Don Zeno: Il sovversivo di Dio/Commento

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Don Zeno: Il sovversivo di Dio Don Zeno: Il sovversivo di Dio



a cura di Cesare Neri

L’infanzia e la giovinezza

Zeno Saltini nasce a Fossoli di Carpi l’anno 1900 da una tipica famiglia patriarcale: agricoltore di singolari capacità, il nonno Giuseppe ha accumulato un cospicuo patrimonio fondiario, i cui segmenti sono affidati ai figli. Giuseppe conserva, però, l’unità della gestione, e tutti i nipoti si sentono membri della stessa famiglia. Zeno confronta la sicurezza che regna nel solido edificio economico e affettivo con la precarietà delle famiglie isolate dei braccianti, che nella Bassa vivono in condizioni di grande miseria. Per tutta la vita considererà il modello familiare dell’infanzia l’archetipo della solidità sociale.

Innamorato della vita tra i campi e di chi vi lavora lascia la scuola per le opere della campagna. Fossoli è collocato sul limite di paludi che vengono bonificate nei primi decenni del secolo. Zeno assiste allo sciamare, le mattine d’estate, delle schiere di operai che si dirigono al duro lavoro nel fango. Da quegli uomini ama ascoltare, in paese, discussioni e narrazioni. Il loro credo è quello socialista, di cui percepisce l’anelito di giustizia: con la formazione cristiana che riceve in famiglia e in parrocchia sarà uno dei cardini del suo mondo ideale. Fondamentale, nella definizione dei suoi convincimenti, la figura del parroco, don Sisto, un prete che ha partecipato al moto di rinnovamento della predicazione cattolica verso le masse oppresse che è stato arrestato da Pio X con l’anatema contro il “Modernismo”. Nel 1918 viene richiamato con l’ultimo scaglione destinato al fronte. La guerra termina, però, durante il breve addestramento in un campo del genio telegrafisti. Deve completare, così, il servizio militare in una caserma fiorentina, dove si svolge l’alterco con un commilitone di fede anarchica la cui maggiore cultura lo umilia. Decide di studiare per sostenere i propri convincimenti con conoscenze più solide. Congedato, supera gli esami delle medie, del liceo e si iscrive, alla Cattolica, a giurisprudenza.

Negli anni degli studi partecipa alla vita delle organizzazioni cattoliche della diocesi di Carpi, che si svolgono nel clima di violenza che accompagna la nascita del Fascismo. Con le sue schiere di braccianti, Fossoli è un’autentica roccaforte socialista: le squadre che vi fanno irruzione per distruggere le sedi delle cooperative incontrano una difesa vigorosa e perdono due uomini: i giornali "benpensanti" descrivono il borgo carpigiano come centro di brutale sovversione comunista. Gli impegni sociali e religiosi di Zeno culminano nell’organizzazione di un istituto diocesano per la promozione di attività ricreative e l’educazione dei giovani privi di famiglia. La grandiosità dei propositi conduce l’organismo alla bancarotta in circostanze drammatiche. E’ il primo dei fallimenti di un’iniziativa sociale di Zeno, frutto delle incertezze economiche che ne comprometterà i cimenti più impegnativi.


Il sacerdozio e il primo apostolato

L’intensa attività tra un popolo oppresso dalla miseria, e il contatto con la gioventù traviata, convincono Zeno che solo la predicazione del messaggio di Cristo nella sua integralità può salvare una società che reputa avviata al baratro. Per farlo si convince di dover assumere ruolo e potestà sacerdotali. Entra in seminario, il vescovo gli concede di abbreviare i tempi e a trentun’anni è prete. Il giorno della prima celebrazione, nel duomo gremito, è accanto a lui un ragazzo appena uscito dal correzionale, che, salendo all’altare, egli assume come figlio. Chiede al vescovo di condurre una predicazione itinerante nelle parrocchie dove la miseria bracciantile ha allontanato maggiormente il popolo dalla chiesa. Comincia il proprio percorso a San Giacomo Roncole, dove l’adesione al suo messaggio lo tratterrà fino al 1943. A San Giacomo inizia il più appassionato apostolato cristiano e sociale: la sua meta, promuovere tra la popolazione della Bassa forme di solidarietà economica che, fondate sul Vangelo, ricondurrebbero, è convinto, gli impulsi più alti del messaggio socialista nel loro alveo originario. Parallelamente alla predicazione sociale, accanto al primo, accoglie un numero crescente di fanciulli abbandonati, che vivono al suo fianco legati a lui dal più solido affetto, sopportando con lui le cento privazioni imposte dall’insufficienza dei mezzi con cui svolge la propria opera assistenziale. Convinto di non potere sopperire al primo bisogno dei suoi ragazzetti, l’affetto di una donna, invita le giovani a unirsi a lui per ridonare ai figli della sventura l’affetto di una mamma. Per anni l’appello cade nel vuoto. finalmente viene accolto da una giovane di famiglia benestante, che fugge di casa in circostanze drammatiche per assolvere alla missione proclamata da don Zeno.

