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Pagina:Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu/285

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un intervento 275


andò difilata nella sua camera da letto e chiuse l’uscio in fretta. La signora Cortis fe’ l’atto di slanciarsi e trattenerla ma non n’ebbe il tempo.

«Questa non è civiltà» diss’ella.

«Dunque» esclamò il conte Lao fingendo di non avere udito, «cos’è questa promessa che lei vuole? Sediamo, sa, perchè io ho viaggiato otto ore oggi. E intanto mi rallegro della sua risurrezione.

«Sarebbe meglio che fossi morta!» rispose tragicamente la signora.

Il conte serbò un silenzio significativo. Sdraiato nella poltrona della contessa Tarquinia, con le mani in tasca e una gamba accalvaciata all’altra, guardava, dondolando il piede, la Cortis che si era lasciata cader sul canapè e si copriva il viso col fazzoletto.

«Poter del mondo!» esclamò a un tratto quasi parlando a sè stesso.

La Cortis alzò la testa, lo interrogò con lo sguardo.

«Eh niente» diss’egli. «Pensavo alla visita che le ho fatta ad Alessandria nel 1853.

«Oh conte» gemette la signora brancicandosi il fazzoletto sulle ginocchia e guardando, a capo chino, questo inconscio lavoro. «Sono stata molto cattiva, ma ho anche molto sofferto! Lei, se si ricorda, me lo deve vedere in viso.

«Altro che vedere!» rispose Lao. «E adesso, se crede, mi dica cosa voleva da mia cognata.

«La Tarquinia mi ha trattato male. In fin dei conti, quando un figlio perdona, chi è che ha da fare il severo? E poi non ho mai saputo che la Tarquinia ai suoi tempi...

«Sss,!» fece Lao aggrottando le ciglia e scotendo la mano destra, distesa verso colei.