Viaggio in Terrasanta (Frescobaldi)

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Leonardo Frescobaldi

1385 Diari di viaggio letteratura Viaggio in Terrasanta Intestazione 12 settembre 2008 75% Diari di viaggio

[1] Partîmi io Lionardo di Niccolò Frescobaldi da un mio luogo a dì 9 d'agosto 1384, la vilia del beato messer santo Lorenzo, e andâne a Firenze, dove mi trovai con Giorgio di messer Guccio di Dino e con Andrea di messer Francesco Rinuccini, onorevoli nostri cittadini, ché insieme dovavamo fare e facemmo il detto pellegrinaggio.

[2] A dì 10 d'agosto 1384, il dì di santo Lorenzo, nel nome di Cristo crocifisso ci partimmo della nostra città di Firenze e andammone a desinare con Guido di messer Tommaso di Neri a uno suo luogo fuori della porta a San Gallo presso alla Lastra; ed è la verità che il detto Guido dovea venire in questo viaggio. Anzi fu sua mossa, essendo noi ambasciatori insieme nel Comune di Firenze al vicario del re Carlo in Arezzo per cavarne la compagnia del conte Alberigo di Barbiano e quella del Villanuccio, i quali erano nella detta città e aveanla messa a saccomanno.

[3] E perché il detto Guido per la sua virtù era molto occupato per faccende del nostro Comune, e per suoi propri fatti e di parenti e amici, perché di poco tempo era morto il padre, e' si licenziò da Giorgio predetto e da me, perciocché nel primo ragionamento non era inchiuso Andrea Rinuccini. E a ciascuno di noi tre chiese il terzo delle indulgenzie di nostra andata, e ognuno gliele donò lietamente piaccia a Dio farlo valevole a lui e a noi.

[4] Ancora perché poco innanzi messer Nofrio, frate romitano e maestro in sacra teologia, allora vescovo di Volterra, come che dipoi e' fusse vescovo di Firenze, tornò ambasciatore per lo nostro Comune dal re Carlo (il qual re, se fusse vivuto, aveva animo di fare il detto passaggio oltra mare, e perciò portava per divisa, egli e chi gli promettea l'andata, una nave disarmata nel petto dal lato manco; e i cavalieri la portavano d'oro, e gli altri d'ariento; e quando facessono l'andata, la doveano portare armata), il sopradetto messer Nofrio fu richiesto, se il re facesse questa andata, di fargli compagnia, perciocché, oltr' all'essere sofficiente maestro in teologia, egli era sovrano e gran predicatore. Ed egli il promise e impalmò.

[5] Ora, perché io Lionardo Frescobaldi sono servitore e compare del detto messer Nofrio (e sa molto de' miei pensieri, perocché prima che fusse vescovo di Volterra, essendo egli frate di Santo Spirito, più volte m'ebbe in confessione), e' comandommi per parte del detto re e per sua mi pregò, come che' suoi prieghi mi sieno comandamenti, io procurassi i porti e paesi di là, sicché alla mia tornata ne dessi notizia dove si potesse comodamente pigliar porto a gente d'arme, e procurassi e fiumane e luoghi e siti da campeggiare e quali terre fussino atte a vincere per battaglia, come che di ciò io sia poco sperto, benché per lo mio peccato mi sono ritrovato in sette battaglie di campo.

[6] Disinato che avemo al luogo del sopradetto Guido, egli e più altri nostri parenti e amici, fra' quali fu alcuno de' miei figliuoli, che allora n'avea sei tra maschi e femmine e la donna gravida, ci accompagnarono gran pezzo verso la Scarperia; e facemmo la via per Bologna e per Ferrara. E navicando per lo fiume Po, per la via di Chioggia giungemo a Vinegia, dove ci fornimo di stramazzi' e panni necessari al pellegrinaggio per mare e per lo diserto, donde speravamo passare. E la nostra stanza deliberammo fusse in casa di Giovanni Portinari, grande mercatante fiorentino e a me parente; nel qual luogo io ammalai d'una continua e due terzane, ma per la grazia di Dio prima cercai le indulgenze e' luoghi notabili di Vinegia.

[7] Alla chiesa di Santa Lucia vedemo il suo corpo intero, ed è bellissima reliquia, e hannovi i Vineziani grandissima divozione. Al monastero delle Donne di santo Zaccaria, padre di santo Giovanni Battista, in uno altare vedemo interi e saldi, e son bellissime reliquie, il corpo del detto santo Zaccaria e quello di santo Giorgio di Nazaret e quello di santo Teodoro martire. Nella chiesa di Santo Cristofano, nello altare si dicono come è il corpo suo, e noi vedemo il suo ginocchio, ed è grandissima cosa a vedere. Nella chiesa di San Giorgio, fuori di Vinegia, vedemo lo braccio suo, e il corpo di santo Paulo martire e la testa di santo Felice.

[8] Nella chiesa di Sant'Elena, madre di Costantino imperatore, fuori di Vinegia, vedemo il corpo suo intero, ed è bellissima reliquia; e vedemovi un gran pezzo del legno della Croce e uno dito della mano di santo Iacopo apostolo e tre dita della mano di Costantino imperatore. Nella chiesa di Santo Donato a Murano, fuori di Vinegia, vedemo una grande arca di pietra, entrovi centonovantotto corpi di fanciulli piccolini interi, li quali dicono che furono del numero degli innocenti che Erode fece uccidere; a' quali si vede li colpi e le fedite chiaramente e ogni membro naturale.

[9] Dicono che soleano esser dugento, ma, quando i Viniziani feciono la pace col re d'Ungheria, per patto n'ebbe due. Nella chiesa di Santa Marina in Vinegia è il suo corpo; la detta santa Marina, essendo fanciulla, si partì dal padre e dalla madre con vestimenta masculine ed entrò in uno monastero di monaci mostrando essere garzone, e molte cose le furono apposte, credendo fusse maschio. Visse in santa e perfetta vita, e alla sua fine rendé l'anima all'Altissimo Iddio.

[10] Trovammo a Vinegia molti pellegrini franceschi e alquanti viniziani, fra' quali fu messer Remigi Soranzi, il quale convitò una sera a cena tutti quelli che dovevano andare al Sepolcro, che fummo grande numero, e feciono capo di lui. Fececi grande onore e la sua casa pareva una casa d'oro, e havvi più camere che poco vi si vede altro che oro e azzurro fine; e costògli dodicimila fiorini, e bene tremila ve ne spese poi egli. Trovamovi di nostri fiorentini, per andare al Santo Sepolcro, Santi del Ricco, Simone Sigoli, Antonio di Paolo Mei e un prete di Casentino.

[11] Tutti questi pellegrini viniziani e forestieri volevano andare al Santo Sepolcro in Gerusalem senza andare a Santa Caterina o in Egitto; salvo che noi tre, ch'eravamo mossi insieme con uno famiglio per uno e aggiunto uno spenditore, voleano tutti questi altri fare il viaggio in sulle galee per prendere ogni sera porto. Noi diliberamo fare porto in Alessandria e quivi principiare le nostre cerche per lo Egitto; noleggiamoci in su una cocca nuova di dodici botti, pagando ducati diciassette per testa.

[12] Vedendo questi pellegrini fiorentini che noi volevamo fare le cerche maggiori d'oltremare e principiare ad Alessandria, crebbe loro l'animo: accozzaronsi con noi e deliberarono fare quello che noi.

[13] Fatte tutte queste cose che detto è, io infermai: e il tempo del muovere s'appressava, e i medici dinegavano il mio entrare in mare; di che Giorgio e Andrea raunarono certi mercatanti fiorentini e più viniziani amici de' fiorentini, e, praticato co' medici, diliberarono che quella volta non si andassi più avanti e che noi ci tornassimo a Firenze. E tutti insieme se ne vennono in casa di Filippo di Iacopo Filippi nostro fiorentino, in casa di cui io era tornato perché v'era la madre e la moglie, per esser meglio curato, perché in casa i Portinari non erano donne.

[14] Quivi propose messer Remigi Soranzi, dicendo: "Voi fiorentini non siete usi alle tempeste del mare come siamo noi e gli altri delle terre marine; ed entrando i più sani del mondo in tanto pileggio quanto è di qui in Alessandria, si lacera ogni robusto corpo di qualunque marinaio. E pertanto tutti noi, sanza niuno discordante, diciamo e consigliamo che tu non ti metta in mare, e non volere tentar Dio". E gli altri ratificarono il suo dire.

[15] Alle quali parole risposi che io non tentava Iddio, anzi mi rimetteva nella sua misericordia; e che, non che fare d'uno infermo sano, ma d'uno morto vivo gli era leggera cosa; e che io era disposto vedere prima le porte del Sepolcro che quelle di Firenze e, se Iddio avesse permesso che il mare fusse mia sepoltura, ch'io era contento.

[16] A tutti questi ragionamenti furono presenti i medici che mi curavano e il padrone della nuova cocca in su che andammo in Alessandria, lo cui nome era messer Lorenzo Morosini, e il nome della cocca era Pola. Di che, veduta mia intenzione, il padrone della cocca mi proferse la sua camera, ch'era allato al timone; e così attenne.

[17] I medici ordinarono la mia vita e di cibi e confetti e argomenti e ciò che bisogna a uno infermo, facendomi fare il letto come fussi nella camera mia a Firenze. Il prete di Casentino, il quale s'era accompagnato con noi, ancora era ammalato in Vinegia; e veggendomi entrare in mare, diliberò di fare il simile, e così fece.

[18] In Vinegia ci fornimmo di molte cose, infra le quali ci comperò Filippo di Iacopo Filippi una botte di buona malvagìa; e fra le altre cose che comperammo si fu uno cassoncello per mettervi dentro certe nostre cose di vantaggio, come s'era libri di Bibbia e di Vangeli e Morali e tazze d'argento e altre cose Sottili.

[19] E dal detto cassoncello spiccai una di quelle spranghe che si conficcano nel coperchio dalla parte di sotto, e con uno bruscone votai parte, sicché dentro vi nascosi secento ducati nuovi di zecca, de' quali n'erano dugento di ciascuno di noi tre; e dugento ducati portai di grossi viniziani d'argento e cento in oro, e l'avanzo insino in settecento ducati per uno portamtno per lettere in Alessandria a Guido de' Ricci, che v'era pe' Portinari, e in Damasco ad Andrea di Sinibaldo da Prato, che v'era pe' detti Portinari.

[20] A dì 4 di settembre nel 1384, la mattina di buonora tutti noi pellegrini ci comunicammo del vero corpo di Cristo, la maggior parte alla chiesa di San Marco; alle più propinque chiese ci comunicammo il prete e io per la infermità: e fummo in tutto quattordici. La detta mattina tirarono la detta cocca tre miglia di lungi da Vinegia, e quivi missono le ancore in mare e compierono la sua carica, che il forte erano panni lombardi, ariento in verga, rame, olio e zafferano.

[21] La sera a ora di vespro entrammo in sur un brigantino a sedici remi, e con noi molti nostri amici fiorentini e viniziani, e andamocene alla cocca; e fattoci il segno della santa croce, vi montammo su noi e la nostra compagnia; e beuto con questa brigata, eglino ismontorono della nave e tornoronsi a Vinegia.

[22] E noi nel nome dell'onnipotente Iddio facemmo vela; e perché la cocca non era ancor compiuta, la coverta né i castelli, vi vennero su molti maestri che tuttavia lavoravano; e soldò il padrone, oltre a quegli del servigio della nave, da quindici balestrieri giovani da bene. Sicché tra mercatanti e pellegrini e soldati e la brigata della cocca pareva assai onorevole brigata.

[23] Così navicando con soavi venti per lo golfo di Vinegia per insino presso al Sassuno, quivi avemmo un poco di fortuna. Ma perché la nave era nuova e grande, parea si facesse beffe del mare. Ma una galea disarmata, carica di pellegrini, che veniano dal Sepolcro, perché era vecchia, aperse e affogaronne circa a dugento, tutti povera gente; e per pagare poco nolo si missono in su sì cattivo legno, come avviene le più volte, ché le male derrate sono de' poveri uomini; ma, secondo la nostra santa Fede, costoro s'aranno avuto miglior mercato di noi, perocché penso sieno a' piè di Cristo.

[24] Noi navicammo otto giorni bene; poi cominciò una grandissima fortuna e riducemoci all'isola del Giante, dov'è al dirimpetto un monte vòlto quasi come arco, il quale fa coverta a' venti, il qual monte si chiama Lispanto; e questo, secondo li loro vocaboli greci, diriva da uno serpente che era in quel luogo chiamato Lispanto; e appresso a quel luogo è una vena nerissima, la quale mena gran quantità di pece, ed èvvi per questo grandissima puzza di pece riarsa. [25] Quivi soggiornammo sei dì, andando a prendere rinfrescamento di cavretti e d'agnelli con quattro corna e di polli e d'uova e formaggio e frutte, come che poche frutte vi si trovano, se non carubi, cioè pomi; e questi, quando sono secchi e tragga vento, fanno grandissimo romore perché si percuote l'uno con l'altro; e havvi grandissima quantità di grana da tignere panni.

[26] E restati i venti, ci tirammo in sul mare e facemmo vela, avendo i venti per noi, e a dì 19 del detto mese giugnemmo a Modona, il quale è bel castello e ben murato, ed è nelle parti di Romania; e quivi si ricoglie il forte della Romania che si navica per lo mondo. E quivi giugnemmo di vendemmia, dove non trovammo niuno vino vecchio, e le romanie nuove che fanno empiono tutte le loro botte drento di ragia a modo d'intonico; e se cosi non facessono, per la grassezza del vino, tutto diventerebbe verminoso: per la qual cosa non so che si fusse peggio tra l'uno all'occhio e l'altro al gusto.

[27] E quivi trovammo per podestà un gentile uomo viniziano della casa de' Contarini, il quale ci fece grandissimo onore con farci lettere al consolo de' Viniziani in Alessandria e a quello di Baruti e a quello di Damasco e al gran turcimanno del soldano; il quale era viniziano rinnegato e avea per moglie una nostra fiorentina rinnegata, come, quando diremo delle cose del Cairo, faremo menzione.

[28] Per infino a questo luogo sempre mi tenne la febbre e sempre stetti a pollo pesto, e in questo luogo mi lasciò la febbre. E quivi morì il nostro prete di Casentino, il quale, come avemmo tratto di mare e posto in terra in sur uno stramazzo, passò di questa vita, che prima era stato parecchi dì quasi in fine di morte. Facemolo seppellire nel detto castello a una chiesa dell'ordine di san Domenico, la quale v'è.

[29] Dirimpetto al porto di Modona si è un grandissimo poggio, il quale si chiama il Poggio della Sapienza; nel qual poggio anticamente solevano andare i filosofi e i poeti a fare loro arti. E in questo grandissimo monte, alla sommità di esso, si è una certa torre imbertescata di legname in su che stanno certe guardie; e come veggono apparire vele per mare, fanno cenni con certi panni lini bianchi in su mazze, secondo da che parte vengono, avendo dati i segni quanto è di mestieri a difesa e offesa, per modo che 'l porto, che è tra questi due monti, cioè tra quello di Modona e quello della Sapienza, è sicurissimo cosi da' corsali come da' venti. Ha nel Poggio della Sapienza molti eremiti a fare penitenza de' lor peccati.

[30] Quasi a mezzo la costa del poggio si è la chiesa dov'è il corpo di santo Leo; e in quello paese sono molti pedoti, cioè conoscitori dove sono gli scogli del mare coperti dalle acque. Il detto castello, come che molti ignoranti dicono città, è di lungi da Vinegia mille miglia e tengonlo i Viniziani, come per le predette passate parole si può comprendere.

[31] A dì 20 del detto mese di settembre, essendoci la sera dinanzi forniti di rinfrescamento di carne, d'aceto, di formaggio e d'agli, ci partimo da Modona, andando riva riva alla marina infino appiè di Corona, che ancora è de' Viniziani in Romania. E quivi ricogliemmo certe mercatantìe di mercatanti viniziani, ch'erano in sulla cocca dove eravamo noi.

[32] Presa la mercatantia, ci partimmo delle parti di Romania pigliando alto mare verso Alessandria, e lasciammo l'isola di Creti a man manca e a man ritta una isoletta divisa in due parti, la quale si dice si divise per sé medesima quando i Viniziani recarono dalla città d'Alessandria a Vinegia il corpo di san Marco Evangelista, facendo luogo alla nave. Così con dolce tempo andammo insino nel porto vecchio di Alessandria, dove giugnemmo la notte, venendo a dì 27 del detto mese.

[33] E per temenza de' Saracini gittammo i ferri di lungi alla terra, istando di primo sonno insino a dì in tanta afflizione che nello inferno non si potrebbe avere più, sempre essendo la cocca combattuta per costa da' venti, sicché ora andava l'una costa in aria e l'altra a terra, cambiandosi l'una in giù e l'altra in su, sanza avere mai punto di requie o di riposo.

[34] Come fu fatto dì, vennero a noi sopra una grande nave saracinesca certi officiali saracini di quegli del soldano in numero di venti, tra bianchi e neri, e guardarono la mercatantìa e gli uomini che erano in sul legno sanza scrivere niente e portarono la vela e 'l timone, com'è di loro consuetudine. Dipoi vennono gli stimatori del soldano e 'l consolo de' Franceschi e de' pellegrini e' bastagi, cioè portatori, e tolsono noi e' nostri arnesi. E questo dì 27 di settembre ci menarono drento della porta d'Alessandria e rappresentaronci a certi officiali, i quali ci feciono scrivere e annumerare come si fa le bestie e assegnaronci al consolo predetto, facendoci prima minutamente cercare infino alle carni e le nostre cose mettere in dogana; poi le sgabellarono e sciolsono, e cercarono ogni nostro legato di fardelli e di valigie.

[35] E veramente io dubitai non trovassino li secento ducati ch'io aveva messo nel regolo del cassoncello, perché sarebbono perduti e arebbonci peggio trattati. Fecionci pagare due per centinaio cosi di moneta d'argento come d'oro, e di nostre cose, e fecionci pagare ducato uno per testa per tributo. Dipoi ce ne andammo con questo consolo alla sua abitazione, la quale è grandissima e ben situata.