Alla prima ne seguirà un drappello: le definirà "mamme di vocazione". Con la propria dedizione, con il calore materno che sapranno donare ai fanciulli loro affidati, che negli anni supereranno la cifra di mille, scriveranno una delle pagine più toccanti della vicenda cristiana di don Zeno. Altrettanto straordinaria l’avventura del prete carpigiano come gestore di sale cinematografiche. Dotato di un autentico genio per lo spettacolo, intuisce le potenzialità di attrazione del cinema. Aperta, in parrocchia, una sala cinematografica, il successo lo induce a ripetere l’esperienza in una decina di piccoli borghi che ne sono privi.

La domenica effettua, in motocicletta, il periplo delle sue sale, dove giunge interrompe lo spettacolo e pronuncia un sermone, insieme predica domenicale e apostrofe politica. E’ il modo, spiega, per raggiungere le folle che non frequentano le chiese. Autorevoli esponenti comunisti ricordavano quei sermoni come la più alta opera di educazione civile e morale delle folle della Bassa, oppresse da una miserie secolare. Agiungono note singolari alle memorie degli anni di San Giacomo i rapporti con il fratello Vincenzo, un sacerdote austero che il vescovo, accortamente, nomina parroco di San Giacomo per contenere gli eccessi di esuberanza di don Zeno, e con la sorella Nina, che, rimasta vedova, ha abbandonato i figli per dedicarsi alla cura delle figlie delle prostitute: considerata pazza dai parenti, si è rifugiata nella canonica del fratello. Di "Mamma Nina" si è conclusa, recentemente, al prima tappa della causa di beatificazione. Tra i tre fratelli, il profondo affetto e le differenze di temperamento compongono la sintonia a vigorosi dissensi.

La vita nella parrocchia di San Giacomo, rifugio di fanciulli abbandonati, centro di predicazione sociale, culla di un embrionale movimento del clero innovatore della diocesi, tra continue tempeste economiche, pignoramenti e stravaganti iniziative economiche, costituisce la più straordinaria avventura umana, apostolica e sociale. La arricchiscono i primi volumetto di don Zeno, appassionati, ingenui, toccanti.


La fuga e l’"esilio" romano

Salvo circostanze secondarie, don Zeno non si è mai scontrato, durante la predicazione sociale a San Giacomo, con il regime fascista. Dopo l’armistizio, dal pulpito accusa duramente di irresponsabilità, invece, chi intende continuare la guerra a fianco della Germania. La dichiarazione gli costa il fermo da parte dei carabinieri, che si risolve, in circostanze turbinose, con la liberazione. Rafforzandosi il regime collaborazionista si sente, però, minacciato, e decide di partire verso sud per passare il fronte. Parte, con un camion carico di giovani renitenti, per un esodo avventuroso e praticamente impossibile. Chi lo accompagna è costretto a desistere: la tonaca da prete consente a lui, invece, di giungere al Sangro e di guadarlo, portando sulle spalle un ometto storpio, l’operatore cinematografico assoldato, negli anni precedenti, per insegnare ai suoi ragazzi l’uso della macchina da presa. Al passaggio del fronte segue la sua scoperta dell’Italia in rovine che, occupata dagli alleati, si risveglia a nuova vita sociale e politica. Al termine di un lungo vagabondaggio giunge a Roma, dove conosce gli uomini che stanno dando vita alla Democrazia Cristiana: i dettagli sono alquanto confusi, ma è certo che tra lui e quegli uomini appare, invalicabile, un vero abisso. La sua idealità evangelica, ricca di sonorità socialiste e anarchiche, lo spinge alla rivoluzione cristiana, gli fa aborrire l’idea del partito cattolico moderato. Sulle sue idee scrive un memoriale al pontefice, chiedendo un incontro per poterlo illustrare, ma attende invano una risposta.


