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Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/152

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I tre componimenti che seguono in ottave, non sono di diversa natura da quella che noi pensiamo essere i Cinque Canti qui prima impressi: cioè altrettanti scarti o rifiuti del poema del Furioso; dettati col proposito, omessi pel mutamento che già venne per altri indicato nelle note apposte a cadauno di essi frammenti.

Che l’Ariosto avesse l’intenzione di trattare ne’ suoi versi le calamitose vicende d’Italia dopo la traslazione della sede imperiale fatta da Costantino, parmi affatto indubitabile anche pel tenore del primo tra questi componimenti: ma il voler dedurre, come sentii farsi da taluno, sì per quello e sì per le cose esposte nel secondo dei Cinque Canti, ch’egli avesse vôlto l’animo ad un poema novello, ove trattare della venuta in Italia di Carlo Magno per distruggervi la dominazione dei Longobardi e cacciare dal regno il suo già suocero Desiderio, ci sembra un’affatto gratuita supposizione.

Notiamo intanto l’apparente incongruenza del nostro autore nel dipingerci Desiderio e i Longobardi, e il figlio di quello Adelchi o Adelgiso (trasformato in Penticone), coi più sfavorevoli colori; e adombrare a mala pena la discesa di Carlo, che dovè commuovere di maraviglia il mondo, e preparò la restaurazione dell’impero occidentale. Segno che il poeta non avea studiato molto a fondo nella storia d’Italia; ma segno altresì ch’egli poneva gli stranieri tutti in un fascio, e di tutti credeva che recato avessero «al bel paese nuovo flagello,» come dice espresso nella stanza XXXIX del primo frammento:

«Nè l’infelice, per mutar signore,
Fa sua condizïon però migliore.»