[36] Costui è di Francia e ha moglie cristiana, nata in Saracinia, che tra ambodue hanno meno che una derrata di fede. Assegnocci quattro camere sopra un cortile, nelle quali non ci assegnò altro che lo spazzo e in ognuna una gabbia grande quasi come stia da capponi, sopra le quali ponemmo i nostri stramazzi per dormirvi suso. Dinanzi all'uscio delle camere era di larghezza di braccia cinque una volta in colonne con uno parapetto dinanzi e iscoperta; questa va intorno alla corte a modo di un chiostro di frati, e di sotto alle camere tengono mercatantìa.

[37] Questo nostro consolo ci dimandò se volessimo tornare alle sue spese; dicemogli di sì, e tenneci a taccio. Menocci al consolo de' Viniziani e a quello de' Catalani e a quello de' Genovesi e a Guido de' Ricci, che v'era pe' Portinari; e a tutti avavamo lettere di raccomandigia. Da loro fummo ben ricevuti e da ciascuno fummo invitati una mattina a desinare, e riccamente ci tennono, facendoci grandissime proferte e accompagnandoci per la terra come fussimo ambasciadori.

[38] Sappiate che la città d'Alessandria non è al dì d'oggi dov'ella era al tempo di Faraone re d'Egitto, ma èvvi poco di lungi. In Alessandria vecchia fummo, e ove fu mozza la testa a san Marco Evangelista èvvi perdono di colpa e di pena. Alessandria nuova, la quale prese già il re di Cipri quando fece il passaggio, è quella medesima ch'è oggi. Ben è vero che, poi i Saracini la riebbono, l'hanno molto afforzata di belle mura e di spesse torri su per le mura, tutte tonde, e di buoni fossi, e dicono che tra Saracini e Giudei e Cr;istiani rinegati fa sessantamila uomini.

[39] Istavvi uno ammiraglio con gran gente d'arme a guardia della terra e del paese, e farebbono villania se s'avvedessono che noi guatassimo le loro fortezze, perciocché ridottano più i Cristiani di qua, e quali chiamano Franchi, che non fanno gli altri cristiani di qualunque altra generazione, come che noi siamo minor numero; e quello nominare Franchi procede da' Franceschi, ché tutti ci appellano Franceschi.

[40] La gente dell'arme, ch'è sotto questo ammiraglio, sono tartari, turchi, arabi e alquanti di Sorìa. Costoro non vanno armati del dosso né della testa, salvo che certi caporali, e radi di corazza e di panziera; in capo portano uno cappelletto, avvoltovi intorno una mellina bianca attorciata alla saracinesca di tela di lino. Alquanti v'è che portano arco soriano e una scimitarra cinta. La scimitarra è a similitudine di spada, ma è più corta e un poco torta all'insù e sanza punta.

[41] I loro cavalli sono quasi come barbereschi e d'una taglia e sono gran corridori, e tengogli nella stalla sanza lettiera o mangiatoia; bene tengono loro una covertina a' fianchi; la biada mettono in uno sacchetto e leganlo al capo con due cordelle per modo vi può mettere la bocca drento: e cosi danno la biada.

[42] In Alessandria si è uno signore per lo soldano, il quale è chiamato Lamolec, che tanto è a dire quanto re. Costui istà nelle case che furono di santa Caterina vergine, ma stanno in altra forma che allora, la quale appresso diremo. L'abitazione di questo signore è grandissima, e, prima che tu giunga al palazzo reale, tu truovi una porta grandissima, alla quale trovammo grande brigata di soldati. E il nostro consolo disse a uno di que' caporali: "Il signore ha mandato per questi pellegrini, sicché e' vengono a obbedire i suoi comandamenti", parlando in loro lingua.

[43] Di subito si mosse uno di loro e penò gran pezzo a tornare; dove s'andasse non so, ma di subito ci missono dentro al cortile e menaronci in capo del cortile a un'altra porta, dov'è una bella loggia, ed eranovi di molti baroni e cortigiani. Costoro ci ricolsono lietamente, e parte di loro ci missono in mezzo, menandoci per una bella e larga scala. In capo di questa scala si è una porta d'una gran sala dove tutti fummo fatti scalzare, e poi fummo messi dentro alla sala. Dalla parte di sopra si era a sedere in su drappi di seta colle gambe incrociate questo re, e li suoi baroni gli erano ritti innanzi, ed era bene insino al terzo della sala pieno lo spazzo di bellissimi drappi e tappeti, e intorno per le parti delle mura bellissimi capoletti.

[44] L'altra terza parte della sala anche era di più tappeti manco così orrevolmente nè si bene acconcia. L'ultima terza parte ch'era inverso la porta della sala, donde noi fummo messi dentro, era in su lo spazzo pieno di stuoie bellissime e di giunchi marini. E prima che noi entrassimo in sulle stuoie, fummo fatti inginocchiare e baciârci ciascuno la nostra mano diritta; poi, come giugnemo a' primi tappeti, ci feciono fare 'l simile, e così agli altri dove siede 'l signore. Il quale al suo turcimano ci fece dimandare di molte cose intorno a' nostri costumi, e delle nostre maniere e potenze, e dello imperio e del papato, volendo sapere se era vero che 'l nostro imperadore non avesse presa la corona e se noi avavamo due papi, siccome si dicea per la gente che di qua andavano.

[45] Di nostra potenza, ardire e virtù e dello imperio e papato rispondemmo quanto pensammo che fusse l'onor di Dio e della Santa Chiesa e nostro debito. E questo non dimandava sanza il perché, perocché così era in differenza il Paganesimo come noi, come ne' trattati del soldano vedrete quando parleremo di sua condizione. Partimoci dal detto signore e andammo a vedere la maniera della città, de' luoghi santi e dell'altre degnitadi della detta terra.

[46] Alessandria nuova si è in su la marina, come detto è, ed è grande bene come Firenze, ed è mercantesca terra e massimamente di spezieria, zucchero e drappi di seta, perciocché ha da un lato il mare, ed ivi presso vi corre ed è fatto per forza un canale, il quale esce del Nilo; il quale Nilo esce dal fiume Giordano, che esce dal Paradiso Terrestro, e l'altra parte va per l'India, come per innanzi diremo, e valica presso del Mare Rosso. Sicché per lo mare e per lo Nilo si navicano molte delle dette mercatantìe di mezzogiorno e vengono per le loro carovane in su' cammelli, e tutte fanno capo in Alessandria o in Damasco. E per questo n'è la terra più nobile assai, si perché è appresso alla imperiale città del Cairo, dove istà il soldano, a trecento miglia.

[47] Hanno di costume, quando e' muore uno cittadino da bene, di farlo seppellire a' loro cimiteri, che sono fuori della terra in un campo verso Alessandria vecchia, ed accompagnanlo gran numero di cittadini, secondo la condizione dell'uomo. E s'egli è ricco, sì gli è mandato drieto molti portatori carichi di castroni vivi, i quali si uccidono e dànnosi per Dio mangiare a'poveri e a'sacerdoti. E così ciascuno fa la limosina secondo la sua condizione e potenza, e non si vogliono trovare innanzi in quelle andate nessuno cristiano franco; e trovandoli, farebbono loro villania più che alle altre generazioni di Cristiani.

[48] In Alessandria si è la carcere dove fu messa santa Catarina, e quivi appresso sono due colonne sopra le quali furono poste le rote per martirizzare santa Catarina, le quali, per miracolo di Dio, come la toccarono tutte si spezzarono; e nel mezzo tra queste colonne le fu tagliata la testa. Ancora v'è dove san Giovanni Boccadoro fece la penitenza; èvvi la pietra in su la quale fu tagliata la testa a san Giovanni Battista in Sebastea nella prigione d'Erode. Di fuori d'Alessandria per mezzo miglio si è la chiesa di Santo Atanasio, dove fece "Quicumque vult salvus est, etc. ".

[49] In Alessandria ha molte generazioni di Cristiani come è nel Cairo e in Gerusalem, come per lo innanzi faremo menzione. Sonvi le moschete, cioè chiese de' Saracini, le quali non hanno intagli né dipinture, anzi sono dentro tutte bianche e intonicate e ingessate. In su li loro campanili non hanno campane, e non ne trovamo niuna in tutto 'l Paganesimo, anzi stanno sui loro campanili i loro cappellani e cherici il dì e la notte, gridando quando è l'ora, come noi soniamo. E 'l loro gridare si è di benedire Iddio e Maometto; poi dicono: "Crescete e multiplicate" ed altre parole disoneste.

[50] Fanno i Saracini grande sollennitade il lunedì e dicono che è il loro dì santificato e che gli altri di non s'astengono di niuna disonestà né fanno niuna orazione. Il Lunedì di buonora egli gridano d'insù le loro moschete che 'l popolo si vada a lavare a' loro bagni acciò che le loro orazioni siano esaudite nel cospetto di Dio e di Maometto. Lavati che sono, quasi in sull'ora di mezzodì, se ne vanno nelle loro moschete a fare le loro orazioni, le quali durano circa a due ore.

[51] Come detto è, le loro moschete sono tutte bianche dentro con gran quantità di làmpane accese e tutte hanno il cortile in mezzo, e non vogliono che v'entri niuno cristiano; e chi v'entrasse gli è pena la vita o rinegare la fede. E quando fanno le loro orazioni, tutti e Cristiani Franchi sono serrati in una abitazione chiamata il cane, e sèrragli il canattiere ch'è sopra a ciò; e questo nome diriva da dire che noi siamo cani. Le altre generazioni di Cristiani non sono serrati, ma stanno in casa insino a che sono delle loro moschete usciti.

[52] In Alessandria, tra per fare le cerche e per vedere la nobiltade della terra e per riposarci del disagio ricevuto nel mare e per far fare certe fette di seta alla misura del Sepolcro, le quali son buone a donne che fussono sopra a partorire, e ancora per riempiere la nostra botte di malvagìa per portare con noi del vino nel diserto, il quale ci fu malagevole ad avere (perché la loro legge diniega loro il bere del vino, ce lo convenne procacciare dal consolo de' Viniziani), soprastemmo alquanti giorni.

[53] A dì 5 di ottobre ci partimmo da Alessandria, e pagammo per diritto ducati quattro per testa e fummo assegnati a uno turcimanno e ad un suo figliuolo che ci dovesse rassegnare nel Cairo di Babilonia al gran turcimanno del soldano, il quale è uno viniziano rinnegato, come innanzi faremo menzione. Costui ci fece buon servizio secondo saracino. Questo dì entramo in una giarma saracinesca, cioè barca, al sopradetto canale del Nilo. Appresso ad Alessandria a un miglio, navigando su per lo detto canale, si trova molti casali e bellissime abitazioni di cittadini e molti giardini e terre fruttifere; il forte de' frutti che vi sono si è datteri, cederni, limoni, aranci, cassia, carubi e fichi di Faraone, che fanno sette volte l'anno.

[54] Trovasi per lo detto canale una parata di legname, come se tu dicessi una pescaia; per questa s'allaga e inaffiasi molti giardini e altre terre e pìgliavisi grande quantità di pesci buonissimi e belli, ma trovanvisi cattivi olii da cocerli. Per le parti d'Alessandria e per l'Egitto sono i frutti molto dolci, e massimamente i cocomeri, perché gli pongono donde levano e divelgono la cannamèle del zucchero. Quivi è una generazione di frutte che le chiamano muse, che sono come cedriuoli e sono più dolci che 'l zucchero. Dicono che è il frutto in che peccò Adamo, e, partendolo dentro per qualunque modo, vi trovi una croce; e di questo ne facemo prova in assai luoghi. Le sue foglie sono come d'ella, ma più lunghe; il suo gambo è come di finocchio, ma è molto più grosso, e seccasi e rimette ogni anno una volta.

[55] Lasciasi in sulla mano manca una villa, la quale comincia a lato ad Alessandria ed è lunga circa XII miglia, ben composta di frutti e di abitazioni. Da la mano diritta lasciammo una città la quale si chiama Diminos andando verso la terra degli Arabi. E' di grandezza per mezza Alessandria, di lungi da Alessandria per XXXV miglia di terra cavalcareccia e bello campeggiare; e sappiate che in questa villa da mano manca campeggerebbe ogni grande esercito.

[56] Dipoi uscimo di questo canale ed entrammo nel Nilo per le parti dell'isola di Roseto, e 'l primo casale che trovamo, cioè castello sanza mura, si fu quello di Susa. La detta isola è in mezzo di due rami del Nilo e dalla terza parte è il mare. Sopra l'uno di questi rami del Nilo è la città di Damiata, e sono in questa isola circa dugento ville, grandi come Prato, e la detta città è per due volte Alessandria. Gira questa isola circa cinquecento miglia ed è delle più abbondanti del mondo. In questa isola si ricoglie grandissima quantità di zucchero e di grano e biada e datteri infiniti e havvi cocomeri grandissimi dolci come zucchero.

[57] Trovamo in sulla riva del Nilo uno serpente di lunghezza d'otto braccia e grosso come uno mezzano uomo ha la coscia; il suo colore luccicante e la sua schiena è ronchiosa, come gli schienali delli storioni secchi.

[58] Il detto fiume del Nilo comincia a crescere di giugno, e così viene crescendo infino a ottobre; poi scema per maniera che i piani ch'egli ha allagati si seminano in su quella belletta c'ha fatta l'acqua, gittando il seme sopra essa e rimenandola con loro artificii. Quando il fiume è minore e in canale, l'acqua sua è d'altezza braccia sei; e quando è maggiore, è d'altezza braccia venti: sicché il suo crescere è braccia quattordici e l'allagare è secondo che trova di pianura, che v'è in molte luogora che pare un mare.

[59] E là dove non aggiugnesse l'allagare del fiume ed e'volessino seminare hanno loro artificii di ruote che con buoi le fanno volgere e colare su grandissima copia d'acqua per modo che inzuppa il terreno, sicché si può lavorare e seminare. E questo è loro di nicissitate così fare, perocché in Egitto non piove mai. Il grano che seminano è maturo da mietere in novanta dì; e volendo rinaffiare e lavorare la terra, vi si fa su due riccolte l'anno, come che questo faccino rade volte, perocché non bisogna loro, perché lo Egitto è lo più grasso paese del mondo. E rispondono le loro semente da cinquanta a cento per uno, secondo e paesi, e i loro gambi del grano sono grossissimi e le spighe come pannocchie di panico.

[60] In sulla riva del Nilo trovamo moltissimi garzoni e fanciulle d'età di quattordici anni o circa, tutti ignudanati, neri come carbone, i quali ci chiedevano de' limoni, com'è loro usanza chiedere a chi naviga su per lo Nilo, e noi gli scagliavamo loro, ed eglino ricoglievano sanza avere niuna vergogna d'essere ignudi.

[61] Dall'isola di Roseto in su vi sono due rami pure in uno canale, e da ogni parte gran villate e molti abitanti e ricchi di vettovaglia. Trovasi una città quasi disfatta, che al tempo de' Cristiani fu nobile e ricca; e allora era chiamata, e ancora oggi si chiama, Teorgia. Dal dividere de' detti rami, che abbracciano l'isola di Roseto in giù infino al mare, si ha di corso centoventi miglia, e gira la detta isola circa cinquecento miglia, come detto è; ed è dove fu preso il re di Francia, quando fece il passaggio nelle parti di Saracinia. Al sopradetto re fu posto di taglia due millioni di fiorini e lasciato alla fede, lasciando per gaggio il corpo sacrato di Nostro Signore Gesù Cristo in uno calice, il quale al termine promesso con gran riverenza riscosse. E l'ammiraglio e la gente dell'arme del soldano per questa vittoria e per ischerno della nostra fede portano dipinto nelle loro coverte de' cavagli un calice.

[62] Fra l'isola di Roseto e il Cairo, poco di lunge al fiume, si trova la chiesa di Santo Macario, coperta di piombo, e la sua tribuna è in su certe colonne di' pietra, e in quel luogo è il corpo suo.

[63] Io vidi un guardiano di bestie grosse metterle a valicare il fiume a nuoto dov'era largo più di due miglia e mezzo ed egli ignudo legarsi due zucche lunghe sotto le braccia insino alle cosce, e con una mazza in mano mettendosele innanzi valicò il fiume.

[64] Giugnemmo al Cairo e a Babilonia, che è quasi una medesima cosa, a dì 11 di ottobre, e là quel turcimano a cui fummo assegnati in Alessandria ci menò al gran turcimanno del soldano, il quale è sopra tutti e turcimani del soldano. Costui ci fece mettere in una casa noi e le nostre cose; a questa casa andamo per uno canale che esce del Nilo, ed è questa abitazione circa di tre miglia fra la terra.

[65] Per la via d'Alessandria insino al Cairo trovamo moltissimi navili di saracini carichi di mercatantìe, ed eranovi in su ciascuno grandissima quantità di donne di bassa mano, grandissime mercatantesse, le quali andavano in Alessandria e per l'isola di Roseto a fare loro mercatantìe.

[66] Entrati nella casa, demmo più lettere a questo gran turcimano, il quale era viniziano rinnegato e avea per moglie una nostra fiorentina rinnegata ella e 'l padre, e di là l'acquistò; e fu questo nostro fiorentino gran turcimano mentre ch'egli visse innanzi a costui. Le lettere che gli demo avemmo da' suoi amici da Vinegia e dal consolo de' Viniziani d'Alessandria. Mostrò di vederci volentieri e fececi assai proferte. Bene è vero che un poco ammaninconì, perché nella lettera di Vinegia si raccontava la morte del padre, della quale prima non sapeva.

[67] Nella città del Cairo e di Babilonia abita il soldano. Il suo castello è appunto dove fu quello di Faraone re d'Egitto e dove fu allattato Moisès. Moisès nacque di sopra al Cairo tre miglia e, nato, fu messo in una culla impeciata e messa nel Nilo; ed essendo la figliuola di Faraone alla riva, fece tôrre questo fanciullo e nutricarlo, come dice la Bibbia. Il dì che giugnemo al Cairo tornava il soldano dalla caccia ed era stato più dì, e aveano mille padiglioni, che mai non fu più ricca cosa. Il soldano fu cristiano di Grecia e fu venduto per schiavo quando era fanciullo a uno ammiraglio, come tu dicessi capitano di guerra, a tenerlo per paggio. E quando e' fu maggiore, e' gli diè cavagli appo a sé, e così venne facendosi grande tanto che fu uno degli ammiragli del Cairo.