L’impegno per la rivoluzione cristiana

Allo sfondamento della Linea gotica, deluso della freddezza romana per i suoi progetti rivoluzionari, giunge a Modena, dove riabbraccia i suoi, tra i quali mancano un sacerdote e alcuni giovani che, entrati nelle file della Resistenza, sono stati trucidati con speciale brutalità per essergli stati vicini. Non ha il tempo di visitare i suoi gruppi, però, che le scelte maturate nella riflessione romana lo sospingono alla più frenetica predicazione politica. L’intuito per i sentimenti collettivi gli mostra la vastità delle lacerazioni prodotte dallo scontro tra ideologie contrapposte: si convince che l’unica risposta alle angosce del paese sarebbe l’accendersi di una grande rivoluzione egalitaria nel segno del Vangelo. Comincia a percorrere le piazze emiliane lanciando il proclama "fate due mucchi!": i ricchi da una parte, i poveri dall’altra, al di là di ogni connotazione ideologica. Costituendo la schiacciante maggioranza, il "mucchio" dei poveri conquisterebbe un potere incontrastabile. E’ la risposta ai leader democristiani che hanno irriso le sue proposte. La Chiesa lo osserva, lo contiene, qualche cardinale gli dichiara simpatia, il pontefice, che gli ha rifiutato l’incontro richiesto, lo invita a colloquio. L’insistenza del Governo per il rispetto degli accordi inducono, però, le autorità vaticane a impedirgli l’atto finale della sua predicazione: il congresso costituente di un grande movimento sociale che, secondo la sua indole, ha preparato, comunque, con approssimazione tale che, fosse stato celebrato, è impensabile avrebbe prodotto il risultato sperato. La grande campagna di comizi nelle piazze dell’Emilia ribollente nello scontro politico propone alla rievocazione l’epopea di una predicazione evangelica altrettanto ricca di circostanze drammatiche e di amenissimi aneddoti.

L’insuccesso degli sforzi per creare un movimento civile da contrapporre ai partiti che contendono il consenso nazionale riconduce don Zeno a concentrare le energie sulla collettività di donne e ragazzi cresciuta attorno a lui prima della guerra, le cui dimensioni aumentano, ora, quotidianamente, dilatate dalla folla dei fanciulli lasciati senza genitori della tragedia bellica, e dagli adulti che nella tragedia hanno maturato il convincimento dell’urgenza di una svolta radicale, la svolta di cui identificano il manifesto nella predicazione di don Zeno. L’accrescersi della sua schiera suggerisce al prete carpigiano il proposito di organizzarla in piccola società autonoma: la sua stessa esistenza costituirebbe, si convince, lo stimolo, per le folle che non hanno compreso il suo messaggio, ad un decisivo sforzo di rinnovamento morale e sociale. Alla ricerca di una sede in cui insediare la sua comunità, le difficoltà di un grande acquisto immobiliare e il gusto per i gesti spettacolari lo inducono a scegliere il campo di concentramento realizzato, durante la guerra, nel suo villaggio natale, Fossoli, come centro di raccolta dei reclusi da inoltrare nel lager nazisti. L’occupazione pacifica del campo, che coglie di sorpresa il mondo politico, costituisce un avvenimento di risonanza nazionale: dal giorno del suo compimento la comunità di Fossoli diventa, per la contestazione civile di cui il suo alfiere ne fa il centro, il baluardo attorno a cui si combatte un crudo scontro politico ed ecclesiastico.


Il duello con la D.C. e la gerarchia

Ribattezzato Nomadelfia, la città dove "la fraternità è legge", l’ex-lager è, per cinque anni, il teatro di uno straordinario esperimento sociale: la costruzione di un consorzio civile che ricalca la comunità cristiana descritta dagli Atti deli Apostoli, nella quale tutti i beni economici erano comuni, ciascuno produceva secondo le sue capacità e riceveva secondo i suoi bisogni. Gli sforzi per costruire una convivenza ordinata, scuole, attività ricreative, e quelli per organizzare una vita economica, sono, insieme, titanici e disordinati. Mentre la città propone con singolare eloquenza l’essenza dei legami evangelici che si propone di tradurre in realtà, l’approssimazione delle scelte economiche crea un baratro di debiti che sarà il fulcro sul quale faranno pressione gli avversari per scardinare la nuova società del Vangelo.Sono anni di incontri e scontri appassionanti. Visitano Nomadelfia, e ne restano entusiasti, grandi giornalisti, industriali, prelati e uomini politici, oltre alle schiere popolari incantate dal messaggio di fraternità che vedono modellato in pratica di vita. La determinazione con cui don Zeno addita nella comunità l’antitesi alla società borghese che sta rinascendo sulle rovine della guerra rende sempre più crudo, però, il conflitto con il partito al potere e con la gerarchia ecclesiastica che con la Democrazia Cristiana ha stabilito l’alleanza più solida. Di fronte al predicatore della traduzione sociale del Vangelo, tanto il partito cattolico quanto la gerarchia sono, tuttavia, profondamente divisi, annoverando nelle proprie file fautori e nemici del ribelle, uomini inclini alla mediazione, alfieri della drastica estirpazione del focolaio sovversivo. Lo scontro si sviluppa, così, per oltre tre anni, come una cruda partita a scacchi, tra drammatici colpi di scena e cambiamenti di campo di più di un protagonista. La rievocazione di quella partita, che è possibile effettuare grazie ad una ricca documentazione, non può non suggerire emozioni e commozione.

