morte sopra ogni altra cosa talmente si fosse ricordato della sua
riputazione, che avesse chiusi gli occhi col zelo del suo onore;
per lo quale eccesso di virtú, che chiarissimo indizio era di
animo sopramodo grande, comandò che del danaro pubblico
con la pompa censoria li fossero fatte le esequie: il che con
tanto concorso de’ letterati di tutte le nazioni fu eseguito, che
nemmeno allo spettacolo de’ famosi trionfi romani giammai fu
veduto concorrer numero di popolo maggiore. Flavio poi Quintiliano, nell’orazion funebre che ebbe in lode di quel virtuoso,
molto esaggerò la felicitá della potente monarchia di Spagna,
la grandezza della quale disse che non stava posta nelle fucine
di oro e di argento del Perú, della Nuova Spagna, del Rio della
Piata e della Castiglia dell’oro, nemmeno ne’ regni ch’ella possedeva senza numero, ma nella sola qualitá della sua onoratissima nazione; poiché chiaramente essendosi veduto che quel
virtuoso spagnuolo in quella sua grandissima calamitá prima
avea cercato di rimediare che danno alcuno non patisse la sua
riputazione, che avesse fatto instanza che li fossero medicate le
ferite, avea fatto conoscer ad ognuno, proprissimo della onorata
nazion spagnuola esser posporre la cura della vita al zelo della
reputazione, e che nelle loro azioni piú premevano gli spagnuoli
nella cura di non commettere indignitá, che in vivere. E la
sua orazione chiuse Quintiliano con una atroce invettiva contro i
filosofi, i quali malamente non ammettono che in uno stesso
soggetto si possano ritrovar due contrari, quando oculatamente
negli spagnuoli si vede regnar la molta apparenza e l’infinita
sostanza, la vanitá e la sodezza ne’ suoi maggiori estremi.