[68] E sappiate che 'l Cairo ha dodici ammiragli, ma due sono i più principali; e così il Cairo ha dodici contrade, come tu dicessi a Firenze quattro quartieri, e ogni ammiraglio ha a guardare la sua contrada, e ciascuno ha grande numero di gente d'arme sotto di sé, e niuno s'ha impacciare nella contrada dell'altro. E quando egli si vide cresciuto tanto che fu ammiraglio, tanto fece che venne a essere l'uno de' due maggiori ammiragli, e poi ordinò d'uccidere l'altro grande ammiraglio; e fatto che l'ebbe morire, corse la terra per sé, e prese il soldano e miselo in prigione con tutto suo parentado, e corse per tutto il Paganesimo e riformò a suo modo la città. E quando giugnemo nel Cairo, aveva già regnato due anni.

[69] Fatto questo ebbe il califfo, come tu dicessi il papa, e vollesi fare confermare; disse il califfo non lo poteva fare, perocché la loro legge vuole che chi è soldano sia saracino e figliuolo di saracino e che il suo padre era cristiano. Di subito egli 'l fece prendere e mettere in prigione ed elessene un altro, e a quello si fece confermare e rimutare tutt'i cadì, cioè vescovi, di tutte le sue città. E fatto questo con grande ispendio, ordinò con certi cattivi cristiani di Grecia che ingannevolmente gli menarono il padre, al quale per forza fece rinegare la fede di Cristo e circonciderlo secondo la loro legge; di che in brieve tempo tra per la pena e per lo dolore si morì.

[70] Il Cairo e Babilonia si è una grandissima città di lunghezza di miglia dieciotto o più e di larghezza è larga otto miglia. Il fiume del Nilo va allato alla terra ed èvvi buono porto. Eravi, quando vi fummo noi, tanti navilii che, accozzando quanti ne vidi mai tra nel porto di Genova e di Vinegia e d'Ancona, non contando i legni di due coverte, non sarebbono il terzo di quegli ch'erano quivi, come che tutti fusseno di portata di quattrocento botti in giù. [71] Alla piazza del soldano, presso al castello dove egli abita, sta gran quantità di lapidarii, i quali hanno molte pietre preziose, come smeraldi, rubbini, balastri, turchesse, e perle, e di ogni altra ragione. E quivi ne comperò Andrea di rnesser Francesco Rinuccini per la sua donna alcune perle grosse, le quali le recamo con altre cose che Andrea detto ci disse le recassimo quando morì in Damasco.

[72] Di lungi al Cairo XIV miglia valicato il Nilo dalla parte di Babilonia, si trovano XIII granai, di quelli che fece fare Giuseppe al tempo di Faraone re d'Egitto ne' dì della gran fame. Questi sono ancora in piede, come che fussino molti più; e sono quadri e ritratti a modo di diamanti, e sono tanto larghi da piede per faccia quanto è la loro altezza, e gira l'uno un mezzo miglio, e sono molto sotterra.

[73] Come io vi dico, il Cairo è grandissima città ed èvvi molte donne, le quali fanno grandissima mercatantìa. Elle vanno in Alessandria, per l'isola di Roseto e in Damiata e per tutto lo Egitto, come farebbe un gran mercatante, e per la terra vanno cavalcando in su somieri bellissimi e portanti come buoni ronzini grossi, e la maggior parte rasi e dipinti di vari segni. Questi somieri si trovano alle piazze, a' canti e per le strade, e ogni somiero ha il suo fante. Questi non fanno altra arte, né potrebbono fare; eranvi, quando vi fummo noi, di questi somieri circa sessanta migliaia, secondo si dicea.

[74] La loro moneta si è oro e argento in pezzi sanza essere coniato. L'oro chiamano bisante, e vale il pezzo uno ducato e un quarto di zecca; e solo i ducati novi di zecca v'hanno corso. La moneta d'argento chiamano darèmi, e vale l'uno quanto un grosso viniziano; e niuna altra moneta d'argento coniata che questi grossi viniziani non v'hanno corso. Hannovi una moneta di rame sanza conio ch'essi chiamano folari; i novanta di questi vagliono nel Cairo un darèmo, ma altrove per lo Paganesimo vagliono dove trenta e dove quaranta e dove più e dove meno per darèmo, e tutte le loro derrate insino a' cocomeri vendono a peso.

[75] Ha nella città del Cairo circa a venticinque migliaia di Cristiani rinegati, come che de' nostri Cristiani ve ne sia molti pochi, anzi il forte è delle altre generazioni di Cristiani.

[76] Évvi grandissima quantità di cammegli palafrenati, bellissimi e grassi, che non fanno niuna altra cosa che recare acqua dal Nilo a prezzo vendendola per la città. Dicevasi erano centotrenta migliaia di cammelli, e dicevasi nella terra che v'erano tremila mulina a secco; il Nilo è sì grandissimo che non vi si potrebbe fare dentro mulina.

[77] E havvi molte generazioni di Cristiani: Cristiani Latini, e di questi ha pochi, Greci, Nubini, Giorgiani, Tiopiani, Armeni, Cristiani di cintura, i quali si battezzano col fuoco, incendendogli nella testa e nelle tempia, e chi pure nella testa e in una ternpia, e chi pur nella testa, secondo le generazioni. Questi di cintura convertì san Tomaso, e però si chiamano di cintura perché nostra Donna gli diè la cintura sua quando n'andò in cielo.

[78] Per le terre principali d'Egitto è gran quantità di pappagalli e babbuini e gatti di Faraone e bertucce e gatti mammoni.

[79] I vestimenti delle donne sono drappi, il forte, e bene lavorati, e di sotto tele di renso o di lino alessandrino le più nobili; le altre portano boccacini corti infino al ginocchio, salvo che di sopra portano a modo di un mantello romanesco, e vanno soggolate e turate per modo non si vede nulla altro che gli occhi; e le più nobili portano una stamigna nera dinanzi agli occhi, che non possono essere vedute, ma bene veggono altrui. In piè portano un paio di stivaletti bianchi, e portano panni da gamba co' gambuli insino a' talloni, e alle bocche de' gambuli molti adornamenti secondo la condizione della donna: chi seta, chi oro, chi argento, chi pietre e chi perle ricamate in su detti gambuli.

[80] Gli uomini vanno con panni lunghissimi e sempre sanza calze e sanza brache, e portano le loro scarpette a modo di pianelle chiuse, e in capo una mellina di tela bianca di boccaccino e di bisso, e i loro vestimenti bianchi o di seta o di boccaccino o di lino finissimo. Gli uomini dello Egitto sono vilissimi e vanno sanza nulla armatura e alcuna volta fanno quistione che a noi parrebbe che si dovessimo tutti tagliare a pezzi; e come uno grida sta furla, subito sono pacificati; sta furla tanto è a dire in nostra lingua quanto "pace per Dio".

[81] I dodici ammiragli del Cairo è come se tu dicessi i dodici capitani di guerra, e ciascuno ha a governare il suo esercito e le sue milizie e quella parte della città che gli tocca, e niuno non s'impaccerebbe della contrada né della gente dell'altro. I loro soldati sono turchi, tartari, arabi e alcuni saracini di Sorìa e pochi rinegati, così di giudei come di cristiani di qualunque generazione.

[82] Nel Cairo sono elefanti, de' quali è la forma quasi come si dipingono; ed erane uno nel cortile d'uno ammiraglio il quale era legato per tre piedi con tre catene di ferro a tre grossi pali; e sappiate che le sue gambe non hanno giunture nel ginocchio, anzi sono d'un pezzo e sono grosse come un comunale uomo è nella cintola. Il piede suo è tondo come un aliosso e ha intorno sei dita. La coda sua è caprina, gli orecchi sono come ale di pipistrello e grandi come tavolacci d'arme e pendenti in giù come di segugi. Ha due denti di sotto ritti in su, grossissimi e larghi e lunghi circa tre braccia ciascuno.

[83] Il suo naso è grossissimo allato alla bocca ed è lungo infino in terra, sanza avervi dentro osso, e dalla parte di sotto è come due bocche di lamprede; e con questo prende il suo cibo e avvolgendolo a modo di ruotolo all'ingiù e mettendoselo nella bocca. la quale ha dalla parte di sotto quasi come storione, e colle nari del naso gli vedemo vuotare un bacino d'acqua sanza ristare e gittarla alta più di XV braccia, e mugghiava si forte che pareva un tuono. E non è meraviglia, perocché la sua forma era per più di tre grandi buoi da carro.

[84] Il suo gubernale gli pose addosso una grandissima sella, che dalla parte di sopra era ritratta a modo di un pergamo, nel quale sarebbono stati parecchi uomini armati. La sua lettiera era un monte di letame, al quale egli appoggiava i fianchi, perché, essendosi posto a giacere, per non avere giuntura nelle ginocchia non si sarebbe potuto levare.

[85] Trovamovi in un altro cortile tre giraffe. La giraffa si è animale corpolente come comunale cammello, e mansueta come pecora, e di pelo di cervio. I piedi suoi ha fessi come di bue, le gambe di drieto lunghe circa due braccia, la coda come di capra, la schiena corta, le gambe dinanzi lunghe circa quattro braccia, il collo altrettanto, la testa come vitella di latte e corna vestite di pelle come quelle del cavriolo.

[86] La città imperiale del Cairo è doviziosa d'ogni bene, e massimamente di zucchero e di spezierie e d'ogni vettovaglia. Nella detta città albergano fuori la notte, per non aver case, più di centomila persone. Havvi grandissima quantità di questi che sono servigiali a diverse faccende, e il loro prezzo è quasi un darèmo il di, come se tu dicessi di nostra moneta soldi quattro e mezzo o circa. In questa città del Cairo è più gente che non è in tutta Toscana e havvi via che v'è più gente che non è in Firenze.

[87] Nella città è moltissimi cuochi, i quali cuocono fuori nella via, così la notte come'l di, in grandi caldaie di rame istagnate, bellissime e buone carni. E niuno cittadino, per ricco che sia, non cuoce in sua casa, e così fanno tutti quegli del Paganesimo, anzi mandano a comperare a questi bazari, che così gli chiamano. E molte volte si pongono a mangiare nella via, dove istendono un cuoio in terra e la vivanda pongono in mezzo in un catino, ed eglino intorno a sedere in terra colle gambe incrociate o coccoloni. E quando avessono imbrattata la bocca, se la leccano, nettandola colla lingua come cani, ché così sono.

[88] E' non stanno contenti a una moglie, anzi ne tengono tante quante ne possono pascere e non prendono dota da loro, anzi fanno dota alle donne secondo la loro condizione; non pagano però allora la quantità, e così fanno patto quello le debbono dare ogni dì per loro vita, e questo è per di da un darèmo in tre, secondo le condizioni; e i poveri non n'hanno pure una. E quando una delle mogli rincrescesse al marito, e' la fa citare dinanzi al cadì, come se tu dicessi al vescovo, e ivi le dà la dota promessa, e ciascuno rimane in libertà.

[89] E se poi adivenisse caso che la rivolesse, ed ella lui ancora, la dota di nuovo; e così può fare insino a tre volte e non più; se poi egli la volesse, debbala fare usare prima con uno cieco. E havvi di quegli che in prova si fanno abbacinare per istare a tale servigio. Il soldano ha cento mogli, tra bianche e nere, come ebbe Maumetto; e niuna moglie né di signori né di sottoposti non abita l'una coll'altra, anzi ha ciascuna sua stanza di per sé.

[90] La signoria del soldano è grandissima e ha molti re sotto a sé, e sono di tanta obbidienza che assai volte il soldano ha mandato un suo famiglio col suo signale e con una catena di ferro appiccatavi una gogna, e fattala mettere a uno di questi re e menatolo a lui come un cane.

[91] I Saracini del suo regno pagano certe gabelle ordinate, e da indi in su non è posto loro niuna gravezza; ma a' Giudei e a' Cristiani di qualunque generazione, oltre a l'ordinario, hanno a pagare ogni anno, cioè ogni tredici lunari, uno ducato per testa.

[92] I loro anni Domini si cominciano da Maumetto, e ogni anno fanno una quarantina che dura un lunare, e non è sempre d'un tempo. Il loro digiunare è di non mangiare nulla dall'alba del dì insino a sera notte; poi tutta notte mangiano come le bestie, stando fuori per li loro bazari, mangiando carne e ciò ch'è di loro piacere, cantando e ballando. Il di se ne vanno per le loro moschete e a' loro santuari e a' loro perdoni.

[93] Le loro moschete son tutte bianche dentro con gran quantità di larnpane accese. I loro campanili sono alti e sanza campane e hanno ballatoi intorno; sopra questi ballatoi vanno i loro preti a ogn'ora del di e della notte tre volte intorno gridando loro cose; poi dicono: "Crescete e moltiplicate". E sappiate che i Saracini portano reverenza alla Vergine Maria e a san Giovanni Battista e a santa Caterina e a tutti i patriarchi del Vecchio Testamento, e tengono che Cristo sia, da Maumetto in fuori, il maggiore profeta e che non nascesse di corruzione di carne, ma che l'alito di Dio Padre per la bocca dell'angelo incarnasse il Verbo divino; e in molte cose si accostano alla nostra fede.

[94] A dì XII del detto mese facemo le cerche de' luoghi e chiese sante del Cairo e di Babilonia.

[95] La prima chiesa si è quella di Santo Tomaso Apostolo, e tengonla i Cristiani di cintura, ed è devotissima e bella chiesa. La seconda chiesa fu quella di Santa Barbera, ed è divota e bella. e vedemovi il corpo suo. La terza fu quella di Santa Maria della Scala e della Colonna, ed è divotissima e bene adornata, e raccontasi in questa due grandi miracoli: l'uno è d'una colonna. dove nostra Donna è scolpita, che a petizione del vescovo e de' calori' di quella chiesa, calunniando alcuno giudeo la nostra fede in presenza del soldano, ella parlò; il secondo miracolo si è che la domenica mattina, quando vi si dice la messa, vi si vede un lume all'altare. In questa chiesa pigliano i preti cristiani di que' paesi gli ordini sacri dal patriarca, che è pe' Cristiani in quella terra, e vengonvi insino di Grecia, ed ufficiasi pe' Cristiani di cintura.

[96] La quarta chiesa si è quella di Santa Maria della Cava, dove nostra Donna istette nascosa sette anni per paura di Erode, quando si fuggì di Betlem e di Nazaret in Egitto col fanciullo. La chiesa è divotissima quanto niuna del mondo; fecela fare santa Elena, madre di Costantino imperadore, benché ella facesse fare quasi tutte quelle del Paganesimo; e nel luogo dove abitava nostra Donna si è una cappella quasi sotterra e discende nove scaglioni, ed è una caverna di pietra.

[97] Ivi si era il suo oratorio, e oggi sì v'è un altare, sopra 'l quale altare facemo dire messa al guardiano del Monte Sion di Gerusalemme, frate minore e gentile uomo di Vinegia. Avea nome frate Niccolò, era di grande animo e di santa vita; e per la grazia di Dio in quel santo luogo dalle sue mani presi il corpo di Cristo.

[98] Questo frate era venuto per impetrare grazia di potere fare uno convento di frati minori nella valle di Giosafat, dove è il sepolcro della Vergine Maria, ma non gli venne fatto. Ufficiasi pe' Cristiani di cintura che sono in Babilonia. Fra il Cairo e Babilonia, che v'è forse una balestrata, si è la chiesa di Santo Martino vescovo d'Alessandria, dove è il suo corpo, overo la cenere involta in drappi di seta, la quale avemo in braccio. Nella detta chiesa è sotterrata la reina d'Armenia, la quale vi morì quando il re d'Armenia suo marito v'era prigione del soldano. Ufficiasi pe' Cristiani Armeni.

[99] In questa città stemo più dì per nostra devozione, e per cercare le cose dintorno come i granai di Faraone e la stanza di Moisès, e per fornire il nostro carriaggio per valicare il diserto e andare in Terra di promissone. Nella casa dove tornavamo veniva spesso il gran turcimano a bere e farci bere, e mandossene a casa sua la nostra botte della malvagìa, salvo che ce ne lasciò due barlette, ch'erano forse un barile e mezzo de' nostri. Nella casa dove stavamo si era una gran quantità di tortole, e nella camera mia erano tre nidiate di tortolini domestici come i colombi; e così sono là per tutto domestiche come qua i colombi grossi.

[100] Il soldano ha molti ufficiali e dilettasi di sapere novelle, e in un mezzo dì ha lettere d'Alessandria nel Cairo; e queste gli sono portate per certi colombi, che hanno pippioni, e scambiansi in più luogora per lo cammino a colombaie diputate a ciò. In questa terra è grandissima carestia di legname; il loro ardere è foglie di datteri, cioè palma e secce di grano, e sterco di cammegli mischiato con polvere ed altre cattività, e il loro pane è molto male cotto ma è bianco come latte, perocché hanno i grani bellissimi e buoni.

[101] Fornimoci per valicare il diserto di due moggia di biscotto a nostra misura, ed eravamo, tra noi e i famigli e 'l turcimanno e' cammellieri, bocche diciotto tutti. Tolseci il gran turcimanno per passaggio ducati novantasei d'oro e volle più altre cose da noi; prestocci e fece prestare XIV cammelli arabi, che sono quasi silvatichi, e tolsecene il gran turcimanno di vettura novantasei ducati. Questi cammelli non si potevano adoperare se non per lo diserto; e 'l diserto comincia cinque miglia presso al Cairo dalla parte del Mare Rosso e dura per infino a Gazzera, che è presso a Gerusalemme a tre giornate.

[102] Comperammo tre asini per cavalcare per noi, perciò che i nostri cavalli non durerebbono per lo diserto, perocché non si può avere strame; e se pure durassino, non ci sarebbono lasciati cavalcare da' Saracini. Comperamo un padiglioncello per istarvi sotto la notte nel diserto e fornimoci d'aceto per alquanti dì, e di zucchero e di formaggio copiosamente. Portamo più biscotto che non pensavamo ci bisognasse per darne a' calori del monte Sinai e agli Arabi, acciò che non ci facessimo villania, perocché ne fummo avvisati da chi avea fatto il cammino.

[103] Mentre che noi stemo nel Cairo ci abboccammo più volte con questo guardiano del monte Sion, gentile uomo di Vinegia, e io con questo gran turcimanno del soldano, il quale, com'è detto, era viniziano rinnegato. E pensammo fare un bello acquisto, pensando e praticando tra noi: io ho recato a costui da'suoi parenti di Vinegia come ne' di passati il padre era morto, se noi lo possiamo indurre che voglia che noi preghiamo Iddio per l'anima del suo padre e che il sopradetto frate dicesse le messe di santo Gregorio. Dopo lunghe pratiche e con grande arte, per la grazia di Dio, noi lo inducemo a esser contento.

