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Pagina:Olanda.djvu/430

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418 frisia.

mento si fermò e io discesi. Mentre stavo esitando fra due tarchiati frisoni che volevano impossessarsi della mia persona, mi sentii sussurrare nell’orecchio una parola che mi rimescolò il sangue: — il mio nome. — Mi voltai come se mi fossi inteso chiamare da uno spettro, e vidi un giovane signore, che sorridendo della mia meraviglia, mi ripetè in francese: “È lei il signor tale dei tali?” — “Son io,” risposi, “o almeno mi pare d’esser io, perchè a dirle la verità sono talmente stupito d’esser conosciuto da lei, che dubito quasi della mia identità. Che prodigio è questo?” — Il prodigio era semplicissimo. Un mio amico d’Amsterdam che m’avea accompagnato la mattina stessa al porto, aveva mandato un dispaccio, appena partito il bastimento, a un suo amico di Harlingen, per pregarlo di andare ad attendere allo scalo un forestiero alto, bruno e insaccato in un pastrano color cacao, il quale sarebbe arrivato verso sera, e avrebbe avuto gran bisogno d’un interprete e gran desiderio d’un compagno. Tutti i miei compagni di viaggio essendo biondi, l’amico dell’amico m’aveva subito riconosciuto, ed era venuto a cavarmi d’impiccio.

Se avessi avuto in tasca un collare dell’Annunziata, glielo avrei buttato al collo. Non avendolo, gli espressi la mia infinita gratitudine con un diluluvio di parole, che lo fecero rimanere attonito, come direbbe il marchese Colombi, senza potere attribuire. Dopo di che, entrammo nella città, dove non intendevo di rimanere che poche ore.