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così detto equilibrio delle probabilità, e meditano seriamente i colpi da tentare, tutta un’architettura di giuoco, consultando appunti su le vicende de’ numeri: vogliono insomma estrarre la logica dal caso, come dire il sangue dalle pietre; e son sicurissimi che, oggi o domani, vi riusciranno.

Ma non bisogna meravigliarsi di nulla.

— Ah, il 12! il 12! — mi diceva un signore di Lugano, pezzo d’omone, la cui vista avrebbe suggerito le più consolanti riflessioni su le resistenti energie della razza umana. — Il 12 è il re dei numeri; ed è il mio numero! Non mi tradisce mai! Si diverte, sì, a farmi dispetti, magari spesso; ma poi, alla fine, mi compensa, mi compensa sempre della mia fedeltà.

Era innamorato del numero 12, quell’omone lì, e non sapeva più parlare d’altro. Mi raccontò che il giorno precedente quel suo numero non aveva voluto sortire neppure una volta; ma lui non s’era dato per vinto: volta per volta, ostinato, la sua posta sul 12; era rimasto su la breccia fino all’ultimo, fino all’ora in cui i croupiers annunziano:

Messieurs, aux trois dernier!

Ebbene, al primo di quei tre ultimi colpi, niente; niente neanche al secondo; al terzo e ultimo, pàffete: il 12.

— M’ha parlato! — concluse, con gli occhi brillanti di gioja. — M’ha parlato!

È vero che, avendo perduto tutta la giornata, non gli eran restati per quell’ultima posta che pochi scudi; dimodochè, alla fine, non aveva potuto rifarsi di nulla. Ma che gl’importava? Il numero 12 gli aveva parlato!

Sentendo questo discorso, mi vennero a mente