[104] Volemoci abboccare con la moglie per.parlarle il fatto e per vedere se noi potessimo fare alcuno frutto in onore di Dio; e' non volle, dicendo a noi: "Come che ella sia figliuola di cristiano fiorentino, ella non è sperta della fede nostra e ha di me parecchi figliuoli, e sono saracini. Io dubito ch'ella non rivelasse la faccenda, e saremone morti voi ed io; ma io vi prometto che, se il soldano mi manderà in Alessandria e io possa con onesto modo tornare in Ponente, il farò", come che dura cosa gli era lasciare due mogli ch'egli avea e i figliuoli e le ricchezze e lo stato. Pigliammone quello che ne potemo avere e prendemmo comiato da lui.

[105] Comperamo nel Cairo otri e fiaschi di cuoio e altre masserizie quanto e' fu mestiere; poi a dì XIX d'ottobre la mattina innanzi dì ci partimo del Cairo, mettendo tutti e nostri arnesi in su' cammelli, e andammocene a uno luogo chiamato la Materia . Dal Cairo insino appresso alla Materia sono grandissima quantità di giardini tutti impomati di datteri, di cedri e di limoni e aranci e rnuse, che alcuno le chiama pome di paradiso, come inanzi facemo menzione; e così è appomato nella maggior parte dintorno al Cairo.

[106] Il principio del diserto è di lunge al Cairo cinque miglia, e quivi trovamo i quattordici cammelli arabi e' cammellieri; e sappiate che gli altri cammelli non potrebbono valicare il diserto, perocché usi sono a ben vivere, e là non si trova strame, e stassi dua o tre di, e talvolta quattro, che non si trova acqua. Intorno al Cairo dalle parti del diserto trovamo grandissime torme di cammelli di dugento e più per torma da questa parte, e simile buoi, vacche, pecore e capre.

[107] I buoi di quel paese sono grandissimi e grassi, le pecore e i montoni sono grandissimi, e la maggior parte con quattro corna, e loro code sono tonde come taglieri e sono grassissime quasi sevo; e quelle struggono come noi struggiamo il grasso del porco e così l'aoperano nelle loro cucine. Le capre e li becchi hanno gli orecchi lunghi e pendenti in giù come segugi; e quando pascono, gli orecchi toccano terra. Intorno al Cairo, e massimamente dalla parte di mezzogiorno e di ponente, si ricoglie tutto l'anno ceci, fave, poponi, cedriuoli e fagiuoli.

[108] Questo luogo della Materia è quel luogo dove prima si riposò nostra Donna innanzi che entrasse nel Cairo. E ivi avendo sete, lo disse al suo fanciullino Cristo Gesù, ed egli col piede razzolò in terra, e ivi di subito nacque una grandissima fonte e copiosa di buona acqua. E quando si furono riposati, ella lavò colle sue santissime mani i pannicelli del fanciullo; e lavati che gli ebbe, gli tese a rasciugare in su certi arbuscellini di grandezza di mortine di due anni; le loro foglie sono come di basilico, e da quel punto in qua quegli arbuscelli sempre hanno menato e menano balsimo che più non ne nasce nel mondo.

[109] Questo luogo è oggi murato intorno intorno e chiamasi il Giardino del soldano alla Materia; questo luogo sta sempre serrato a chiave e stavvi un fattore del soldano con certi ortolani e con guardie perché il balsimo non sia furato. Ma nondimeno egli è più ladro che gli altri, e noi ne facemo la prova per mezzo del nostro turcimanno, il quale avea nome Elia, e avevaci a condurre per lo diserto insino in Terra di promissione, come innanzi facemo menzione.

[110] Questo fattore ci menò a vedere il giardino e come si coglie il balsimo, il quale si coglie in questo modo: che levano di quelle foglie che sono intorno al gambo come di basilico, e di quindi esce certe gocciuole bianche a modo di lattificio di fico, e con un poco di bambagia ricolgono questo liquore; e quando hanno inzuppata la bambagia, la premono colle dita in una ampoluzza, e penasi un gran pezzo ad averne un poco. In questo luogo stemo tutto questo dì, e per simonia n'ebbi tutto quello che si colse e parecchie altre ampolluzze, e così n'ebbe alcuno de' compagni, ma minore quantità.

[111] In questo giardino si è un fico di Faraone, il quale ha un ramo cavato, dove nostra Donna pose il fanciullo mentre ch'ella lavò i panni. E sappiate che per tutto questo paese per insino al Cairo non è altra acqua, e con questa innacquano tutta la contrada con certi anificii che fanno volgere a' buoi; e mai non vogliono volgere dal sabato sera a vespro insino al lunedì mattina. In questo luogo recamo ogni nostro guernimento, salvo che acqua, per passare 'l diserto, e quivi al tardi empiemo i nostri otri d'acqua e caricamo i nostri cammelli, mettendoci nel nome di Cristo per lo diserto, tenendo verso il mare Rosso per fare la via di Santa Caterina.

[112] Camminammo per insino a dì XXII del detto mese senza trovare acqua né albero veruno, e in questo mezzo non bevvero i nostri cammelli, ma sì i tre asini ch'avamo comperati nel Cairo per cavalcare, i quali portavano come buoni ronzini; a questi demo bere dell'acqua degli otri. La sera giugnemo alla fonte di Moisès, essendo tutto quel dì camminati su per lo sabbione del Mare Rosso, lasciandolo a mano ritta. Questo è quel luogo dove Moisès fece dare ad Aron suo fratello della verga in sulla pietra, donde uscì grandissima abbondanza d'acqua; sicché fu sofficiente a rinfrescare tutto il popolo d'Israel e il loro bestiame quando si partirono d'Egitto al tempo di Faraone.

[113] Giunti che fummo a questo luogo, demo bere a' nostri cammelli e agli asini; e rinfrescati che fummo poi, ci spogliamo in camicia e scalzammoci, e con grande divozione rimondamo e nettamo la detta fonte, che gran bisogno n'avea perché era tutta piena di mota e di cattività. Rimonda che l'avemo, vedemo venire una grandissima carovana di cammelli e di saracini che recavano spezierie delle parti d'India. Di subito il nostro turcimanno ci fece levare quindi e accampare di lungi circa a un terzo di miglio.

[114] Questa brigata si poseno dove eravamo posti noi; e se noi non ci fussimo levati, ci arebbono fatto villania: ed era loro agevole cosa, perché erano venti cotanti più che noi. Costoro levarono campo in sul matutino; poi rischiarata l'acqua della fonte, noi riempiemo nostri otri e seguimo nostro cammino verso il monte Sinai.

[115] Camminammo per infino a dì XXV di ottobre per monti e piagge d'arena trovando poca pianura, e abbattemoci ad alquanti struzzoli, che per quel paese ne sono molti. E in una valle trovamo una fontana d'acqua, dove tendemo il nostro padiglione e abbeveramo i nostri cammelli, che ne aveano gran bisogno perché il paese è caldissimo e 'l sole parea che ardesse quella rena, e massime in certe piagge donde passamo. E non è meraviglia perché vi sia caldo, perocché non piove ivi mai. Il paese tiene di mezzogiorno, e' cammelli non aveano beuto acqua a quelli dì, e credo ne beessino per uno più d'un grande barile; e quivi stemo la notte per insino a mattutino. A mattutino i cammellieri si levarono e presono rinfrescamento d'acqua e caricarono le some.

[116] E sappiate che di notte non lascerebbono salire persona in su' cammelli, anzi conviene che chi non ha asino cammini a piè; quando è fatto dì, e' ti lasciano salirvi suso. E quando tu volessi desinare, ti conviene desinare camminando, perocché non riterrebbono i cammelli prima che vespro e a luoghi diputati, come che là non sia né via né strada, anzi colgono la mira a certi monti, i quali e' sanno quasi a chiusi occhi, come sarebbe un buon pedoto per mare a sapere gli scogli coperti.

[117] E sappiate che questi cammelli arabi, che sono quasi salvatichi, non sono mai istudiati perché più forte camminino né con busse né con grida; anzi hanno per natura che, quando e' sentono dire certe canzone che dicono i cammellieri, giova loro studiare il passo, e per questo modo sono sollicitati così la notte come 'l dì. Hanno per natura che chi dà loro della mano in sul collo, e' s'inginocchiano colle gambe dinanzi e quelle di dietro si mettono sotto il corpo, sicché vengono coccolone, e per questo modo si caricano di grandissimi pesi molto più che niun altro animale che porti soma; e quando sono carichi, a una boce sono tutti ritti. E così quando tu vi se' su a cammino sopra la soma, o senza, dandogli in sul collo, e' s'inginocchia e tu ne puoi scendere: e quando vi vogli risalire, fa' il simile; e pare che questo costume proceda da loro natura per loro mansuetudine.

[118] Poi a dì XXVI d'ottobre, camminando per lo diserto, trovamo quasi tutta quella giornata pianura e greto ghiaioso di diversi colori, e molti pareano paragoni, anzi credo che fussino, e altre pietre come corniuole; e'nostri famigli ne ricolsono alquante. E questo dì camminamo a piè gran parte del giorno, e poi trovamo acqua; bene ci convenne attraversare per essa circa un miglio, e quivi ci rinfrescano noi e i nostri animali e riempiemo i nostri otri d'acqua.

[119] L'altra mattina innanzi dì ci mettemmo in cammino, e in sulla terza noi sentimo su per certi poggi fare grandissime grida, che parea che romoreggiasse il mondo, e correndo giù per le piagge verso noi. Costoro erano gente quasi ignuda e sanza armatura, salvo alquanti che avevano alcuno lanciotto più tristi che dardi; e quello legname che era nel ferro era quasi come canna, ed erano magri e neri e spunti che parevano la Morte. Disse il nostro turcimanno a' cammellieri: "Non ne abbiate paura; e' sono arabi che vengono perché voi diate loro del biscotto".

[120] E così fu, ché, dato che noi avemo a ciascuno un pezzo di biscotto, si partirono sanza fare alcuna novità. Costoro son gente campestre, che non hanno alcuna abitazione né fanno niuno lavorìo, e hanno capitani tra loro che mettono certe piccole taglie alle città d'Egitto, come usano in Italia le compagnie.

[121] Il seguente dì camminamo per poggi più bassi e per pianura di arena, dove scontrammo una carovana di pellegrini franceschi gentili uomini; fra' quali v'erano cinque cavalieri a sproni d'oro, e sbigottiti domandarono come erano ancora morti di noi. Dicemo che solo uno Iddio n'aveva chiamato a sé, e questo fu un nostro prete, che rimase a Modona presso a mille miglia a Vinegia. Risposono a noi che si erano mossi venti cavalieri in compagnia, "de' quali ne sono morti XI, che parte ne abbiamo sotterrati nella rena".

[122] Il paese dove eravamo allotta era una schiena di sassi arsicciati dal sole, e quella arsicciatura leva dipoi il vento d'in sulle pietre; e quella è la rena che è per lo diserto, e molti poggi v'ha che sono tutti pietre iscoperte; e come il sole inarsiccia la pietra, il vento la porta via, e altra rena non è in quello paese perché non vi piove mai. E quando trae vento, traporta la detta arena da un luogo all'altro, e chi vi si trovasse sarebbe a pericolo di morte. Noi tendevamo ogni sera il padiglione e stavamovi sotto, ma le più mattine ci trovavamo tutti gli occhi e gli orecchi e le nari del naso piene di rena, e non avamo quasi acqua da lavarci il viso.

[123] Havvi certe lamate, dove si trova l'acqua di parecchi dì una volta, dove si trova per l'umidore di quella poca acqua certe tignamiche, quasi come pruni, e di queste ardevamo la notte per cuocere quando cocevamo, e di questo pascevano i cammelli. E per queste vallicelle trovavamo alcuno cavriuolo e alcuna lepre e alquanti lupi, ma sono molto minori che i nostri, istruzzoli e istrici assai, i quali pascono di cose che trovano tra quella rena. Havvi grandissima quantità di cotornici e alquanti francolini; ma non v'è chi prenda nullo di questi animali, salvo che que' lupastri si pascono di ciò e de' pellegrini che muoiono nel diserto.

[124] Nel diserto non sono altri alberi maggiori che questi prunicelli, ovvero tignamiche, che si trovano presso alle acque, e non vi si trova casa o cosa che ti dia né rezzo né ombra. perocché non vi piove mai, e per lo gran caldo che v'è non vi possono ire i nugoli, e ti conviene tuttodì stare alla ferza del sole, che pare che altri spasimi; e se tu béi dell'acqua che tu hai negli otri, è più che tepida, e non è corpo sì stitico che non si smuova. Volleci Iddio bene che portamo con noi alquanto sciloppo di limoni con che ci rinfrescavamo spesso.

[125] A dì XXVIII del detto mese giugnemo a piè de' Monti Santi, e ivi nascondemo certa quantità di biscotto, e cominciamtno a prendere la costa e a trovare certe fontane d'acqua e assai arabi, uomini e femmine e fanciulli, e bestiame, cioè capre e pecore. Costoro non hanno niuna abitazione, ma bene hanno certe caverne tra' sassi e non hanno niuna masserizia. Le loro case si è un pezzo di panno lano, il quale hanno cosi gli uomini come le donne, di quella lana grossa che trugiolano di quello bestiame, e questo tessono senza telaio, che pare panno di ginestre, e fanno il pezzo circa a quattro braccia e pongonlo in su certi arconcelli che ficcano in terra, che sono quasi come mezzi cerchi, e quivi sotto giace in terra il padre della famiglia colla moglie e' figliuoli, e col bestiame e' cani.

[126] A dì XXIX d'ottobre giugnemo in sulla pianura de' Monti Santi, dove stette il popolo d'Israel al tempo di Moisè, dove Moisè vide il rubo che sempre ardeva e niente consumava, e dove l'angiolo gli comandò che si scalzasse quando al luogo s'appressasse; e in quello proprio luogo è oggi la chiesa di Santa Caterina, dove giugnemo molto stracchi, e di fuori del sito scaricammo le nostre some. E di subito pe' servigiali della casa furono aiutate metter dentro e assegnatoci una stanza buona e bella. Fummo menati all'arcivescovo del luogo e a' calori, e facemo le processioni a tutti gli altari della chiesa. Poi ci fu dato per ciascuno un mezzo bicchiere di vino e pane e pesce, di quello del Mare Rosso salato in abbondanza, e datoci per guida un frate Giovanni di Candia e uno compagno calore del detto luogo, che ci menasse alla sommità del monte e nelle altre cerche.

[127] Nello altare maggiore di questa chiesa si è il corpo di santa Caterina, e dalla parte ritta dell'altare è una cassetta di marmo coperta d'uno drappo d'oro; in questa cassetta si è la testa e due ossa del braccio di madonna santa Caterina. Dietro all'altar maggiore si è una cappella nel proprio luogo dove fu il rubo di Moisè, ed èvvi seppellito il corpo di san Giovanni Crìmaco, dal quale esce certo liquore bianco come acqua, ed esce per un certo buco, e di questo avemo, e recâne con meco; e non vi si va se non scalzo, come comandò Iddio a Moisè quando andò in quello luogo. Dalle orecchie di santa Caterina esce manna bianchissima, e di questa si dice grandissimi miracoli; e di questa ci diè l'arcivescovo un'ampolluzza per noi, come che poi ne desse ancora a me una. La testa non è adornata di niente, anzi è pure così schietta, ed èvvi su la buccia.

[128] Questa è mostrata dal detto arcivescovo e lasciata baciare e toccare con paternostri e con simili cose di divozione. La seconda cappella si è di San Giovanni Battista, e hanvi soppelliti molti corpi santi, fra' quali è quello di santo Clemente e quello di santo Nofrio, ma non si possono vedere. La terza si è di Santo Iacopo Apostolo; e sono nella testa e nelle facce dallato molte cappelle a modo di qua.

[129] La chiesa è grande e devotissima e bene adorna; e come le nostre salgono alquanti scaglioni all'entrare delle reggi, così quella iscende ed è coperta di piombo, e non ha campana, se non come nel Cairo e nelle altre chiese d'Egitto, e rispondono gli adornamenti di fuori e le mura alla bellezza dentro e alla copritura; e intorno alla chiesa è grandissima abitazione. Dintorno assai di lungi all'abitazione si ha un circuito quadro e grandissimo ed è bene murato e altissimo, ritratto come le Stinche di Firenze, ma è maggior fatto, bene imbertescato e co' piombatoi, e acconcio a ogni difesa di mano. Tra le mura e la chiesa dalla parte dinanzi sono certe cappelle divotissime, fra le quali ve n'è una di Santo Stefano martire. Governasi e ufficiasi e correggesi pe' calori greci sotto la custodia d'uno arcivescovo chiamato per lo patriarca del Cairo e per quello d'Alessandria, ed è confermato per lo soldano di Babilonia.

[130] Sotto questo arcivescovo sono dugento calori, fra' quali ne stanno in questa chiesa centocinquanta tra per ufficiare la chiesa e al servigio della casa; e ciascuno ha abitazione da per sé, e sono di grandissima penitenza, e con ardentissima carità hanno di costume portare al collo un crocifisso di legno nero, e da uno di loro ebbi io il suo. Hanno di costume, quando vacano dall'ufficio o dall'orare, fare esercizi manuali a uno loro orto o fare ad ago loro vestimenti grossissimi. Gli altri cinquanta stanno a ufficiare in su la sommità del monte dove Iddio diè le leggi a Moisè e a Santa Maria della Misericordia, come innanzi faremo menzione, e fanno la medesima vita sanza mai mangiare carne o bere vino.

[131] Nel detto procinto è una moscheta di saracini con molti ufficiatori alla loro maladetta legge; e questo arcivescovo conviene, se non vuole esser disfatto egli e' calori e il luogo, che gli pasca alle sue proprie spese. Oltre a ciò, sono per lo paese molti arabi, gente campestre, come ha in più parti del diserto, e sanza abitazione e lavori. Ben v'hanno certe caverne e alquanto bestiame minuto magrissimo, il quale vive di tignamiche e di pruni, ma hanno abbondanza d'acqua. Costoro sono per lo paese dove stette il popolo d'Israel gran parte del tempo che stettono nel diserto. E tutto questo paese si chiama Monti Santi da' Saracini. Costoro sono per numero circa mille, e ogni dì hanno dal predetto arcivescovo un pane per uno.

