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Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu/73

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xvii. consalvo 63


     Stette sospesa e pensierosa in atto
60la bellissima donna; e fiso il guardo,
di mille vezzi sfavillante, in quello
tenea dell’infelice, ove l’estrema
lacrima rilucea. Né dielle il core
di sprezzar la dimanda, e il mesto addio
65rinacerbir col niego; anzi la vinse
misericordia dei ben noti ardori.
E quel volto celeste, e quella bocca,
giá tanto desiata, e per molt’anni
argomento di sogno e di sospiro,
70dolcemente appressando al volto afflitto
e scolorato dal mortale affanno,
piú baci e piú, tutta benigna e in vista
d’alta pietá, su le convulse labbra
del trepido, rapito amante impresse.

     75Che divenisti allor? quali appariro
vita, morte, sventura agli occhi tuoi,
fuggitivo Consalvo? Egli la mano,
ch’ancor tenea, della diletta Elvira
postasi al cor, che gli ultimi battea
80palpiti della morte e dell’amore:
— Oh — disse — Elvira, Elvira mia! ben sono
in su la terra ancor; ben quelle labbra
fûr le tue labbra, e la tua mano io stringo!
Ahi! vision d’estinto, o sogno, o cosa
85incredibil mi par. Deh quanto, Elvira,
quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi
non ti fu l’amor mio per alcun tempo;
non a te, non altrui; ché non si cela
vero amore alla terra. Assai palese
90agli atti, al volto sbigottito, agli occhi,
ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre
muto sarebbe l’infinito affetto
che governa il cor mio, se non l’avesse