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il più bel giorno della vita. |
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— Cosa fai, mascalzone! — Non avea finito di profferir
queste parole, che mi vidi comparir davanti dieci persone
in aria minacciosa; erano i compagni del fratello; in
mezzo a loro, il signore; più in là qualche curioso; Luisa
s’era appoggiata al muro. — Cos’ha lei? Come c’entra lei?
mi domandarono tutti insieme avvicinandosi. — Indietro! — io
gridai quasi fuor di me; — c’entro, chè qui si vuol
fare un mercato infame! — È matto! gridarono tutti
insieme, avvicinandosi ancora. — Indietro! — io ripresi
con voce soffocata; — indietro, o spacco il cranio a
qualcuno! — e avevo la daga nel pugno. — Eh! via, mi si
levi dai piedi, imbecille! — gridò il signore facendo un
passo innanzi per sollevare Luisa caduta; io gli diedi
uno schiaffo; gli altri mi si slanciarono addosso per
finirmi. — Un momento signori! — gridò una voce dal
mezzo della strada. Quei manigoldi si voltarono, e videro
dieci bersaglieri schierati colle daghe nel pugno.
Rimasero tutti là fermi, senza fare un gesto, senza
dire una parola. Poi, tutto ad un tratto, se la svignarono
chi di qua chi di là, mogi mogi, come cani bastonati.
Luisa, più portata che condotta, entrò in casa.
Il signore, tutto stravolto, mi si accostò e mi disse: — Il
suo nome? — Io gli dissi nome, cognome, compagnia,
squadra, numero di matricola, tutto quel ch’egli ha voluto.
Egli notò tutto e se n’andò dicendomi: — Ci rivedremo. — Come
le pare — risposi. — Ringraziai dopo
i miei compagni: — Se tardavate un minuto, ero spacciato;
vedevo già luccicar dei coltelli. — Allora si misero
tutti insieme a farmi mille domande, a voler sapere i
come e i perchè e i quando, e io raccontai addirittura
tutta la storia da principio. Noti però, signor colonnello;
bisogna esser giusti; tutti quei mascalzoni, era
il fratello di Luisa che li aveva radunati, e non l’altro;
l’altro non ne sapeva niente; anzi, se avesse preveduto