[132] Questo luogo è sovvenuto da ogni generazione di Cristiani e da certi saracini, e' peregrini ricchi vi fanno molte limosine; e ha il detto luogo grandi possessioni nell'isola di Creti. Costoro hanno in questo procinto abbondanza d'acqua, e hannovi mulino a secco e forno e ciò che bisogna a mantenere il luogo, e fanno grande onore a' peregrini di ricetto e di vettovaglia e d'aiutare governare le bestie e ogni servigio corporale. Partonsi e pellegrini per andare per lo perdono alla sommità del monte Sinai, dove Iddio diede la legge a Moisès, e trovasi una fonte poco fuori della chiesa dalla parte di sopra, la quale fece Moisès abbondantissima d'acqua; e di quest'acqua si fanno più fonti a uso degli Arabi e a utilità di bellissimi giardini che vi sono di sotto, ché con essa gli adacquano e hannone grande mestiere, perciò che così come al Cairo non piove mai così quivi piove di rado, e allora era stato circa dieci anni che non v'era mai piovuto.

[133] Dipoi, salito certa quantità di gradi, cioè scaglioni di pietra, si trova Santa Maria della Piaggeria, cioè "mallevadore" in nostro vocabolo. E questo nome diriva che, patendo in questo luogo gli abitanti grandissima necessità di vettuvaglia, però che s'infracidava loro il biscotto ed eravi abbondato tanto mal seme, cioè pulci e lendini, e ogni mal seme d'ogni condizione che non vi poteano vivere, e' diliberarono abbandonare il luogo, ma prima andare per lo perdono alla sommità del monte dove Iddio diè la legge a Moisès. Andando, si scontrarono in una venerabile donna; ella li domandò dove egli andavano così tutta la famiglia. Risposono per lo perdono e che poi si volevano partire, perché, per nicissità di molte cose, non potevano più stare in quel luogo.

[134] Ella rispose che non volea che per niuna cagione e' si partissono, anzi tornassino al luogo dove erano stati, promettendo loro che in quel luogo non infraciderebbe più biscotto e non vi verrebbe più niuno mal seme, e che qualunque persona perseverasse di fare penitenza de' suoi peccati in quello luogo gli sarebbono perdonati i suoi peccati. Questa donna che disse queste parole e fece questa promessa si fu la Vergine Maria, e però si chiama Santa Maria della Piaggeria.

[135] Tornati che furono al monistero, trovarono grandissima quantità di cammelli, carichi di vettuvaglia recata dal Cairo di Babilonia per grazia impetrata da Dio pe' prieghi di nostra Donna e di Moisès. Il quale miracolo si manifestò per un fanciullo venuto co' cammelli: che, domandando i calori i cammellieri chi mandava questa vettovaglia, risposono che un buono uomo l'avea comperata nel Cairo e pagato loro della vettura, e sempre era loro venuto innanzi insino a quel luogo per tutto il diserto.

[136] Poi, portando dentro la vettovaglia, uno fanciullo, che era venuto co' cammellieri, veggendo una immagine di Moisès, cominciò a gridare dicendo: "Questi è quello che ci fece la compera e che ci guidò insino presso a qui e disseci che noi in questo luogo scaricassimo i cammelli", dicendo questo garzone voler rimanere in questo luogo e farsi religioso e diventare cristiano; per la qual cosa i cammellieri lo presono e sì lo squartarono. Salito più su certa piccola quantità di gradi, si trova una chiesicciuola di Santa Maria fatta per questa divozione, e ufficianla i detti calori.

[137] Poi, salendo più su, si trova un arco per lo quale s'entra, ché per altro luogo non si può passare, e questo si dice fece Moisès; poi più su se ne trova un altro in propria forma, e questo fece Elia. Dipoi si trova dove Elia fece la penitenza, ed è divota chiesicciuola; e in quel luogo gli portò il corbo il pane celestiale, e in quel luogo gli parlò Iddio. Havvi nella detta chiesa una cappella d'Eliseo; dirimpetto a questa si è una chiesa di Santa Maria Uziaca.

[138] Poi, saliti molti scaglioni, si viene alla sommità del monte, e in quel luogo è un grandissimo petrone sopra lo quale Iddio stette quando diè iscritta sulle tavole la legge a Moisès. E non potendolo Moisès guardare, fece Iddio alzare parte di quello petrone, dove Moisès istette mentre che Iddio gli parlò dicendogli quello di che avessi ammaestrare il popolo suo.

[139] Allato a questo petrone si è una chiesicciuola con due altari e bene adorna di dipinture, nella quale sono seppelliti molti corpi santi, fra' quali è il corpo d'Eliseo; e dall'una parte è per faccia questo petrone in su che stette Iddio quando diede la predetta legge, e tiene tra la pietra e la chiesa quasi i tre quarti della sommità, e da qualunque parte tu guati ti pare essere in aria, e vedi molto da lungi sì per l'altezza e sì per l'aria che è più chiara nelle parti di là che non è di qua, e renderebbe più lume di là una finestra di mezzo braccio che non farebbe qua una di due braccia. Ha di salita dalla chiesa dove è il corpo di santa Caterina insino a questa sommità quattordicimila scaglioni ertissimi, i quali fece Moisès e' suoi più intimi; èvvi in alcuno luogo dove non sono scaglioni, e nondimeno pur v'è l'erta asprissima e difficile a salire.

[140] Appresso a questo monte si è un altro monte, ma non vi si può andare per l'asprezza del luogo, sopra il quale si era un vitello di pietra in quello proprio luogo dove il popolo d'Israel pose il vitello dell'oro quando gittorono le loro anella nel fuoco, che per operazione diabolica diventò un vitello d'oro, il quale tennono e adorarono per Iddio. Questo si vede molto da lungi, e massimamente in quelle parti dove stava accampato il detto popolo, il quale si pasceva di manna che venìa dal cielo. Poi dall'opposita parte si scende del monte, chi vuole ire al monte dove gli agnoli posono il corpo di santa Caterina quando la levarono dalla città d'Alessandria, dove fu martirizzata. Questa scesa è molto malagevole e aspra e rovinosa, per modo che in più luogora conviene ch'altri ponga le mani in terra.

[141] Giunti a piè della costa, si è una bella e divota chiesa, la quale si chiama Santa Maria della Misericordia, e stannovi circa a otto calori di que' dell'arcivescovo di Santa Caterina, come stanno alle altre chiese sopra nominate. Bene è vero che in alcuna più piccola non istanno la notte, ma dalle altre maggiori e più presso le vanno a officiare. Questo luogo è quello dove si ridusse certa parte di quella tribù che si ribellò dalla fede di Dio e partironsi dalle altre undici tribù d'Israel, che tutte e dodici erano intorno a questi Monti Santi. Quella parte che si riconobbono si ridussono in questo luogo partendosi da' loro congiunti, i quali erano presso a questo luogo circa tre miglia; e per lo perdonare che Iddio fece loro si chiama Santa Maria della Misericordia.

[142] Ha di scesa questo monte, da dove Iddio diede la legge a Moisès insino a questo luogo, sei grandissime miglia; e ha in questa divota chiesa molti corpi santi, e ivi di fuori un bellissimo giardino, bene affruttato d'olivi grossissimi più ch'io vedessi mai; e havvi datteri e fichi di Faraone, cederni, aranci e bellissime uve. E ha in quest'orto tre bellissime fontane con grandissima copia d'acqua, colla quale adacquano gli arbuscelli e le erbe di questo orto; ché, se così non facessimo, si seccherebbono, perché sta parecchi anni per volta che non vi piove. Ed è nel detto orto, presso alla chiesa una balestrata, uno oratorio divotissimo, dove santo Nofrio fece la penitenza, e dentro vi stette quaranta dì e quaranta notti sanza mangiare e sanza bere; e ivi il venne più volte a visitare santo Antonio e santo Paulo primo romito, e in questo luogo rendé l'anima a Dio.

[143] Questi calori ci ricevettono allegramente in questo santo luogo e fecionci grande onore; e due di loro insieme con frate Giovanni di Candia e col compagno calore di Santa Caterina, che erano con esso noi, ci vennono a insegnare la via, facendoci lasciare parte de' panni ch'avavamo indosso per andare più leggieri. E ivi dirimpetto, al nome di Cristo e di santa Caterina, cominciamo a salire l'erta con questi divoti e spirituali uomini, andando dove gli angioli posono quello prezioso corpo. Dura quest'erta dalle sette alle otto miglia della più repente costa del mondo; e quando fummo presso che alla sommità quasi a uno mezzo miglio, trovamo un poco di piano, dove ci riposamo un poco.

[144] Poi ricominciamo a salire e trovamo scogli di sassi con grandissime fessure, a' quali sassi in moltissime luogora ci convenia appiccare colle mani portando grandissimo rischio di rovinare; bene ci assicurammo perché quelli calori andavano innanzi a noi e perché è durissima e rossa quasi come pietre focaie. E per niuna altra via che per questa non si può salire a questa sommità; e presso alla sommità tu trovi pietre con dentro figurata la palma per qualunque parte la rompi.

[145] Giunti alla sommità, v'è un odore de' migliori del mondo; e per la grande altezza sì v'è gran vento che non vi si può stare. Questa sommità, dove gli angioli posono questo santo corpo, è un petrone simile a quello dove Iddio diè la legge a Moisès, ma è più rosso e più duro e piglia tutta la cupola del monte. Questo sasso per se stesso diede luogo a questo benedetto corpo e fecevi una forma come se fusse stato di cera calda; e simigliante si vede dallato la forma dove stettono gli angioli; e prima che fusse traslatato questo corpo, vi stette anni cinquecento. Andamo forniti di scarpelli e con essi spiccammo di quelle pietre, le quali si dice sono buone a guarire dalla febbre. E non v'è niuno che per la vita ardisse a levare di quello luogo dove è la forma di quel santo corpo.

[146] D'insù questa Sommità si vede il Mare Rosso, che pare ti sia presso a quindici miglia e pare sangue a vedere; e non è per perciò che l'acqua non sia bianca e chiara, ma è perché l'arena è rossa come cinabro. Vedemovi dentro grande quantità di vele: erano navi che recavano spezierie delle parti d'India; e poi le carovane le portano al Cairo, e per lo Nilo ne vanno in Alessandria, e per altra via le levano e vanno in Damasco. Discendemo per la via che eravamo saliti e tornammo alla chiesa di Santa Maria della Misericordia, dove fummo onorati; e così fanno a ciascuno che sale in sul detto monte.

[147] Dipoi ci partimo e tenemo a piè del monte a mano manca per lo piano, dove si lascia un monticello membro del monte Sinai a mano ritta. In su questo fece porre Moisès in alto il serpente del rame, il quale aveva questa virtù: che qualunque persona fusse stata trafitta da qualunque fiera venenosa, guardando questo serpente, subito rimaneva libera. E questa sera tornamo a l'albergo a Santa Caterina, che fu a dì XXX d'ottobre.

[148] L'altra mattina, che fu la vilia d'Ognisanti, facemo un poco di pietanza a questi calori di biscotto e riso e alquante civaie, ché di ciò ci fornimo nel Cairo di Babilonia. La mattina d'Ognisanti fummo in chiesa coll'arcivescovo e co' calori all'ufficio, il quale è lunghissimo e divoto, come che noi non potevamo intendere cosa che dicessono se non Kirie eleyson per la loro grammatica greca. Non fanno la loro comunione connubbiata né di pasta azzima, anzi di pane lievito, e dicono l'ufficio a una cappella e ad un'altra sacrano il pane; e sacrato, con grande reverenza i calori lo levano da quella e recanlo alla prima. E quivi si comunica l'arcivescovo, e poi comunica tutti i calori, dando loro a ciascuno un boccone di questo pane sacrato; e così ci comunicammo alquanti di noi. E questa mattina desinamo con loro, cioè di loro cose, e il dì andamo riveggendo le luogora sante di questo santo circuito e un poco di fuori.

[149] Dipoi a dì due di novembre ci partimo la mattina di buonora da questa brigata; e sappiate che questi tre monti nominati sono chiamati Monti Santi, e dalla sommità dove Iddio diede la legge a Moisès alla sommità dove gli angioli posono il corpo di santa Caterina si ha tredici miglia, come che la sua orazione dica: "Deus qui dedisti legem Moysi in summitate montis Sinay, et in eodem loco pro sanctis suis angelis, etc. " Qui piglia la Santa Scrittura tutto per parte, ché tutti sono chiamati Monti Santi.

[150] Camminando, giugnemo a piè de' poggi in sul cammino dove avavamo nascoso il nostro biscotto, il quale ricaricato che lo avemo, camminammo quel dì e l'altro sanza trovare acqua, come che noi eravamo ben forniti di quella di Santa Caterina, la quale è buonissima. Qui ci rifornimo d'acqua e abbeveramo i nostri animali, come che questa fusse salmastra. Poi camminando quattro dì sanza trovare acqua, trovatola, ci rinfrescammo, ché ne aveamo grandissimo bisogno. L'altra mattina levamo campo innanzi dì, tenendo verso Terra di promissione e, fatto dì, vedemo assai fiere al modo usato. In sull'ora della nona il nostro turcimanno si partì da noi e disse a' cammellieri: "Camminate, io vi giugnerò".

[151] Parvecene male e pensamo che ci volesse ingannare; di che io gli dissi che questo non mi pareva buon costume. Di che egli rispose: "Non dubitate: voi avete il salvacondotto del soldano e quello del signore degli arabi, e avetegli appo voi, e siete presso a una giornata e mezzo dalla città di Gazera, dove si tiene ragione ed èvvi uno re per lo soldano". E in effetto e' si partì da noi, e poi ci giunse la sera al tardi.

[152] La notte vedemo nel diserto certi fuochi che per insino a qui non avavamo mai veduti, e la sera avemo disagio d'acqua. L'altra mattina ci partimo e spettavamo un poco in sull'ora della terza, e trovamo péste di cavagli e non grande traccia. Poco più oltre a una collina ci riuscirono addosso una brigata a piè e a cavallo armati alla loro maniera, e fra loro era uno che aveva in mano una mazza di ferro. Di subito io dissi al nostro turcimanno: "Tu ci hai traditi"; e mi feci dare ad Antonio da Pescia mio famiglio la mia spada e' guanti. E 'l nostro turcimanno disse: "Non abbiate paura, ché egli è l'ufficiale degli arabi che vogliono vedere il vostro salvocondotto".

[153] E così chiesono come giunsono a noi; di che io lo feci trovare, che era in una nua valigia, ed eravi dentro certe mie tazze d'ariento e alcuno cucchiaio e altre cose sottili. Di subito volevano incominciare a fare saccomanno ma io ne feci difesa, e in questo mezzo e' misono in terra alquante some e batterono e cammelli, e chi si sparse in qua e chi in là. Pure laddove era io rimase il turcimanno e quello della mazza di ferro, dicendo io al turcimanno: "Per certo lo so che oggi i' debbo morire per l'amore di Cristo, ma prima morrai tu, come traditore che tu se'!".

[154] Colui della mazza era sceso, e un altro avea il cavallo a mano; e 'l turcimanno non so che si parlò con lui, se non che mi pregò che io rimettessi la spada nel fodero e che le mie cose sarebbono salve. Dissi loro che noi eravamo compagni e che quello fusse dell'uno sarebbe dell'altro. In questo mezzo certi compagni, che aveano perduto loro cose, dierono per riaverle ducati XXII salvo il vero; e presi che ebbono questi danari, si fuggirono con alcuna cosa de' compagni, ma del mio né del mio famiglio non tolsono niente; e così poteano fare gli altri, però che tutti, eccetto uno, erano più giovani di me. Ricaricammo le nostre bestie e la sera giugnemo all'albergo a un cane poco fuori della città di Gazera, e penamo dieci dì a venire da Santa Caterina insino a Gazera; la quale città confina con l'Egitto e Terra di promissione.

[155] In questa terra istà uno re, il quale ha sotto sé quattro re, fra' quali è l'uno quello di Gerusalem. In questa terra di Gazera fu abacinato, Sansone, e quindi levò le porti della terra e portolle in sul monte; e quivi è là dove fece cadere il palazzo reale tirando la colonna, dove morì chiunque v'era sotto. In quella città fummo messi in uno cane, quasi al principio della terra, dove fummo rinchiusi più dì con molto strazio; e in effetto il nostro turcimanno uscì a dire che 'l gran turcimanno lo avea male trattato e che volea essere da noi ristorato, e rimedimoci da lui per ducati dodici.

[156] Ha di consuetudine questo re, quando vi viene carovana di peregrini, di farne venire qualcuno a sé; e a questo re andai io con alcuno de' compagni. La sua abitazione si è nel più bel luogo della terra ed è uno grandissimo palagio; dinanzi al palagio si è un grandissimo cortile con una porta, dove stanno molti soldati. Dall'altra testa allato al palagio si è una grandissima loggia, dove stanno e provigionati di maggior condizione; ed era al terrato di questa loggia grandissima quantità di nidiate di rondinini, più che mai di state io ne vedessi qui in Toscana.

[157] Dentro del palazzo è una sala terrena, e quivi sta questo re co' suoi baroni e consiglieri e siede in su certi tappeti colle gambe raccolte; e chi va alla sua udienza non entra per la porta del palazzo, anzi sta in uno cortile; e ha tra ' palazzo e il cortile grandissime finestre ferrate, come se tu dicessi quelle dove si batte la moneta a Firenze; e lo spazzo dove sta questo re è più alto che non è il cortile di fuori circa due braccia. Di fuori è il turcimanno insieme co' pellegrini, e conviene che per riverenza del signore altri baci la terra; poi dice quello che vuole al turcimanno ed esso lo spone al re, e poi il re dice suo parere, e sitnile il turcimanno lo spone a' forestieri.

[158] E il più delle volte il re manda i peregrini al cadì, come tu dicessi al vescovo della città, il quale ti fa sedere seco e poi ti domanda; e di costui s'ha assai piacere secondo saracino, e a noi donò frutte e civaie. Poi a dì XIX di novembre ci partimo di Gazera per ire in Terra di promissione, tenendo verso la Valle d' Abor, dove è oggi la Terra di Santo Abram, lasciando il piano della città di Rama a mano manca, dove Sansone uccise grande migliaia di Filistei con una mascella d'asino, come racconta la Bibbia.

