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Pagina:La secchia rapita.djvu/37

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24 CANTO


XXIII.


Il terzo dì, ch’ognun stava aspettando
     Che non avesse più la pace intoppo,
     Eccoti un messaggier venir trottando
     188Sopra d’un vetturin spallato e zoppo:
     E tratta fuori una protesta o un bando,
     L’affisse al tronco d’un antico pioppo
     Che dinanzi alla porta di sua mano
     192Avea piantato già san Gemignano.

XXIV.


Dicea la carta: Il popol bolognese
     Quel di Modana sfida a guerra e morte,
     Se non gli torna in termine d’un mese
     196La Secchia che rubò sulle sue porte.
     Affisso il foglio, subito riprese
     Il suo cammin colui, spronando forte
     Quel tripode animale; e in un momento
     200Parve che via lo si portasse il vento.

XXV.


Qual resta il pescator che nella tana
     Mette la man per trarne il granchio vivo,
     E trova serpe o velenosa rana,
     204O qualsivoglia altro animal nocivo:
     Tal la gente del Potta altera e vana,
     Trovar credendo un popolo corrivo;
     Quando sentì quella protesta, tutta
     208Raggrinzò le mascelle e si fe’ brutta.

XXVI.


Ma come ambizíosa per natura,
     Dissimulando il naturale affetto,
     Mostrò di non curar quella scrittura,
     212E le minacce altrui volse in diletto.
     Non ristorò le ruinate mura,
     Non cavò delle fosse il morto letto;
     Nè di ceder mostrò sembianza alcuna
     216Alla forza nimica o alla fortuna: