Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 131 — |
mio paese — per lusingarmi che vorranno accordarmeli.
— Quanto sarei contenta di venire con voi nel vostro paese! Non crediate già che noi siamo felici qui dentro. Non amiamo nessuno, noi; non siamo amate da nessuno: io per esempio mi reputava assai sventurata prima di vedervi; ed ora... sento bene che sarò felicissima con voi, tanto più se lungi di qui, perchè... queste dame... ve ne sono delle graziose, delle più avvenenti di me....
— Non è possibile, io dissi con asseveranza.
— Oh, sì, diss’ella ve ne sono delle più graziose... e voi le amereste.
— Mai.
— Voi le amereste.
— E via, diss’io abbracciandola, non pensate a queste cose.
— Una scena di gelosia, a quest’ora, ruminava intanto tra me stesso; e vedendo che Opala aveva gli occhi inumiditi di lacrime, pensai di dare una diversione più lieta al nostro discorso. Ma non trovava argomento di una diversione che tornasse anche acconcia a’ miei disegni. Cambiai argomentazioni di sbalzo.
— Che occhi furbi che avete, le dissi affissandola con aria che stava tra l’ammirazione e l’insolenza.
— Non è vero.
— Sì, è vero, avete degli occhi meravigliosi veramente! E che capelli! Lasciatemi toccare.... che trecce piene, abbondanti! Ma non avete freddo ai vostri piedini, così, con quelle pianelle sì trasparenti?