[159] Il primo dì camminammo per paese diserto, e la sera giugnemo a uno cane che si dice che una donna fiorentina il fece murare; e in questo luogo albergamo una notte, dando un darèmo per testa per istallaggio al canattiere che conserva il luogo. L'altra mattina ci levamo di buonora e mettemoci a cammino per paese diserto, e in sull'ora del mezzogiorno giugnemo in una valle dove sono alquanti alberi salvatichi e dov'è una chiesicciuola a riverenza di santo Giovanni Battista, la quale fece fare santa Elena; e in questo luogo stette san Giovanni a fare penitenza.

[160] La sera di buonora giugnemo al Campo Damasceno, dove Iddio fece Adam primo nostro padre; e la sera n'andamo all'albergo alla Terra di Santo Abram, la quale è bellissima terra e bello paese, ed è assai mercantesca e favvisi i più begli lavori di vetro e maggior quantità che in luogo ove io fui mai. Ed hannovi riverenza i Saracini e' Giudei, come noi Cristiani. I Saracini non guardano niuna festa in tutto l'anno, salvo che d'ottobre tre dì; e questo è per la festa di santo Abram, quando e' menò Isac suo figliuolo in sul monte per farne sacrificio a Dio. E fanno i Saracini una quaresima l'anno, e basta uno lunare: e questo è la prima luna d'ottobre; e quando veggono l'altra luna nuova, fanno grande allegrezza nè mangiano nè beono tutto il di, ma la notte mangiano carne e fanno ogni disonestà, come detto è.

[161] Ed è nella detta terra una moscheta di Saracini, e già fu chiesa de' Cristiani; e in uno muro, là ove era l'altare maggiore, si è uno monimento del quale si vede una faccia di fuori: l'avanzo si è in una moscheta che non vi si può andar pe' Cristiani; e chi ventrasse gli converrebbe rinunziare la nostra fede o esser tagliato per lo mezzo la cintura. In questo monimento si è il corpo d'Adam e quello d'Abram e d'Isac e di Giacob, e appresso a quello si n'è un altro dove furono seppellite le loro donne, cioè Eva e l'altre. Della sepoltura de' detti patriarchi si cava certo olio nel quale hanno gran divozione e Saracini, e Giudei e tutti i Cristiani delle parti di là così come noi, e di questo recamo ciascuno di noi.

[162] Partimoci a di XXI del detto mese di novembre e andamo verso Betelem, e appresso a questo luogo trovamo una moscheta che già fu chiesa di Cristiani, ed è dove Adam fece penitenza cento anni de' peccati suoi e poi ingenerò Set suo figliuolo. Poi a sei miglia si trova dove Abram vide tre e adorò uno, significando la Deità eterna. E questo medesimo dì giugnemo in Betelem dove nacque il nostro Signore Gesù; nel quale luogo è la chiesa bellissima e grande e di molta divozione, nella quale facemo le nostre cerche e procissioni, ardendo assai cera, secondo l'usanza de' peregrini; e cominciamo le cerche: in prima dove santo Ieronimo fece la penitenza e dove traslatò la Bibbia d'ebraico in latino, ed è seppellito nel medesimo luogo, e della pietra della sua sepoltura ne recamo per divozione a più dottori, i quali ce n'aveano pregati; fra' quali fu maestro Remigi, frate romitano.

[163] E in questo luogo è una cappella sotterra dal lato manco della chiesa. Ivi a lato è un'altra cappella, dove furono gittati molte migliaia di corpi di fanciulli innocenti, quando furono fatti uccidere dal crudele re Erode.

[164] Poi entramo nella chiesa: e a mano ritta è dove Cristo fu circonciso, ed èvvi una cappella a lato all'altare maggiore; dall'altro lato si è uno altare dove i Magi offersono al nostro Signore oro, incenso e mirra, e insino ivi gli accompagnò la stella e poi isparì. Di sotto all'altare maggiore si è una cappella in una spilonca di pietra sotterra, là dove nacque il nostro Signore Gesù Cristo; e ivi circa a quattro braccia di lungi e al dirimpetto a tre gradi più basso si è la mangiatoia dove Cristo fu posto tra 'l bue e l'asino.

[165] Di fuori a questa circa un trarre d'arco si è la chiesa di San Niccolò, dove stette la nostra Donna a lattare Cristo prima che fuggisse in Egitto. Discendendo più basso circa una balestrata, si trova una chiesicciuola, dove l'angiolo apparve a Giuseppe e dissegli: "Togli la donna e 'l fanciullo e vanne in Egitto", e di notte gli mostrò la via.

[166] Venendo di Nazaret poi più basso di lunge ben due miglia, si trova una grandissima chiesa, che la maggior parte è disfatta. In questo luogo apparve l'angiolo a' pastori, quando annunziò loro la natività di Cristo e insegnò loro dov'era in Betelem, e quivi l'andarono ad adorare. In questo medesimo luogo è dove Davit uccise il grande gigante Golia. E in que' tempi stette Davit in Betelem e ivi fu fatto re per Samuel profeta.

[167] Dirimpetto a Betelem in su un alto poggio, di lunge forse due miglia e mezzo, si è dove furono seppelliti i dodici profeti. Appresso a questo luogo si è dove Cristo fanciullo, essendo minacciato di morte, e perché quivi non era persona che 'l potesse palesare, rispose che le pietre ch'erano presenti lo direbbono. E di subito per miracolo quelle pietre diventarono a similitudine di lingue, e così sono insino al dì d'oggi; e per lo paese passa uno condotto d'acqua che va in Gerusalem, dove si possono rinfrescare i pellegrini.

[168] Dipoi a dì XXII del detto mese ci partimo tenendo verso Gerusalem, e dirimpetto e non troppo di lungi si trova là dove si vede Gerusalem; e in quel luogo nostra Donna, essendo gravida e affannata, quando andò in Betelem al tempo del suo parto, si pose a riposare e fece sua orazione. E ivi presso era uno che seminava ceci, e nostra Donna il domandò: "Che semini tu?". Ed e' rispose: "Semino sassi". Ed ella disse: "Ed e' sassi sieno": e di subito diventarono sassi; ed ancora al dì d'oggi vi se ne trova a similitudine di ceci.

[169] La donna si partì e andonne in Betelem, dove nacque Cristo; ed è sterile paese in alcuna parte e la città è quasi disfatta, ché non vi si vede altro che fondamenti e alcuno fosso, salvo che la chiesa che fece fare santa Elena, madre di Costantino imperadore, la quale s'ufficia pe' Cristiani Franchi, cioè di nostra fede, i quali sono sotto il guardiano di monte Sion dell'Ordine di san Francesco.

[170] Ha nella detta chiesa certe cappelle d'altri cristiani, cioè Cristiani di cintura, Cristiani Giacopini e Cristiani Greci. Ancora v'ha una gran quantità di Saracini, i quali per divozione di nostra Donna fanno ardere gran quantità di làmpane il dì e la notte, e danno sussidio alla vita de' detti frati e all'acconcime della chiesa. E veramente questi cotali, se onestamente e sanza paura si potessono fare cristiani, il farebbono.

[171] Il paese di Betelem è montagna, e non è né isterile né grasso e havvi ulivi assai in alcuna parte.

[172] Dipoi andando verso Gerusalem, si trova una cappella con dodici canti per memoria delle dodici tribù d'Israel. Appresso si trova una torricella, nella quale stette Elia a fare penitenza certo tempo, prima che andasse al monte Sinai. Poi si trova alla scesa a andare verso Gerusalem una cisterna, là dove i Magi ritrovarono la stella colla quale ritornarono a casa loro, non per la via di Gerusalem per paura del re Erode. E questo medesimo dì giugnemo in Gerusalem a tard'ora a sera e stracchi, e scaricamo le nostre some e albergamo a uno spedale, dove albergano tutti e pellegrini assai presso alla chiesa del Santo Sepolcro.

[173] L'altro di, a dì XXIII di novembre, facemo le cerche, e prima trovamo la chiesa del ricco, dove stava il ricco che conta il Vangelo che vestiva porpora e bisso; alla quale casa istette il povero e mendico Lazzero, e che poi, dopo la morte, il detto ricco vide Lazzero predetto nel seno di Abram.

[174] Dipoi si trova dove al tempo della Passione di Cristo fu posta la santissima Croce in collo a Simone Cireneo. Dipoi si trova dove la Vergine Maria iscontrò il suo figliuolo colla santissima Croce in collo. E in quel luogo fece fare santa Elena, madre di Costantino imperadore, una bellissima e divota chiesa e fecela chiamare Santa Maria dello Spasimo, per la spasimata pena che nostra Donna ebbe in quel luogo; e quivi è oggi una moscheta di Saracini, e non vi si può entrare pe' Cristiani.

[175] Dipoi si trova la casa dove nostra Donna istette alla scuola; dipoi si trova la casa di Pilato, dove Cristo fu giudicato alla morte, e non vi si può entrare pe' Cristiani; poi si trova quella d'Erode, dove Pilato mandò Cristo nostro Signore. Dipoi si trova il tempio di Salomone, e non vi si può entrare pe' Cristiani. Poi si trova la chiesa di Santa Anna, madre della Vergine Maria, nella quale essa nacque. Dipoi si trova la Porta Aurea, donde entrò Cristo la domenica dell'ulivo in Gerusalem, e sta oggi chiusa, e non vi si può andare pe' Cristiani; ma io feci che 'l turcimanno ne spiccò una piastra e diellami, e io gli donai due ducati per Andrea e per me.

[176] Dipoi s'esce fuori di Gerusalem per una porta che è presso a questa, e trovasi la valle di Giusafà, dove Cristo verrà a giudicare il mondo. E discendendo per la costa, prima che si giunga al torrente si trova uno grande petrone sopra 'l quale s'inginocchiò santo Stefano quando e' fu lapidato; e di questa pietra in su che egli s'inginocchiò e mori ne recai gran quantità. Poi si giugne al torrente sopra 'l quale fu posto e fattone ponte il legno di che poi si fece la santissima Croce di Cristo.

[177] Valicato il torrente, si trova una divota chiesa, la quale fece fare santa Elena, madre di Costantino imperadore, e in quella è il santo sepolcro di nostra Donna, dove ella fu seppellita, sopra 'l quale facemo sacrificare per grazia di Dio il corpo di Cristo. Appresso si trova l'orto dove Cristo fu preso e baciato da Giuda traditore; ed èvvi dove santo Piero tagliò l'orecchio al giudeo. Ivi presso si è dove Cristo lasciò e discepoli perché eglino orassino e difendessonsi dalle tentazioni, e trovògli a dormire e disse loro: "Non potete un'ora vegghiare meco?".

[178] Poi ivi presso a due gittate di mano, o c'irca, si è la grotta dove Cristo orando sudò sangue. E ivi presso al cominciare dell'erta che va al monte Oliveto si è dove nostra Donna diè la cintola a san Tomaso quando ella ne andò in cielo. Salito più su, si è dove Cristo si volse inverso la città di Gerusalem e pianse. Dipoi più alto è la collina che va dal monte Oliveto al monte di Galilea; e ivi si è dove l'agnolo diè la palma alla Vergine Maria, annunziandole la sua morte tre dì innanzi. Poi alla sommità del monte di Galilea si è dove Cristo apparve agli apostoli dopo la sua resurrezione.

[179] Poi in sulla medesima collina, ma più alto, si trova il monte Oliveto, e si v'è una bella chiesa; e in essa si è un'assai grande pietra, sopra la quale si è una forma della pianta del piè di Cristo, la quale e' vi lasciò quando ne andò in cielo il di della Ascensione, presenti e suoi discepoli. Allato a questa chiesa si è un'altra chiesa, che si chiama Santa Maria Uzìaca, nella quale si dice che chi fusse in peccato mortale non vi può entrare dentro, e non si vede chi lo tenga. In sulla medesima piazza si è dove gli apostoli feciono il Credo in Deum; ivi un poco più basso si è dove gli apostoli dissono a Cristo che insegnasse loro orare, e ivi disse loro il Pater nostro.

[180] Ivi appresso si è uno crocicchio di via, dove nostra Donna moltissime volte si riposò dopo la resurrezione di Cristo, quando facea le sue santissime cerche. Dipoi sceso più basso, si trova la caverna, andando inverso il torrente, dove santo Iacopo stette sanza mangiare e sanza bere dalla passione di Cristo insino alla resurrezione, ed ivi gli apparve, e dipoi mangiò e bevve. Poi appresso al torrente si trova il luogo dove Giuda traditore s'impiccò per la gola. E di sopra in sulla collina che va verso Bettania si è dove Cristo salì sull'asina la domenica d'ulivo, quando andò in Gerusalem, dove gli si feciono incontro co' rami della palma, ed entrò per la Porta Aurea, la quale oggidì sta serrata.

[181] Poi si trova il torrente della valle di Giusafà, e quivi si rivalica e tornasi verso Gerusalem. E un poco ch'altri ha salito, si trova Natatoria Siloe, dove Cristo fece il miracolo del cieco nato, e al dì d'oggi vi si conciano le cuoia. E dipoi poco più su vi si trova il luogo dove Isaia profeta fu segato con una sega di legno pel mezzo. Ivi appresso si è una caverna sotterra, dove per paura gli apostoli stavano ad adorare nascosamente dopo la passione di Cristo.

[182] Poi salito più su verso il monte Sion, si trova il campo il quale fu comperato de' trenta danari di Giuda che ebbe pel prezzo del tradimento di Cristo, i quali rendé quando s'andò a impiccare; in questo campo si seppelliscono i pellegrini che là muoiono. Quivi appresso in una tomba è il luogo dove San Piero fece la penitenza della rinegazione di Cristo, e chiamasi Canti Galli. Dipoi in sulla mano diritta si è la porta della città di Gerusalem che va verso Betelem, e dentro a quella si è il Tempio di Salomone, dove Cristo fece il miracolo dello infermo, che era stato anni XXXVIII sotto i portici per entrare nell'acqua, quando l'angiolo la muovesse, e non avendo chi l'aiutasse non vi poté entrare. Al quale Cristo disse: "Togli il letto tuo, e vattene a casa"; e fu liberato.

[183] In questo medesimo luogo, per osservare la legge, recò la Vergine Maria Cristo fanciullo per fare l'offerta al tempio, e quivi il ricevette Simeone nelle sue braccia, e allotta fece il salmo che dice: "Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum in pace. Quia viderunt oculi mei salutare tuum. Quod parasti ante faciem omnium populorum. Lumen ad revelationem gentium; et gloriam plebis tua, Israel". Questa porta istà serrata e nel tempio non può entrare niuno cristiano.

[184] Vedesi l'acqua che traportasi di sul monte Oliveto. Recò la Vergine Maria per offerta al tempio un paio di tortole ovvero di colombi giovani come povera persona, come racconta il santo Vangelo. Dipoi si sale in sul monte Sion, e quivi si trova il cenacolo dove fu apparecchiato a Cristo e a' suoi discepoli il mangiare la sera del giovedì santo; e ivi allato si è dove si cosse l'agnello. E quivi appresso si è un altro luogo, dove Cristo lavò la detta sera i piedi a' suoi discepoli, dove san Piero gli disse: "Non lavabis me in aeternum"; ed egli disse se e' non lo lavasse non avrebbe parte con lui. E poi si trova dove lo Spirito Santo venne sopra gli apostoli: il perché cominciarono a parlare in varie e diverse lingue. E questo luogo è sopra una volta ed è scoperto.

[185] Quivi allato si è uno oratorio, dove, essendo gli apostoli raunati e serrate l'uscia, Cristo dopo la resurrezione si ritrovò nel mezzo di loro, e non v'era san Tomaso; e dipoi dicendolo a san Tomaso, nol credette loro, anzi disse se non mettesse le sue dita ne' fori che' chiavelli avean fatti nelle sue mani e ne' suoi piedi, e la mano nel suo costato, nol crederebbe. Dipoi l'ottavo di, essendo raunati gli apostoli nel detto luogo colle porti chiuse, e san Tomaso con loro, Cristo si ritrovò nel mezzo di loro e disse: "Tomaso, metti 'l dito tuo ne' fori che' chiavelli hanno fatto nelle mie mani e ne' piedi e metti la tua mano nel mio costato, e non volere essere incredulo, ma sii fedele".

[186] Allora san Tomaso conobbe l'errore suo e riconobbe Cristo per suo Iddio.

[187] Tutte queste cose per insino a qui sono intorno al circuito della chiesa del monte Sion. Ivi di fuori in un povero alloggiamento si è dove nostra Donna istette dalla passione di Cristo insino ch'ella vivette in questa presente vita. E ivi allato si è dove san Giovanni Vangelista sacrificava le più mattine o dicea la messa alla Nostra Donna. E quivi appresso si è dove la Vergine Maria passò di questa vita, e per suo guanciale ebbe una pietra, la quale gli angioli le recarono dal monte Sinai.

[188] Poco di lunge si è dove gli apostoli, volendo eleggere in luogo di Giuda un altro apostolo, acciocché 'l collegio fosse intero, gettarono le sorte, e toccò a Mattia per operazione di Dio. E quivi appresso si è dove Cristo predicò la mattina dell'Ascensione a nostra Donna e a' suoi discepoli prima che egli andasse al monte Oliveto, donde salì in cielo. Ed è ivi la pietra in su che e' salì a predicare, e un'altra in su che sedette la Vergine Maria, quando predicava.

[189] E ivi a lato si è la chiesa dove Davit fece la sua santa e aspra penitenza, dopo i suoi peccati commessi, in una tomba; e quivi fece il divoto libro del Saltero, e questo luogo medesimo elesse per sua sepoltura, e così fu. E poi vi fu seppellito ancora Salomone suo figliuolo.

[190] E nota che in su questa parte del monte Sion si è una bellissima chiesa e divota e bene abitata, e ufficiasi pe' frati dell'Ordine di san Francesco; ed èvvi uno guardiano, il quale tiene ivi continuo otto frati o più, e tiene nella chiesa del Santo Sepolcro due frati, e nella chiesa dove nacque Cristo in Betelem ne tiene sei o circa. Costoro sempre, quando dicono l'ufficio, tengono serrate le porti per paura de' Saracini.

