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Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/28

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16 LA GERUSALEMME

XLIV.


     All’incauto Ademar, ch’era da lunge
La fera pugna a riguardar rivolto,
La fatal canna arriva, e in fronte il punge.
348Stende ei la destra al loco ove fu colto,
Quando nova saetta ecco sorgiunge
Sovra la mano, e la configge al volto:
Onde egli cade, e fa del sangue sacro
352Su l’arme femminili ampio lavacro.

XLV.


     Ma non lungi da’ merli a Palamede,
Mentre ardito disprezza ogni periglio
E su per gli erti gradi indrizza il piede,
356Cala il settimo ferro al destro ciglio:
E trapassando per la cava sede
E tra i nervi dell’occhio, esce vermiglio
Diretro per la nuca: egli trabocca,
360E muore a piè dell’assalita rocca.

XLVI.


     Tal saetta costei! Goffredo intanto
Con novo assalto i difensori opprime.
Avea condotto ad una porta accanto
364Delle machine sue la più sublime.
Questa è torre di legno, e s’erge tanto
Che può del muro pareggiar le cime:
Torre, che grave d’uomini ed armata,
368Mobile è su le rote, e vien tirata.