Un romanzo/XXVIII
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XXVIII.
Noi non terremo dietro al funerale dei due amici che l’amore aveva inimicato e che la morte ricongiunse nell’eterno oblio.
Non ci occuperemo neppure del nuovo amante della contessa, perchè è intorno a Giulia che si stringono i nodi di tutto questo romanzo ed è lei che deve darci lo scioglimento.
Passati alcuni giorni, calmato il primo impeto del dolore che — siamo ragionevoli — non poteva essere disperato, ella era immersa in una placida malinconia; e un po’ per delicatezza, un po’ per trovarsi libera scendeva raramente dalla signora Chiara. Ma una sera ricomparve nel salotto verde — e l’ottima signora la volle soffocare sotto le carezze. L’avvocato non c’era; sua sorella che stava ideando un tappeto all’uncinetto mise le lane da una parte e facendo sedere Giulia al suo fianco le annunciò che aveva gran cose a dirle.
— Brava, così mi farai passare la tristezza.
— Non ti annojerò?
— Al contrario; ho bisogno di distrazioni.
— Ebbene, allora devi sapere.... ma non ti ho detto nulla della chiave?
Si interruppe, pensando che rifacendo quel racconto, toccava un tasto inopportuno — scivolò sui dettagli e disse semplicemente:
— Pompeo, senza accorgersi, ha perduto, uno di questi giorni, una piccola chiave ed io che sto sempre alle vedette per scoprire il suo segreto....
— Ma sei sicura ch’egli abbia un segreto?
— E come! Sta a sentire. Ho trovato dunque questa chiave che, naturalmente, mi guardai bene dal rendergli....
— Oh! oh! — interruppe nuovamente Giulia minacciandola col dito — uno spionaggio!
— Ho sempre fatto così! — rispose la signora Chiara con un candore e una semplicità che l’assolvevano. — Vedo mio fratello che soffre, a qualunque costo vorrei conoscerne il motivo; l’intenzione è buona e per l’intenzione si può scusare anche una indiscretezza. Del resto....
— Sì, sì — disse Giulia accorgendosi di averla mortificata — scherzo, sai? Ne’ tuoi panni e col tuo amore per il signor Pompeo farei lo stesso. Continua, mi hai messo in curiosità.
— Dove sono restata?
— Ancora alla chiave.
— L’importante era di sapere che cosa apriva; tutti i suoi tiretti li conosco, e non mi ero mai accorta che la sua scrivania avesse ripostigli nascosti. Basta. Scelsi un’ora ch’egli trovavasi in Tribunale, e mi chiusi nella sua camera. Rovistai tutto, ma sconfortata stavo per rinunciare all’impresa, quando....
Giulia avvicinò la sedia.
— Sotto lo sfondo di un cassettone, in un angolo, vidi una scatoletta di legno intarsiato, chiusa, leggera e che sembrava affatto vuota.
— Dunque, nessun segreto?
— Aspetta.
Giulia rattenne il fiato. La signora Chiara, pratica dei romanzi interessanti, sapeva tener sospesa l’attenzione, e si investiva dell’altezza della sua parte.
— Quantunque la scatoletta sembrasse vuota, io non volli lasciarla senza aver tentato la prova della chiave.
— E così?
— La chiave entrò trionfalmente nella toppa.
— L’hai aperta?
— L’ho aperta.
— E contiene?
— Indovina.
— Delle lettere?
— No.
— Un ritratto?
— No.
— Una ciocca di capelli?
— No.
— Un fiore avvizzito?
— No.
— Nulla! fece Giulia impazientita.
La signora Chiara inarcò le ciglia, ed alzando tutte e due le mani col pollice e l’indice stretti insieme e battendoli in cadenza nel vuoto, sillabò:
— Un faz-zo-let-to.
L’aspettativa di Giulia fu delusa.
— Non altro.
— Altro.
— Che significato ha un fazzoletto chiuso in una scatola? Era un fazzoletto nuovo?
— Usato; ma elegante, di batista, con una ghirlandina ricamata torno torno.
— Fammelo vedere.
— Volontieri; bisogna che vada a prenderlo.
La signora Chiara si alzò.
In quel momento l’uscio si aperse e Pompeo presentossi augurando la buona sera.
Le due amiche si ricambiarono un’occhiata che voleva dire: Pazienza!
Dopo gli ultimi avvenimenti, il contegno di Pompeo era diventato più bizzarro che mai — sempre timido, ma non più uniforme e preoccupato, chiuso in un mesto silenzio.
