Trasformazioni industriali e trasformazioni linguistiche nel cinema americano del dopoguerra/Introduzione

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Introduzione

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Trasformazioni industriali e trasformazioni linguistiche nel cinema americano del dopoguerra Capitolo 1

Il presente lavoro muove dalla constatazione che nel dopoguerra il cinema americano ha subito un lungo processo di trasformazione durante il quale si è trova to nella necessità di dover re-impostare buona parte della sua organizzazione interna e rivedere i criteri ai quali aveva improntato i modelli della produzione. Sarà dunque nostra intenzione cercare di comprendere innanzitutto in che modo il cinema americano si è trasformato, quali sono state le cause che l'hanno portato alla crisi degli anni '60 e attraverso quali risorse ha potuto far fronte ad essa, fino a giungere all'attuale assetto industriale e linguistico. Ci sarà possibile capire meglio, allora, cosa è effettivamente diventato il cinema americano al termine di questo processo di trasformazione.

Ma, naturalmente, tutto ciò non può non interrogare anche quello che nel frattempo è successo da quest'altra parte dell'Oceano, in Europa. Qui la particolare attenzione alla quale il cinema americano continua ad essere sottoposto coinvolge contemporaneamente sia la "Old Hollywood", vale a dire il cinema classico americano studiato nelle sue varie manifestazioni al fine di comprendere l'articolazione ed il linguaggio del cinema stesso in generale, sia la "New Hollywood", la quale da parte sua ha subito una singolare metamorfosi per cui è stata etichettata in un primo momento come cinema contro il sistema, poi come cinema contro, ma dentro, il sistema, ed infine è stata considerata il nuovo cinema del sistema. E tutto questo è avvenuto secondo una visuale tipicamente europea. Dice bene Adriano Aprà che "la tentazione di contrapporre ad un sistema chiuso, il cinema americano (inteso come modello, che si prolunga in altre cinematografie) un sistema aperto, più flessibile, più ricettivo, che si potrebbe poi identificare con l'idea di un cinema 'europeo', cinema d'arte in quanto erede delle 'libertà' anti-industriali della tradizione artistica, questa tentazione ricorrente si è ancora una volta dimostrata fuorviante, anche se non cademmo nella trappola di chi da questa opposizione traeva un giudizio di valore: per noi il cinema americano restava il Cinema, anche se non era il cinema di cui andavamo in cerca, che ci serviva per rifondare il nostro bisogno di un cinema che fosse sincrono con i ritmi più rapidi della realtà che ci circondava. Forse, possiamo dirlo solo ora, cercavamo nel cinema ciò che non osavamo vedere nell'odiato oggetto del salotto di famiglia" 1.

Proprio quest'ultimo punto di vista, quello cioè che mette a confronto il cinema e la televisione, non è privo di interesse ai fini della individuazione dei termini e dell'influenza di un dibattito che, iniziato negli anni '50, quando sembrò procedere secondo i parametri di una contrapposizione frontale tra cinema e TV, proseguì negli anni '60 conformandosi alle nuove esigenze dettate dalla commistione mediologica, per giungere agli anni '70 quando si è caratterizzato fortemente intorno ai problemi della specificità dell'uno o dell'altro mezzo di comunicazione. Cinema e televisione si trovarono comunque molto vicini alla fine degli anni '60, nel momento cioè in cui Hollywood fu costretta a rivedere l'intero suo assetto industriale.

Le linee portanti di questo riassetto erano già tracciate da un pezzo, ma solo la conquista di Hollywood da parte della generazione dei filmmaker cresciuti e formatisi nella nuova realtà sociale del dopoguerra porterà a compimento l'intero Processo di trasformazione. Occorre però che si interroghi il senso di questa trasformazione, e ciò è parso a noi possibile attraverso l'evidenziazione dei punti di contatto tra il versante industriale e quello linguistico, una chiave di lettura che ci è sembrata pertinente ad una spiegazione del tragitto percorso dal cinema americano nel dopoguerra. Del resto, come rileva Gianfranco Bettetini, "non dobbiamo dimenticare che la produzione di senso, nel cinema, è stata fino ad oggi economicamente più impegnativa di qualunque altra manifestazione semantica, tanto da contraddistinguere il fenomeno, fin dalle origini, come fatto industriale e da iscriverne lo scambio dei prodotti nell'ambito delle comunicazioni di massa. La stabilizzazione delle forme filmiche deriva quindi da un loro continuo asservimento alle leggi della domanda e dell'offerta, al conseguente strutturarsi in rapporto all'ideologia media dominante nel contesto sociale entro il quale il film viene prodotto e consumato e non è affatto indice di alcuna struttura perpetua del linguaggio cinematografico, capace di adattarsi sul piano dell'espressione ad ogni tipo di sollecitazione contenutistica" 2.