[191] Dalla parte verso la sommità del monte si è una grandissima piazza, in sulla quale furono seppellito grandissimo numero di santi; e in questa piazza presso alle reggi fu seppellito santo Stefano primo martire. Dall'altro capo della piazza dirimpetto alla chiesa si è dove era la casa di Caifas, nella quale fu menato Cristo la notte che fu preso, e dove e' fu ischernito, battuto e maltrattato. E in questo luogo è una grandissima pietra, la quale fu quella che e Giudei posono dinanzi all'uscio del monimento di Cristo.

[192] E ivi appresso in sulla mano manca, guardando verso la chiesa, si è dove i Giudei vollono rapire il corpo della Vergine Maria quando gli apostoli il portavano a seppellire nella valle di Giusafà, e miracolosamente rattraparono loro le mani; e palesando la loro mala intenzione, come per dirisione il voleano ardere. e di ciò rendendosi in colpa, si battezzarono e vennono alla fede cristiana, e allora le loro mani ritornarono nello stato primaio di sanità.

[193] Dipoi v'è la chiesa di Santo Iacopo, e appresso a questo luogo gli fu tagliata la testa. E ivi appresso, lasciando la rocca del monte Sion, la quale sopragiudica tutta la città, e discendendo dal lato diritto, si trova dove Cristo apparve dopo la resurrezione alle Marie; e in quella sommità si fu il palagio di Davit e oggi sì v'è un cassero afforzato quasi a modo di qua, il quale fa guardare l'ammiraglio di Gerusalem per lo soldano di Babilonia.

[194] E sappiate che, quando Cristo fu crocifisso al monte Calvario, il monte Sion era fuori delle mura di Gerusalem; ben è vero che della parte opposita alla valle di Giusafà non v'è mura, anzi v'è un fosso e uno steccato non troppo forte, e quasi si vincerebbe per battaglia di mano con gente d'arme. Tito e Vespasiano feciono crescere la terra e missono dentro il Sepolcro e 'l monte Sion alla città.

[195] Dipoi a dì XXIV di novembre 1384 entramo nella chiesa di Santo Sepolcro a ora di nona, che fu la vilia di santa Caterina, e stemovi insino all'altro dì a ora di vespro. Dinanzi alla chiesa del Santo Sepolcro si è una piazza, che nel mezzo d'essa si è una pietra sopra la quale Cristo sedette colla croce in collo il dì della sua santa passione, che insino quivi la maggior parte della via l'avea recata Simone Cireneo.

[196] In su questa piazza si ha quattro cappelle: la prima si è di nostra Donna e di San Giovanni Vangelista, e quivi stettono al tempo della passione di Cristo, ed è allato al monte Calvario, e in quel luogo erano, quando Cristo disse alla Vergine Maria: "Ecco il figliuolo tuo"; e poi disse a san Giovanni: "Ecco la madre". Bene è vero che oggi è in mezzo tra 'l monte Calvario e questa cappella il muro della chiesa del Santo Sepolcro di Cristo, che allora era uno orto di Nicodemo. La seconda cappella si è di Santo Michele angiolo; la terza si è di San Giovanni Battista; la quarta si è di Santa Maria Maddalena.

[197] Ed entrasi poi nella chiesa del Santo Sepolcro, e havvi tre chiavi; l'una tiene il turcimanno del soldano; la seconda tiene l'ammiraglio di Gerusalem; la terza tengono i camarlinghi ecclesiastici della loro fede. E spendesi la rendita che tocca a' loro camarlinghi in certe loro cerimonie, cioè de' danari che si pagano per entrare nel Sipolcro i pellegrini. Pagasi d'entrare, per la prima volta ch'altri entra nella chiesa del Santo Sepolcro, ducati sei per testa, e puovvi stare un dì intero, cioè ore XXIV. Ben è vero ne fanno cortesia di lasciare più alcuna ora, ma non gran quantità. E chi volesse entrare poi più volte paga quattro darèmi, o veramente quattro viniziani d'argento, che vale l'uno soldi quattro e mezzo o circa di moneta fiorentina.

[198] E chi vi volesse entrare più volte gli fanno questi uscieri cortesia, recandoli sino a ogni piccola cosa. Bene è vero che, quando si vedessimo uomini di cui facessimo stima di fatti d'arme, non ve gli lasciano stare quasi tempo, anzi gli fanno accomiatare al turcimanno per parte dell'ammiraglio del soldano ché escano della terra.

[199] Da prima si trova, come s'è dentro alle reggi del Santo Sipolcro, cioè nella chiesa, una pietra nera nello spazzo lunga circa tre braccia fiorentine, in sulla quale fu posto Cristo e unto quando fu levato dalla croce, ed èvvi indulgenza di colpa e pena. Ancora ha nella detta chiesa una cappella, nella quale è una certa parte della colonna dove Cristo fu legato e battuto la notte di giovedì santo, ed èvvi indulgenza di colpa e pena. Ancora v'è una colonna, sopra la quale Cristo fu posto per istrazio quando fu coronato; ancora v'è la carcere dove Cristo fu messo la notte di giovedi santo.

[200] Ed è nella detta chiesa il monte Calvario, sopra il quale fu crocifisso il nostro Signore Gesù Cristo in mezzo di due ladroni; e questo è quasi come uno sasso d'altezza sopra il terreno di circa braccia dieci, e in su questo sasso si vede le buche dove furon fitte tutt'e tre le croci; in sul qual sasso si è un coro con due altari. E ivi presso nello spazzo a piè del monte, di lungi circa braccia dodici, si è il Sepolcro dove fu posto il nostro Signore Gesù Cristo quando fu levato del legno della santa Croce.

[201] Sotto il monte Calvario si è una cappella, quasi come cantina, dove fu ritrovata la testa d'Adamo nostro primo padre, e chiamasi Golgota. E come tu entri dentro a man dritta, si v'è un'arca di pietra a modo di sepoltura, tutta sopratterra, nella quale fu seppellito il corpo di Gottifredi di Buglione; e dalla mano manca dirimpetto a questa si è un'altra arca in simile modo e in propria forma, nella quale fu seppellito il corpo del fratello di detto Gottifredi, i quali morirono di là quando feciono l'acquisto di Gerusalem e delle Terre Sante d'Oltremare; e ufficiasi questa cappella per Cristiani Armeni.

[202] E quivi appresso si è una cappella, nel quale luogo furono messe le sorte sopra le vestimenta di Cristo, cioè sopra quella che non aveva costura. Ivi appresso è una cappella, nel quale luogo apparve Cristo a santa Maria Maddalena a modo di ortolano. Ancora è ivi appresso un'altra cappella dove Cristo apparve alla nostra Donna, e ufficiasi pe' frati del monte Sion dell'Ordine di san Francesco, e trovamovi un frate da Bibbiena.

[203] E sì v'è ancora una cappella di santa Elena, ed è tutta sotterra; e dipoi si scende una scala più giù circa a venti scaglioni, e là giù è dove fu ritrovata la santa Croce di Cristo e quelle de' due ladroni, le quali vi furono poste al tempo della passione di Cristo e sotterrate da' Giudei perché non si ritrovassono. Quasi nel mezzo di questo circuito si è un coro, e nel mezzo di questo coro si è un cerchietto, il quale si dice che fece Cristo col dito, dicendo: "Questo è il mezzo del mondo".

[204] Queste cappelle sono ufficiate quale pe' Cristiani Franchi, e quale pe' Cristiani Greci, e quale pe' Cristiani Armeni, e q 'uale pe' Cristiani di cintura, e quale pe' Cristiani Giacopini. E quando vi vengono pellegrini, i sacerdoti di quella generazione s'accozzano e ricevono i pellegrini, e tutti con torchietti e candele in mano fanno la processione, ricercando tutte le cappelle del Santo Sepolcro, mettendo per cappella il Sepolcro di Cristo e il monte Calvario, ché nell'uno luogo e nell'altro si sacrifica il Corpo di Cristo, e drieto a costoro vanno alla detta processione tutte le generazioni de' sacerdoti che vi sono e tutt'i pellegrini.

[205] Il dì di santa Caterina a ora di vespro uscimo dalla chiesa del Santo Sepolcro, avendo fatto sovra esso sacrificare, e comunicatoci in quel santo luogo del vero Corpo di Cristo, e riposamoci l'altro dì.

[206] Dipoi la notte vegnente, che fu a dì XXVI di novembre 1384, a mezzanotte ci partimo di Gerusalem e andammone verso il fiume Giordano, dove Cristo si fece battezzare a san Giovanni Battista facendo la diritta via passando per Befage e per Bettania. E appresso al fiume Giordano trovamo la chiesa di San Giovanni Battista, la quale è divota e bella e forte; ed è bisogno ch'ella sia in fortezza, perciò che ell'è in mezzo fra 'l detto fiume e la terra di Gerico, dove sono i maggiori ladri di quel paese. E la notte dinanzi albergamo tra Gerico e Bettania, e tutta notte ci convenne fare la guardia. Questa chiesa fece fare santa Elena, madre di Costantino imperadore, e ufficiasi pe' calori di Grecia. Mostraronci la mano di san Giovanni Crìmaco sanza il dito grosso.

[207] Al fiume Giordano stemo gran parte del dì, e in quello ci bagnammo tutti per nostra divozione, nonostante che 'l tempo nol patisse, e tutti noi che sapavamo notare travalicammo il fiume notando, e gli altri rimasono; e quivi ad alte boci cantamo il Te Deum laudamus, rispondendo di là a chi era rimaso di qua. Dal luogo dove ci bagnammo appresso a quattro miglia mette il fiume Giordano e finisce quivi suo corso nel Mare Maladetto. Questo è il luogo dove pe' loro peccati Iddio fece sobbissare quelle inique città, cioè Sodoma e Gomorra e le altre.

[208] Questa acqua del fiume Giordano va gran pezzo fra 'l mare prima che paia una medesima cosa con quella. Questo è a modo d'uno grande stagno, e in quest'acqua non vive di niuna generazione pesce né anguille, né niuno legno vi sta a galla, e ogni uccello che vola sopra esso vi casca dentro morto. Il paese dattorno è sterile quasi come diserto, e nella costa di sopra è dove la moglie di Lotto diventò statua.

[209] Dipoi tornamo a Gerico, che è di lungi al battesimo circa a sei miglia; questa è assai bella terra e doviziosa di cannamele da zucchero e datteri e altri frutti; ma, come è detto di sopra, ha pessima gente. Questa terra fu la prima che 'l popolo d'Israel pigliasse in Terra di promissione; e combattendola il popolo, pe' prieghi di Giosuè Iddio fece cadere le mura, e a quel tetnpo era nobile città, e quivi pigliano la palma i pellegrini.

[210] E quella sera albergamo a uno cane, che è a piè del monte della Quarantana, e quivi fummo male ricevuti. L'altra mattina, al fare del giorno, ci avviammo verso il monte della Quarantana, dove Iddio digiunò quaranta dì e quaranta notti, e in quello luogo fu tentato dal demonio; e dal monte della Quarantana a Gerico ha miglia sei o circa.

[211] A questo monte si sale difficilmente e per viottole, che di sotto e di sopra hanno grandissime ed erte ripe; e appresso alla somrnità si è una caverna dove Cristo fece la quarantana. E in questo luogo trovamo uno romito cristiano di Grecia, che pareva un santo padre; questi era pallido e magrissimo, e gli occhi soffornati nella testa, che parea la Morte, tant'era la sua scurità. A costui lasciamo un poco di biscotto, e parvegli esser ricco, ma bene pensammo i Saracini gliel togliessino; e la sera n'andamo ad albergo a un cane che è tra questo luogo e Bettania.

[212] La seguente mattina di buonora giugnemo in Bettania, e ivi trovamo il luogo dove fu la casa di Marta, dove Cristo mangiò e stette molte volte. E si v'è dove fu la casa di santa Maria Maddalena; e poi santa Elena vi fece fare una chiesa a sua reverenza, ed è quasi disfatta. Ancora ivi appresso si è il luogo dove Maria e Marta si feciono incontro a Cristo dopo la morte di Lazzero, quando gli dissono: "Se tu ci fossi stato, nostro fratello non sarebbe morto".

[213] Poi più verso Gerusalem si è una chiesa, la quale oggi i Saracini tengono per moscheta, nella quale si è il sepolcro nel quale era Lazzero quando Cristo il risuscitò. Nella detta chiesa non si può entrare, però che è moscheta, più oltre che la sepoltura; di quella furtivamente ne recai una spranga. E per la via di Befage si è una pietra dove Cristo salì in sull'asino la domenica d'ulivo. E della valle di Giusafà tornammo in Gerusalem. Dipoi a di XXVIII del detto mese ritornammo in Betelem, e quivi stemo quel dì e la notte vegnente per nostra consolazione.

[214] La seguente mattina ci partimo e andamone alla casa di santo Zaccheria, padre di san Giovanni Battista; nel quale luogo si è la propria casa, ed è accresciutovi una chiesa, la quale fece fare santa Elena, madre di Costantino imperadore. E ivi appresso di sotto al detto luogo trovamo una fontana bella e bene copisa d'acqua; e in quel luogo si fece santa Elisabetta incontro a nostra Donna, e ivi fece la Magnificat anima mea Dominum, quando la Vergine Maria l'andò a visitare; e in quell'ora santa Elisabetta si sentì per allegrezza il fanciullo saltare nel ventre suo. Nella sopranominata chiesa si è un luogo nel quale fu circonciso san Giovanni Battista, ed è tutta in volta, e fannone istalla i Saracini

[215] Ancora è un luogo nella detta abitazione nel quale, quando Erode fece cercare e uccidere gli innocenti, si aperse una pietra per sé medesima, nella quale santa Elisabetta nascose il suo figliuolo Giovanni Battista; e così è aperta la detta pietra insino al dì d'oggi. Dall'altra piaggia al dirimpetto poco di lungi è una chiesa bellissima; e in questo luogo nacque san Giovanni Battista, e fecela fare santa Elena per questa divozione, e quivi stette Zaccheria ed Elisabetta.

[216] Dipoi, andando verso Gerusalem, si trova una bellissima chiesa, la quale fece fare santa Elena; e in quel luogo nacque il legno della santissima Croce; e per me' idove era il legno si è l'altare maggiore, e ufficiasi pe' frati d'Armenia; e la sera tornamo in Gerusalem ad albergo. Poi l'altra mattina a dì II di dicembre ci partimo da Gerusalem tenendo verso Damasco, e quella sera albergamo ad un cane che è per lo cammino.

[217] L'altra mattina ci partimo tenendo verso Nabalus, il quale è grosso castello in Samaria, presso là dove fu il castello dove Samaritana diede bere dell'acqua a Cristo; e fummo al pozzo là dove Cristo si pose a sedere quando le chiese dell'acqua, e quivi albergamo quella notte con grandissima divozione e recai della pietra del pozzo.

[218] Era il castello sul monte chiamato Sicar. L'altra mattina ne andamo a Sebesten dove istava Erode, e quivi fece tagliare la testa a san Giovanni Battista quando la figliola gliela chiese. Questa fu già grandissima e bella città, ed è in montagna; e ancora vi si vede molte anticaglie come in Roma, ed è quasi disabitata. Questa è quella città dove fu seppellito santo Giovanni Battista quando e' fu dicollato, e fu seppellito in mezzo di due profeti, cioè Eliseo ed Ezechiel.

[219] Dipoi ne andamo a Nazeret, dove nostra Donna fu annunziata dall'angiolo Gabriello. Questa fu già grandissima città, e oggi è molto diminuita ed è sanza mura, come sono oggi la maggior parte delle terre del Paganesimo. lvi allato alla terra si è dove nostra Donna fu annunziata: e questa è una caverna sotterra, la quale s'assomiglia assai a quella di Betelem dove'nacque Cristo, ed è divotissimo luogo; e al dirimpetto fece fare santa Elena una bellissima chiesa, la quale hanno quasi che disfatta i Saracini.

[220] Appresso a questa terra si è una bellissima fonte, dalla quale Cristo, essendo fanciullo, portava dell'acqua alla madre spesse volte. Poco di lungi a questa fonte si è un monte, il quale si chiama Buon Salto, del quale i Giudei vollono gittare a terra Cristo; e al dirimpetto si è un altro monte sopra 'l quale Cristo saltò di lungi circa una balestrata. Dipoi forse presso a tre miglia si è dove Cristo risuscitò il figliuolo della vedova, quando disse: "Adolescens, tibi dico: surge. "

[221] Poi più alto si è monte Tabor, dove nostro Signore si trasfigurò e dove gli apparve Moisès ed Elia; nel quale luogo san Piero disse a Cristo: "Facciamo qui tre tabernacoli: uno per te, uno per Moisès e uno per Elia".

[222] Poi a man ritta in sulla sommità di un altro monte, presso forse a cinque miglia, è Cesarea Filippo, donde fu san Filippo e santo Iacopo. Questo castello è forte di sito, ma non ha mura, e hanno carestia di fiumane. Dirimpetto a questo a man manca, di lungi circa sei miglia, si è Zaffetto. Questo si è grosso castello e bene murato, e muraronlo i Cristiani quando tenevano il paese; questo batte bene tutta la provincia di Tebaria, cioè Galilea e parte di Sorìa insino a Damasco e insino ad Acri, e appiè di questo albergamo la sera. Il seguente dì n'andamo al Mare di Galilea.

[223] Questo, quantunque si chiami mare, non è acqua salsa, anzi è dolce, bella e buona da bere, quasi come i laghi d'Italia. Questo mare è una raccolta d'acqua del fiume Giordano, ch'è largo circa miglia cinque e lungo circa diciotto. Intorno a questo lago fece Cristo molti miracoli, e quivi elesse per suoi discepoli san Piero e santo Andrea e più altri. Questo mare si fa dell'acqua del fiume Giordano, la quale si resta in questo piano e ivi fa conca e grembo di sé medesima, come tu dicessi in Lombardia del lago di Garda, e nel Ducato di quello di Piè di Luco.

[224] E cosi come quello di Garda fa sua uscita a Peschiera e vanne in Po, e come quello di Piè di Luco cade alla Nera e vanne in Tevero, così ha questo sua uscita e vanne per Terra di promissione diritto dove Cristo si fece battezzare a san Giovanni, e viene a finire il suo corso al Mare Maladetto, come adrieto facemo menzione dove sobissò Sodoma; e questa acqua comincia suo corso nel monte Libano, come faremo menzione quando alla materia s'apparterrà.