A volte pareva invaso da subiti entusiasmi, discorreva discorreva interessandosi di tutto, dei lavori di sua sorella, dei disegni all’uncinetto, del bel tempo, di teatri, di mode. Altra fiata mostravasi taciturno, ma i suoi occhi espressivi riflettevano il lampo di pensieri e speranze giulive.
Cessate le pratiche per la separazione, egli erasi assunto l’incarico di mille altre brighe riguardanti l’eredità di Olimpio, intricata di debiti e di pasticci d’ogni sorta — e non di rado doveva abboccarsi con Giulia per darle spiegazioni e informazioni in proposito.
In questi momenti appunto Giulia si accorgeva che l’avvocato era distratto, e più d’una volta lo sorprese a leggere una carta a rovescio o a cercare la frase d’una lettera, in mezzo ai numeri di una somma.
Per un sentimento di delicato riguardo, egli non andava mai a trovarla in camera; quando aveva qualche cosa da comunicarle la faceva avvertire che si trovava a’ suoi ordini e Giulia discendeva nel salotto verde.
Per tal guisa non si erano più trovati soli dopo la gita al podere — gita che aveva lasciato nel cuore di Giulia un ricordo di infinita dolcezza e di cui le immagini, sovente evocate, le facevano chinare gli occhi davanti ai bruni occhi di Pompeo.
Quella sera Pompeo era piacevolissimo.
Si ciarlò, si rise. D’uno in altro argomento, la signora Chiara venne a parlare del tempo passato. Giulia, allora, era appena uscita di collegio, timidissima, riservata, e non s’era nemmeno accorta che dalle finestre dirimpetto qualcuno si occupava di lei.
La signora Chiara assicurò che Pompeo doveva vederla tutte le mattine quando prendeva la sua lezione di piano — ma Pompeo cambiò improvvisamente discorso introducendo una discussione sulla musica italiana e la musica straniera.
A undici ore si separarono — la signora Chiara, nell’accomiatarsi da Giulia, le strizzò l’occhio, come a dire: Domani, per quella faccenda.... — E all’indomani Giulia non aspettò che fosse calata la sera per discendere dall’amica. Una curiosità strana la dominava; una impazienza, un interesse che parevano gemelli di una più che tenera amicizia.
La misteriosa scatoletta era pronta, la signora Chiara fu pronta anch’essa ad aprirla, cavandone fuori il fazzoletto che distese sotto gli occhi meravigliati della giovane vedova.
E quando dico meravigliati, non esagero punto, chè anzi devo aggiungere: si mutò in volto, le battè il cuore forte e forte, e non disse parola nel timore che il tremito della voce avesse a tradire l’emozione che la dominava.
Quel fazzoletto di batista con quella ghirlandina ch’ella aveva ricamato e di cui riconosceva i fiori ad uno ad uno, era il medesimo cadutole dalla finestra nel viale dei pioppi e sparito in un modo sopranaturale.
Un tumulto di pensieri strani e discordi si cozzavano nella mente di Giulia. Che cosa doveva credere? Era forse Pompeo l’ombra da lei intraveduta quella sera? — e perchè raccogliere il fazzoletto?
— Che te ne pare? domandò la signora Chiara.
Giulia, un po’ rimessa dalla prima impressione, rispose con simulata indifferenza:
— Secondo me questo fazzoletto non vuol dir nulla; è senza iniziali, non è accompagnato da una lettera, da una memoria, neppure da una data!
La signora Chiara che sperava molto sull’entusiasmo di Giulia, rimase mortificata dalla sua freddezza e ripiegando il fazzoletto mormorò:
— Eppure c’è un segreto. Per niente non si nasconde un fazzoletto come fosse un tesoro — anzitutto questo è un fazzoletto da donna....
— Un deposito forse! — interruppe Giulia. — Gli avvocati sono spesse volte confessori e confidenti.
— Me lo avrebbe detto!
— Mai più! Se è un segreto....
— Ah! dunque convieni che è un segreto.
— Sì — ma non di tuo fratello.
Giulia arrossì immensamente nel pronunciare queste parole perchè pensava alla singolare fusione dei loro due segreti — e le prese una smania di trovarsi sola per fantasticare a suo agio.
Si alzò con un pretesto e corse a rinchiudersi nella sua camera.
Questa volubilità di condotta sorprese la buona signora Chiara — ma che cosa avrebbe detto se, cambiata per il momento in un essere invisibile, avesse potuto seguirla di sopra e vederla cadere in ginocchio, pregando fra i singhiozzi:
— O Signore, non illudetemi con nuove larve — ho già sofferto tanto!