Detto questo ne consegue che una carta d'identità fedele del cinema americano del dopoguerra risulterà non tanto dall'applicazione di uno schema critico che riproduca la dicotomia, tra l'altro di matrice europea, tra una produzione cinematografica "artistica" (classificabile di serie A) ed una "industriale-consumistica" (classificabile di serie B), quanto piuttosto dal comprendere come l'industria, le idee ed il prodotto siano indissolubilmente legati e come il cammino del cinema sia inevitabilmente condizionato dalla sua stessa collocazione all'interno dei mass-media. Questo è quanto cercheremo di illustrare nel corso del nostro lavoro. In particolare vedremo quanto l'attuale assetto del cinema americano venne determinato dalla profonda crisi che sconvolse Hollywood in seguito al fallimento della propria politica di produzione negli anni '50 e '60 ed in che misura i conseguenti sommovimenti dell'apparato economico sembrano essersi alfine stabilizzati in un nuovo linguaggio di produzione, costruito attraverso le opere e gli autori, coincidente in gran parte colla configurazione industriale di Hollywood.

I primi due capitoli si occuperanno di individuare gli elementi principali della trasformazione sociale, economica e tecnologica del cinema americano del dopo guerra e al tempo stesso di fornire una descrizione il più possibile completa dell'attuale struttura industriale di Hollywood. Per quest'ultima ha sempre avuto un qualche peso la considerazione che "la creazione può utilizzare tutte le lacune del grande sistema capitalistico industriale" 3. Non a caso dunque, proprio negli anni '70 emerge e si impone ad Hollywood la necessità di una diversa formulazione della nozione di autore, sempre meno "author-director" e sempre più "author-director-producer".

Così pure la separazione tra "circuito culturale" e "circuito commerciale", un tempo assoluta e incolmabile, è oggi superata, ridotta a un filo sottile, riconoscibile più sulla base di pretestuosi criteri di natura ideologica che sulla base effettiva delle caratteristiche di una precisa produzione cinematografica. Questi saranno gli argomenti che metteremo a fuoco nel terzo capitolo, laddove si vedrà come questa "nuova figura d'autore" inizia a farsi largo quasi inconsapevolmente nell'attività che Roger Corman svolge alla metà degli anni '50 e nel corso degli anni '60 in collaborazione colla prima tra le compagnie cinematografiche indipendenti sorte nel dopoguerra, l'American International Pictures, ma si affermerà in modalità diverse e originali soltanto nel lavoro che i suoi ex-collaboratori hanno realizzato lungo gli anni '70.

In questo senso l'"officina Corman" assume un ruolo di primo piano nel panorama del cosiddetto "nuovo cinema americano": è una fase crucia le del passaggio dalla "Old Hollywood", che basava la sua forza sul meccanismo dei generi e su una politica di alti costi di produzione, alla "New Hollywood", sorta dalla crisi delle Majors e nella quale acquista una particolare importanza la presenza ai vari livelli degli autori-produttori, provenienti in prevalenza dalle scuole di cinema delle università americane, ma anche dalla pratica cinematografica d'avanguardia dell'underground. Sono loro le attuali forze trainanti di una industria del cinema che si mostra legata da una parte agli interessi finanziari che in essa hanno i grandi conglomerati americani e arricchita dall'altra dalla pervicace presenza di compagnie che praticano una politica di più bassi costi di produzione, ma non per questo meno competitiva sul piano commerciale. Dalla azione concatenata di queste due realtà economiche, le Majors e le case indipendenti, nasce dunqe la forza dell'imponente "macchina creativa" hollywoodiana. Tenendo presente questo quadro, nel quale già si intravvedono le possibili implicanze di natura industriale e linguistica, ci è parso allora interessante ripercorrere alcune fasi dell'evoluzione di una delle forme più caratteristiche del cinema americano: il western.

Se nel cap. III abbiamo preso in esame la manipolazione americana di ciò che è essenzialmente "europeo", vale a dire una certa nozione di cinema d'autore trasposta in U.S.A., nel cap. IV abbiamo inteso considerare ciò che è essenzialmente "americano", i modelli organizzativi ai quali si è andato adeguando. La divisione all'interno del western tra "seria-A" e "serie B", riflesso della più generale separazione tra "artistico" e "commerciale" nel cinema, ed il superamento di questa stessa divisione della produzione sopravvenuto in seguito alla maturazione delle caratteristiche del genere, ci offrono un ulteriore spunto per ribadire l'opportunità di una comprensione adeguata della nozione americana d'autore; questi è l'ideale possessore di quelle energie creative atte a mettere in moto un apparato dustriale altrimenti destinato alla più pedissequa ripetizione di presumibili formule di successo. Non si tratta dunque di optare per una scelta in favore dell'uno, l'autore, o dell'altra, l'industria.

La Hollywood degli anni '70 ha dimostrato chiaramente che l'autore "è" la politica delle case di produzione e che quest'ultime non possono fare a meno di colui che raccolga intorno a sé la produzione e nel tempo stesso si esprima, cioè costruisca la sua opera. Proprio su questa base, anzi, Hollywood ha fondato gran parte del rinnovamento delle proprie strutture organizzative.


Note

  1. Adriano Aprà, "Tre fasi del cinema americano negli anni Settanta", ne Il Patalogo, Annuario 1980 dello spettacolo, v. 2, pag.131
  2. Gianfranco Bettetini, Produzione del senso e messa in scena,Milano, Bompiani, 1975, pag.22
  3. Edgar Morin, L'industria culturale, Bologna, Il Mulino, 1963, pag.42