Le odi di Orazio/Libro secondo/VI
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VI.
Settimio, che con me verresti a’ Gadi
E al Cantabro non anco al giogo avvezzo
Ed alle Sirti barbare, ove l’onda
4Maura ognor bolle,
Tivoli, eretta dall’argèo colono.
Della vecchiezza mia fosse la sede,
Fosse riposo a me di terre e mari
8E d’armi stanco!
Ma se maligne il vietino le Parche,
Vedrò il Galesio fiume, a le impellate
Pecore dolce, e il suol cui lo spartano
12Falanto resse:
Più di tutte le terre a me quel caro
Angolo ride, ove all’Imetto il miele
Non cede, e a gara col Venafro viene
16Verde l’oliva.
Quivi una lunga primavera e verni
Tiepidi manda il cielo; Aulon, vestito
Di fertil bacco, non invidia in nulla
20L’uve falerne.
E te quel loco e quei beati colli
Chiamano meco: là d’una pietosa
Lagrima spargerai la cener calda
24Del vate amico.