono catturate. Ma la minaccia di una forte tempesta obbligò i turchi a ritornare indietro, mentre il Doria, costretto ad affrontarla, ne ebbe ulteriori danni.

Solo quando, rientrati a Genova e riparati i danni alle navi, poterono rimettersi in navigazione, i tremila tedeschi furono portati a Napoli, mentre la flotta turca - che ben pochi risultati aveva avuto dalla sua spedizione - se ne ritornò in Levante, unitamente a ventisei galee francesi.

Il Principe che, per maggior sicurezza, volle restare a Napoli fino alla fine d’ottobre, per avere conferma che i turchi erano rientrati alle basi, avrebbe poi voluto partire per Genova, necessitando di riposo. Purtroppo non gli fu possibile perché il Vicerè, che aveva progettato una azione contro Siena, voleva avere al suo fianco il Principe, per portarla a compimento. Questi, che già aveva combattuto i Senesi nel suo viaggio per Napoli, a difesa di Orbetello da loro assediata, e che li aveva costretti a togliere l’assedio, avrebbe voluto che fossero accelerati i preparativi. Ma solo nel gennaio, dopo molti rinvii e molte incertezze, il Vicerè ordinò alle truppe di muoversi, e si fece trasportare a Livorno dal Doria, che proseguì subito per Genova. Ma non fu lungo il suo riposo poiché, avendo sentito di una altra poderosa spedizione turca, volle far ritorno a Napoli, per poter più facilmente parare ogni colpo dell’avversario.

A Napoli lo raggiunse don Garcia di Toledo, con le truppe reduci dalla lotta contro Siena, portando la triste notizia della morte del Vicerè suo padre.