Alla fine Mario Scelba impone la propria legge: donne e bambini sono crudelmente separati, decine di giovani che avevano abbracciato il grande ideale di fraternità sono costretti dalla polizia a lasciare la città dell’utopia cristiana. Corona una vicenda di grande drammaticità la serie di incontri tra don Zeno ed i prelati romani nel cui corso si concorda la sospensione della potestà sacerdotale del prete carpigiano: don Zeno potrà riprendere la guida dei resti della sua comunità, ma lo dovrà fare senza più coinvolgere, a ragione del ruolo sacerdotale, la Chiesa. Raccoglie i brandelli disorientati della sua armata in Maremma, dove amici milanesi gli hanno donato una vasta superficie di boscaglie e campi pietrosi. Tra quelle boscaglie un lungo silenzio inghiottirà il prete carpigiano e la società dell’utopia di cui per un lustro ha imposto la presenza all’opinione politica e religiosa del Paese.


La riabilitazione religiosa, le disillusioni, il circo di Dio

Per un uomo abituato a predicare, in abito talare, un fazzoletto rosso al collo, in dialetto modenese, il trapianto in Maremma significa l’inizio di un lungo, doloroso esilio dall’opinione pubblica. Anche tra chi lo ha seguito nella prova, le difficoltà e la durezza del suo pugno nella guida della comunità, producono, tra le pietraie e i sughereti, numerose defezioni. Il lungo silenzio ha fine, nel 1962, quando Giovanni XXIII riammette Zeno Saltini alla celebrazione dei sacramenti. E’ un evento salutato con esultanza dalla stampa: nel clima di fervore del Concilio, dal prete che ha condannato senza incertezza, durante lo scontro tra la democrazia e il comunismo, i legami tra autorità ecclesiastica e potere politico, la coscienza cattolica attende un indirizzo luminoso nello spirito dei tempi nuovi.Don Zeno condivide le speranze riposte in lui, e nutre la certezza che non le deluderà. Attiva, così, una serie crepitante di iniziative di immensa ambizione, e di assai più scarsa consistenza, del tutto sproporzionate alle forze della comunità, che coarta senza requie stigmatizzandone l’incapacità a conseguire mete di cui egli non vuole riconoscere l’irraggiungibilità. Dopo quattro anni dalla storica celebrazione la comunità è di nuovo gravata di debiti e pervasa da una grave crisi di identità. Preoccupate, intervengono, di nuovo, le autorità vaticane: Nomadelfia non è più, tuttavia, la polveriera politica del 1952, e l’intervento può, con discrezione, riorientare una quieta navigazione.Don Zeno sente, intanto, avvicinarsi la fine della propria parabola, percepisce l’impossibilità di accendere la rivoluzione sociale e religiosa che fino all’indomani della riabilitazione religiosa era certo fosse suo compito innescare. Si convince che gli indugi tradiscano la sua missione di predicatore, e decide di gettare gli ultimi anni in un nuovo apostolato itinerante.

Assolda un coreografo, trasforma i ragazzetti della comunità in corpo di ballo, acquista una tenda immensa, e inizia a percorrere, ogni estate, le località di villeggiatura proponendo spettacoli di danza folkloristica che interrompe, secondo la formula della giovinezza, con una predica, che il pubblico ascolta con affetto anche quando, negli ultimi anni, l’antico, focoso eloquio si trasforma in malcerto sermoneggiare.Il vecchio rivoluzionario percepisce in dissolversi dei sogni antichi? Crede che dal suo teatro-tenda possa ancora sprigionarsi una forza capace di trasformare il mondo? Sono domande senza risposta, domande che fanno della figura del vecchio predicatore un personaggio a metà tra il profeta e il vegliardo onerato di grandezza e di sconfitte di alcune somme creazioni poetiche. Sono le domande che propone il libro di Antonio Saltini, il nipote che con il “sovversivo di Dio” ha trascorso quattro drammatici anni, un libro che vuole infrangere l’oblio che ha inghiottito l’apostolo della rivoluzione di Cristo per imporne la figura tra i protagonisti degli anni Cinquanta, gli anni di De Gasperi e di Scelba, di Togliatti e di Pajetta, di padre Lombardi e Giorgio La Pira. Un libro che propone gli interrogativi di una biografia ricca di epos, che non pretende, con lucida umiltà, di formulare risposte, quelle risposte che ogni lettore è invitato a ricercare nella propria scoperta di un paladino appassionato della fraternità del Vangelo.