[225] Appresso questo luogo pure nel piano si è dove Cristo fece alle nozze diventare l'acqua vino e questo fu il primo miracolo che facessi. Ancora ivi appresso si è dove egli liberò la 'ndemoniata, ed èvvi dove egli apparve agli apostoli quando egli fece cessare la fortuna, e quando disse a san Piero: "Uomo di poca fede", e dove molte volte apparve loro; ed è ivi dove egli predicò, essendo in nave, alle turbe.

[226] Di sopra nella piaggia a Cana Galilea si è uno aspro monte dove è una piccola e divota chiesa, la quale, quando vi fummo, cominciava a cadere; e fecela fare santa Elena. In questo luogo pascé Cristo di cinque pani d'orzo e due pesci cinquemila uomini, sanza le femmine e' fanciulli, e avanzovvene dodici sporte.

[227] La sera albergamo in su questo mare, dove Cristo andò a secchi piedi, cioè sanza immollarsi i piedi andando sopra l'acqua. In questo paese ha assai terre, ma tutte sono sanza mura, salvo che Zaffetto, e tutte si vincerebbono per battaglia di mano eccetto Zaffetto.

[228] Entramo l'altra mattina in sulla strada diritta che va da Gerusalemme a Damasco, dove sono certe terre pure al medesimo modo, e hanvi certi luoghi di divozione, ma non tanto notabili quanto gli altri. E in questo cammino albergamo una sera a uno cane, dove demmo al canattiere un darèmo per testa di stallaggio di tutti quanti che eravamo.

[229] Poi la mattina vegnente ci avviammo verso Damasco, nella quale città giugnemo la sera a dì IX del detto mese; e quivi trovamo assai cose notabili, delle quali in parte qui appresso faremo menzione. Ma nella giunta a' borghi ci fu fatta una gran sassaiuola, e fuggissi il nostro turcimanno, e rimidiarono certi uomini antichi.

[230] Nelle mura di Damasco si è ancora in piè una finestra dalla quale fu collato san Paolo in una sporta fuori della terra quando si fuggì ché 'l voleano uccidere. Nella detta città si è ancora in piè la casa ovvero palagio nel quale Ananìa battezzò san Paolo. Appresso alla terra per la via che va a santa Maria di Sardana si è il luogo dove san Paolo si convertì e dove e' perdé il vedere e cadde in terra q'uando Iddio gli disse: "Paolo, perché mi perseguiti tu?"; il quale vedere riebbe quando santo Ananìa il battezzò e convertissi alla fede di Gesù Cristo.

[231] Nella costa di sopra a Damasco circa a due miglia di lungi verso tramontana si è il luogo dove Caino uccise Abello suo fratello; i quali furono i primi uomini nati d'uomo e di femmina discesi d'Adamo e d'Eva, fatti per la mano di Dio Padre. E in quel luogo è fatta una chiesa, la quale fece fare santa Elena, madre di Costantino. E quivi fu dove Iddio domandò Caino dove era il suo fratello Abello quando e' l'ebbe ammazzato; a cui Caino rispose che non era a guardia d'Abello.

[232] Nel luogo dove si convertì san Paolo appresso alla terra si è un campo dove si sotterrano i Cristiani di cintura, ed èvvi una pietra sopra la quale si dice fu tagliato il capo a san Giorgio, e hannovi i Cristiani gran divozione. Di lungi a Damasco circa a quattordici miglia sì è Sardana, la quale tengono i Cristiani di cintura; e questo non è per loro potenza, ma tutto procede da Dio, però che in quel luogo non vivono i Saracini, e ufficiasi pe'calori di Grecia. E quivi ha vigne assai, e béono del vino assai al modo nostro di qua e Cristiani vi stanno.

[233] Alla sommità del castello, quasi come un cassero, si è una bellissima chiesa, ed è coperta di tegoli al modo nostro di qua e ha chiostro e piazza dinanzi alle reggi. Questa chiesa è uno munistero di vergini cristiane di Grecia e cristiane di cintura, per numero di ventitré dentro, e di fuori hanno servigiali e oneste donne che le servono. In questo luogo, infra l'altre cose notabili, si è una tavola di nostra Donna di grandissima divozione, che già per antico solea istare un prete per loro cappellano, la quale tavola tenea nella sua camera.

[234] Questo prete avea per suo buon costume andare ogni anno a fare la quarantana in Gerusalem e ritornava alla chiesa del Santo Sepolcro di Cristo, il quale è di lungi a questo luogo circa a otto giornate. Questo santo prete portò seco questa tavola della Donna e misela in uno certo luogo dove dovea dormire la notte e fare sua penitenza. Quando per sua divozione si volle ritrovare a piè di questa nostra Donna, e andando dove l'avea posta, non ve la trovò, ed ébbene grandissima amaritudine, pensando gli fusse stata tolta.

[235] Dipoi, compiuta la quaresima, e'si tornò in Sardana alla sua chiesa, nel quale luogo nella sua cella al luogo suo consueto trovò ritornata per sé medesima questa tavola. Andando il seguente anno al Sepolcro, anche la riportò seco e posela nel proprio luogo. Dipoi, ritornando alle sue orazioni, anche non ve la ritrovò; della qual cosa ebbe grande afflizione. E tornato che fu alla sua chiesa, ancora la ritrovò tornata come la prima volta; e cosi la portò tre volte. La terza volta questa tavola dove prima era legno dipinto d'una immagine di nostra Donna diventò della parte dentro carne, e sempre gitta gocciuole di sudore.

[236] Di questo licore si dice molte cose miracolose; fra l'altre, tengono i marinai di que' paesi che, quando il mare avesse fortuna, che, gittandovene dentro, rabbonaccia di subito e che è buono a certe pestilenze. Queste sante donne danno di questo licore a' pellegrini in certe ampolluzze piccolissime, e cosi feciono a noi. Del quale santo licore io fui presuntuoso a ugnermene un dito della destra mano e a fregarmelo in su uno certo bitorzolo che io aveva di carne rilevata nella gota sotto l'occhio dritto, e l'altra mattina trovai ch'era ito via e rimasine libero.

[237] E tornato che io fui a Firenze, trovai ch'un mio fanciullo, che aveva nome Francesco, avea tutta guasta la polpa dell'una gamba di cotale scaia che facea puzza; di che io posivene su al modo ch'io aveva fatto alla mia gota, e dissi alla madre che non ve gli ponessi più unguenti né altre medicine, e di subito la gamba fu libera e sana come l'altra.

[238] A questa chiesa e munistero di donne una volta, fra l'altre, si raunò gran quantità di Saracini, e con artificii da disfare mura se n'andarono alla detta chiesa per disfarla; e come toccarono le mura, di subito per miracolo di Dio diventarono attratti. E da quello punto in qua non vi sono iti i Saracini e per timore hanno lasciato quello castello a' Cristiani di cintura e a questo santo monasterio, come ho fatto menzione.

[239] Quando ci partimo da Damasco, incontramo presso a Sardana parecchi saracini di bassa condizione, i quali avevano in sur uno cammello legato attraverso un uomo morto, e dietro a lui in sur un altro cammello n'aveano un altro ch'era vivo legato in simile forma: costui aveva morto quello dinanzi ed era menato agli ufficiali che stanno per lo soldano in Damasco. Alla nostra tornata, chi volle di noi andare a vedere fare la giustizia di costui si poté sanza alcuno impedimento.

[240] La giustizia feciono in sur una gran piazza che è allato al cassero del soldano dalla parte dentro di Damasco: posono costui ignudo in sur un cammello quasi a cavalcione legato a certi legni artificiali a similitudine di croce, e appiccatolo colle braccia tanto alto che quasi tutto stava sospeso; poi venne il giustiziere con una grande scimitarra ignuda e punsegli un poco il corpo e prestamente colla scimitarra gli diè un colpo attraverso di sopra al bellìco che tutto il tagliò; le braccia colla parte di sopra rimasono appiccate alto, le cosce e l'avanzo del busto rimasono in sul cammello, eccetto le 'nteriora andarono per terra.

[241] La città di Damasco è tutta murata, ma non ha fossi se non in alcuno luogo, ed è antica e grossa città e ha grandissimi borghi che fanno più gente che 'l corpo della città; e in molti luoghi le case de' borghi sono appiccate alle mura della città, e'borghi non hanno mura né fossi né steccati. Quando ci trovamo là, andò la carovana di Damasco a Lamec per lo perdono e per la mercatantìa che cercano delle parti d'India.

[242] A Lamec si è il corpo di Maumetto, il quale e' vanno a visitare come noi facciamo il Santo Sepolcro; e dicono che la chiesa, cioè le pareti, il tetto e lo spazzo è di calamita; e perché la calamita tira il ferro, hanno posto e compassato nel mezzo, cioè nell'aria, una cassa di ferro, la quale è tirata igualmente così dalle pareti come dal tetto e dallo spazzo, per modo ch'ella istà nell'aria nel mezzo della detta chiesa; e in quest'arca, ovvero cassa di ferro, fu seppellito il corpo di Maumetto. Ed è da Damasco a Lamec circa a quaranta giornate, che la maggior parte, anzi quasi tutto, è paese diserto.

[243] Partironsi da Damasco per andare a Lamec mentre v'eravamo noi per numero ventimila uomini, e non parea che ne fussi uscito persona, e così erano piene di gente molte vie come sono a Firenze per ciascun dì le vie quando si corre il palio di San Giovanni. E così come questa terra è piena di gente, così è piena di mercatanti e d'artefici, e ogni arte ha sua stanza di per sé in vari e diversi luoghi della terra, come tu dicessi il convento dell'Arte della Lana in Firenze.

[244] Gli artefici di là non possono mutare arte, però che, se 'l padre arà fatti drappi o sia stato orafo, o sia che arte si vuole, il figliuolo e tutti e suoi discendenti non possono fare in eterno altra arte che quella. E questa è la cagione perché le cose vi si fanno meglio e più sottilmente e più belle che nelle parti di qua. La terra è innanzi cara che no, e massimamente di legname.

[245] Ha pella terra molti maestri di fare confezioni, che non fanno niuna altra cosa e sforzansi di fare buone conserve di zucchero, di mêle, di gengiovo e di più cose; hanvi molte botteghe che non fanno tutto l'anno altro che vendere fiori, viole e rose e sono molto più odorifere che le nostre, e là si fa la migliore acqua rosa del mondo.

[246] Ancora hanno modo a conservare tutto l'anno co' loro artificii la neve, e vannola vendendo l'anno di state e rinfrescano con essa quelle loro bevande.

[247] Damasco ha buonissime acque e in grande abbondanza, le quali corrono di più parti, e massimamente delle piagge e della costa di sopra, dove Caino uccise Abello. Havvi buonissime carni e uccellagioni, e massimamente francolini e cotornici: i francolini son quasi fatti come fagiani, ma sono minori, ma le loro cotornici sono maggiori che le nostre.

[248] In questa terra istemo circa a un mese, dove ricevemo grande onore da certi viniziani e catalani, e massimamente da' loro consoli. Quivi, come fummo giunti, ammalò Andrea di messer Francesco Rinuccini, nostro terzo compagno, e alcuno nostro famiglio, i quali facemo aiutare nobilissimamente, ma pure piacque a Dio chiamarlo a sé, e simile uno famiglio. [249] Lui facemo seppellire con patto di diposito, sicché, se i suoi fratelli rivolessono di qua le sue ossa, le potessimo avere pagando certa quantità di danari, i quali promise Andrea di Sinibaldo da Prato, il quale era in Damasco pe' Portinari, e da lui fummo molto onorati. Seppellito Andrea, ci partimo da Damasco a dì XXIX di gennaro, pigliando la via verso il monte Libano, nelle quali piagge Noè fece tagliare certa quantità di legname per fare l'arca al tempo del gran diluvio.

[250] Di questo monte escono due fonti, che fanno due fiumicelli, i quali tutti e due discendono per lo piano di Noè tra Damasco e uno poggio, che si chiama l'arca di Baruti, e in questo luogo fece Noè l'arca. Ha nella detta piaggia verso la marina sopra la strada che va a Baruti una moscheta, che già fu una bella chiesa di Cristiani, nella quale è nel muro un luogo alto bene trenta braccia, dove si dice fu seppellito Noè; e chi dice fu seppellito dove santa Elena fece fare l'altare della detta chiesa.

[251] I due fiumicelli, che escono del monte Libano e vengono per lo piano che è di sotto a questa moscheta, l'uno ha nome Gior e l'altro ha nome Dan, e raccozzansi insieme di sotto alla strada che va da Damasco a Baruti, sicché di due diventano uno, e così di due nomi ne fanno uno; e quivi comincia a chiamarsi fiume Giordano, e mena assai pesci e buoni, de' quali quivi ne comperamo e cuocemo.

[252] Poi discende questo fiume per le parti di Galilea, e quivi fa grembo di s' e chiamasi il Mare di Galilea, come facemo menzione; e dipoi c'ha fatto questo mare, fa pure suo corso l'acqua che n'esce, e chiamasi pure fiume Giordano, e corre per Terra di promissione e per le parti dove Cristo si fece battezzare, e poi viene a mettere nel Mare Maledetto dove fu Sodoma e Gomorra e le altre città, come adrieto dicemo, e quivi perde suo corso.

[253] Il paese che noi chiamiamo Galilea chiamano i Saracini Tabarìa, e ha giù per la fiumana del Giordano molti casali e ville ed è ubertosa d'ogni bene.

[254] Dalla parte di sopra al monte Libano verso tramontana si è Tripoli, e le terre che sono in sul mare hanno buon porto.

[255] Partimoci del piano di Noè tenendo verso Baruti, andando su per un'aspra montagna quasi a modo delle Alpi nostre di qua, dove sta quasi tutto l'anno la neve e havvi alberi quasi a similitudine di querce. Disceso questo poggio, tenendo verso Baruti, trovamo una grandissima selva di pini dimestichi al modo di qua, come se tu dicessi la pineta di Ravenna nelle parti di Romagna. Giugnemo a Baruti all'entrata di quaresima.

[256] Baruti è bel castello e havvi una rocca assai bene murata, e fanne fare il soldano gran guardia e tienvi gente d'arme. Nelle mura del castello batte l'acqua del mare, ed è buon porto; e quivi si pone ciò che si vuole mandare o trarre di Damasco. Il castello non è sì forte che non si vincessi per battaglia di mano da gente d'arme di qua.

[257] E' il paese grasso e ubertoso e ricco ed èvvi gran quantità di bambagia. In questa terra si è una chiesa la quale soleano ufficiare i frati di san Francesco, la quale è bella e divota, e diellaci per nostra stanza il consolo che quivi è pe' Viniziani, e chiamasi la chiesa del Salvatore. In questo luogo fu già un notabile miracolo: che, sendosi raunati quivi molti Giudei, e' per dirisione batteano un crocifisso, del quale per miracolo uscì grande abbondanza di sangue, tanto che corse fuori per la via. [258] Di che la gente cominciò tutta a correre là e trovarono costoro: di che ciascuno ebbe gran timore; e per questo miracolo molti se ne battezzarono e diventarono cristiani. Ancora v'è la colonna dove santa Barbera fu martirizzata.

[259] Ivi presso a un miglio in sul mare si è la chiesa di San Giorgio, la quale è in quello luogo dove santo Giorgio uccise il drago, il quale ogni dì divorava una creatura, e liberò quel paese. In questa chiesa del Salvatore facemo la quaresima con gran consolazione; e in quel mezzo v'arrivò messere Ulivieri di Cinchy, il quale era venuto del reame di Francia e ito nel reame di Puglia col duca d'Angiò. Costui menò seco in sua compagnia trenta cavalieri a spron d'oro, fra' quali fu un suo figliuolo che mori di là, e ancora vi morirono gran parte degli altri. [260] Quivi ci accozzamo insieme, avendo ciascuno fornito il suo pellegrinaggio, aspettando navilio per tornare in Cristianità ciascuno alle sue case e famiglie. Arrivovvi messer Niccoletto Riccio e messere Pieruccio Malipieri, gentiluomini viniziani, che veniano di Ponente con una cocca a due coverte. grandissimo legno, e per lo lungo cammino non l'aveano potuta conciare in quell'anno; di che ella metteva assai acqua, tanto che tra dì e notte se n'avea a votare circa a cento cogna.

[261] Facemo vela del mese di maggio, avendo sempre i venti per noi insino al golfo di Satalia, e ivi ci prese un nodo di vento con tanta tempesta e fortuna che ci spezzò le bonette della vela e avvolseci la vela all'albero e traportocci insino nella Barberìa, venendoci assaissime volte l'acqua sopra a coverta, per modo che poca speranza ci era rimasa, e così ci condusse presso alla terra forse a mezzo miglio.

[262] Per la grazia di Dio cominciò a rabbonacciare, mettendo in mare certe reliquie appropriate alla fortuna. E trovamoci avere trascorso per fortuna circa a ottocento miglia; poi ci rimettemo a poco a poco in sul cammino, ringraziando Iddio che ci avea guardati del percuotere a terra, però che saremmo stati tutti venduti per ischiavi. Nondimeno noi stemo quattordici dì che noi non vedemo altro che aria e acqua, e con sospetto assai della vita.

[263] E così tornando in sul nostro cammino, lasciando l'isola di Cipri in sulla mano diritta, andamo a terra a prendere rinfrescamento d'acqua e di vettovaglia; della qual cosa avavamo grandissimo bisogno per la grande arsura ch'avavamo avuta in sulla cocca per aver mangiato per insalata tutte le foglie di certi melaranci che 'l padrone avea in certi bariglioni, che gli portava da Baruti a Vinegia.

[264] Preso nostro rinfrescamento, facemo vela lasciando l'isola di Candia a man diritta, avendo i venti per noi; sicché sanza impedimento ritornamo alla città di Vinegia, dove ci fu fatto grandissimo onore, e desinamo una mattina col doge e cenamo una sera con messer Pieruccio Malipieri, dove invitò più di cinquanta gentili uomini viniziani. Poi e' prestò a messer Beltramo ducati mille per tornare a casa sua, ché gli erano mancati e danari; ed e' promise rimandargli a certo termine, mettendo Giorgio per mallevadore a ducati dugento e me ad altrettanti; ma egli come leale e gentile cavaliere gli rimandò al termine dato.

[265] Soprastemo in Vinegia alquanti dì; poi ci tornamo a Firenze per la via di Bologna, e in capo d'undici mesi e mezzo rientramo in casa nostra, dando consolazione alle nostre famiglie.