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Pagina:Novelle lombarde.djvu/164

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I più però erano quelli, che, tutt’allegrezza, esclamavano: Tornano i Tedeschi; vengono i castigamatti; i nostri buoni, i nostri cari padroni; non più contribuzioni non più Giacobini, non più andar soldato: e la roba nostra sarà nostra; e i figliuoli nostri torneranno a star in casa ed essere obbedienti, e lasciar comandare a chi tocca. E quel ch’è il cap’essenziale, la religione si rimetterà in onore; potremo ancora far le processioni e scampanare finchè ci piaccia.

Mentre da noi si discorreva, quegli altri venivano. A Lecco, sentiamo dire s’è data una battaglia, come quelle scritte sulle gazzette: poi i Francesi hanno fatto saltare il ponte, e si ritirano per difendere Trezzo e Vaprio e Cassano. I Russi sono di là dall’Adda; onde le nostre contrade possono dormire i loro sonni in pace. Quando improvviso arrivano novelle di mala sorte; che i Russi hanno a Brivio varcato il fiume e si difilano adosso a noi, e quel ch’è il peggio, sputano fuoco, rubano che che trovano, bastonano gli uomini, malmenano le povere donne; fanno scempio de’ Giacobini come degli Aristocratici, di chi conservò la coda e i calzoni, come di chi va zuccone e colle brache a pantaloni.

Allora, amici o no de’ Tedeschi e de’ Russi, ciascuno dà spesa al suo cervello per ascondere quella poca grazia di Dio: è un corri d’ogni banda a tramutar le bestie, a sotterrare i quattrini, a trafugare ogni miglioramento.

Ma dove? se nessun luogo era sicuro, se da per tutto arrivavano a grappare quelle picche maledette?

Io, come tutti gli altri miei commilitoni, voleva ella che facessimo i valent’uomini contro un esercito? Prima nostra cura fu dunque di nascondere,