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Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/117

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Egli è salito fino alla spiazzo con una piccola automobile, e non so come ci sia riuscito: sembra infatti molto soddisfatto di questa sua abilità, e dopo essersi tolto il soprabito, la sciarpa, i guanti, entra tutto fresco ed agile nel salotto, stringendomi forte la mano con la sua mano elastica, più energica di quello che sembra.

Io sento che è tutto vibrante, ma che anche lui vuol contenersi: gli occhi però lo tradiscono, più grandi, più obliqui, quasi fosforescenti come quelli dei gatti nelle tenebre. Ho quasi l’impressione che egli ritorni, non dalla funebre villa Decobra, sibbene da un convegno di amore: con la bella Agar, forse?

Confesso di nuovo che l’esistenza misteriosa di questa creatura comincia ad interessarmi un po’ più del necessario: sono curioso di conoscerla: curiosità di apostolo, ma anche di uomo che, nella sua solitudine, contro suo volere, già si annoia.

Quasi spingendomi con cortese violenza, con la mano sulla mia spalla, Antioco mi introduce nella sala da pranzo: sala, proprio sala, che ancora una volta mi trasporta, Noemi, nella tua casa di sogno. Occupa tutta la parte a occidente della villa: ha quattro finestre alte, senza tende, ma con vetri smerigliati a vivi eppure delicati colori; le credenze sono medioevali, di quercia nera: dello stesso stile due cassapanche