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Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu/531

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ANNOTAZIONE XIII

l’erba. S’inginocchiò e si sporse per bagnarsi le mani.

Allora la campana della torre sonò l’avemaria. Per un poco la preghiera dominò l’inno. Poi parve che l'usignuolo raccogliesse l’ultimo tremore del bronzo solenne per assalire il cielo con una più veemente melodia.

Il povero pescatore s’era segnato in croce; poi s'era tolto gli zoccoli e s’era messo a sedere sul margine, coi poveri piedi penzoloni che sfioravano l’acqua del martirio.

Dorotea Tecla Erasma Eufemia pregavano per lui.

Stava egli a capo chino; e aveva a sinistra il suo paio di zoccoli, a destra la sua rezzuola vuota. E gli strappi lasciavano scorgere l’osso de’ suoi ginocchi.

Alzò la faccia verso il canto della creatura di Dio.

Si prese tra le palme il capo fasciato, e alzò verso il canto una faccia scarnita che certo somigliava quella del Poverello di Dio nella grazia del ratto.

Quale angoscia gli sorse dalle sue viscere d’uomo e gli oscurò quel bene raggiante!

Di nuovo si prese tra le palme il capo fasciato, come se la piaga gli si fosse riaperta. E richinò la faccia verso l’acqua del martirio. E pareva che piangesse.

Allora vennero per l’acqua le quattro martiri, e gli baciarono i poveri piedi.


Stanotte quel fante senza nome e senza tomba era con noi nel trivio, dove gli avevamo acceso il suo fuoco.

Era d’un sol colore, quel Poverello d’Italia, come se il suo Dio l’avesse rimodellato nella creta del Piave. E d’un solo splendore era la fiamma.

Avevamo fatto un letto alla brace con cinque pietre in tondo. Un contadino del poggio e il suo figliuolo giovinetto aiutavano a mettere fastello su fastello. Bruciavamo l’ulivo il carpino e il cipresso. Ma io avevo collocato nel cavo, tra le pietre un