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Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/185

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CANTO DECIMOSESTO. 163

XLVII.


     Sia questa pur tra le mie frodi: e vaglia
Sì di tante mie colpe in te il difetto,
Che tu quinci ti parta, e non ti caglia
372Di questo albergo tuo già sì diletto.
Vattene: passa il mar: pugna, travaglia:
Struggi la fede nostra; anch’io t’affretto.
Chè dico nostra? ah non più mia; fedele
376Sono a te solo, idolo mio crudele.

XLVIII.


     Solo ch’io segua te mi si conceda:
Picciola fra’ nemici anco richiesta;
Non lascia indietro il predator la preda:
380Va il trionfante, il prigionier non resta.
Me fra l’altre tue spoglie il campo veda,
Ed all’altre tue lodi aggiunga questa;
Che la tua schernitrice abbia schernito,
384Mostrando me sprezzata ancella a dito.

XLIX.


     Sprezzata ancella, a chi fo più conserva
Di questa chioma, or ch’a te fatta è vile?
Raccorcierolla: al titolo di serva
388Vuò portamento accompagnar servile.
Te seguirò, quando l’ardor più ferva
Della battaglia, entro la turba ostíle.
Animo ho bene, ho ben vigor che baste
392A condurti i cavalli, a portar l’aste.