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280 | dal vero. |
cominciò a scusare il giornalista: poverino, aveva tanta gente da contentare — e forse attendeva una serata propizia, forse il teatro era stato sempre pieno. Poi subentrò un po’ di inquietudine: avesse dimenticato — e i preparativi e gli annunzii alle amiche e le speranze concepite? Infine, infine tutto è scordato, il cartellino rosso è giunto: terza fila, un po’ in alto; numero due, un po’ di fianco; ma che importa? si va: tanto basta!
Quel giorno la casa è sossopra, tutto va di traverso, regna la confusione; le fanciulle sono in gonnellino corto, i capelli ravvolti nelle cartine; sui letti fanno bella mostra gli abiti spiegati, i fiori i guanti, i fazzoletti, le mantelline; i consueti lavori sono abbandonati; è cambiata l’ora del pranzo; non si dorme nel pomeriggio; il negozio si chiude più presto; don Giambattista dice ai suoi clienti, spicciandoli in fretta: Scusate, ma stasera vado al teatro con la famiglia. I tre giovanotti passano un’ora nel salon de coiffure per farsi radere, pettinare ed arricciare. Si appressa lentamente l’ora; le fanciulle litigano fra loro: l’una trova brutta l’altra, la terza ha bisogno di spille, la cugina corre di qua e di là, prestando il suo aiuto, rendendosi utile; le vecchie brontolano, ma non troppo; la bambina piange, perchè ha un ventaglio rotto di sei soldi e la sorellina più grande ha confiscato quello bello che le regalò la matrina; infine dopo molto chiasso, circa tre ore prima della rappresentazione, ma sempre con la paura di far tardi, tutti sono pronti; le giovinette danno un’occhiatina allo specchio, don Giovambattista porta via la chiave di casa e ripete passando al portinaio: